Addio Rudy, grazie per i bei momenti che ci hai fatto vivere

E Rudy, il bomber, decise di andarsene. Non per cambiare casacca, come aveva fatto più volte quando era un calciatore, ma per cercare la tranquillità interiore venuta meno nell’ultimo periodo. Lo ricorderemo per un mucchio di particolari: i suoi gol, innanzitutto, la continua ricerca della perfezione fisica come la forte antipatia verso i periodi della preparazione, l’arguzia delle battute che rallegravano lo spogliatoio.
Di reti ne realizzò tantissime, per i colori biancorossi e per quelli di altre Società che se lo contesero al termine di ogni stagione sportiva. In un campionato, lui e Ceccarelli arrivarono a sfiorare quota ottanta. Tutti o quasi di ottima fattura, con il suo andare dinoccolato che lo faceva somigliare ad un oriundo brasiliano. Per dare il meglio doveva sentirsi a posto. Al minimo accenno di dolore, era solito rivolgersi al medico sociale.
Ricordo una trasferta a Roma, presso un luminare dell’ortopedia, perché poco convinto della diagnosi fatta dal sanitario dell’Orvietana. Altro suo cruccio, seguire, con continuità, il periodo dedicato alla preparazione. Trovava sempre qualche appiglio per schivare le sedute più dure e ciò non faceva la gioia degli allenatori, ripagati, però, dai suoi gol che facevano vincere le partite. Le sue battute, sempre sagaci, varcavano, spesso, la porta dello spogliatoio diventando oggetto di amabili dibattiti.
A fine carriera aveva provato a inserirsi in uno dei ruoli facenti parte del calcio. Era stato allenatore, direttore sportivo, responsabile del settore giovanile, senza, però, ritrovarsi completamente soddisfatto. Perfezionista per natura, richiedeva altrettanto dagli altri. Forse troppo, per le strutture organizzative dov’era stato operativo. Addio Rudy, grazie per i bei momenti che ci hai fatto vivere.

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