ambiente

ISPRA, rapporto 2020 sui pesticidi nelle acque

mercoledì 13 gennaio 2021
di Dario Dongo (GIFT)
ISPRA, rapporto 2020 sui pesticidi nelle acque

Mercoledì 23 dicembre ISPRA ha pubblicato il suo rapporto 2020 sui pesticidi nelle acque in Italia (dati del 2017 -2018). 299 agrotossici sono stati rilevati, nel 77,3% delle acque superficiali e nel 32,2% delle acque di profondità. A concentrazioni che non di rado superano le c.d. ‘soglie di sicurezza’ finora ammesse. Il Piano di Azione Nazionale sui Pesticidi (PAN) è lo strumento preposto a mitigare la contaminazione chimica degli ecosistemi. Ma le (ir)responsabili delle autorità continuano a omettere i doverosi atti d’ufficio.

ISPRA, i dati sui pesticidi nelle acque
ISPRA ha raccolto i dati relativi a 16.962 campioni prelevati in 4.775 punti di monitoraggio, di cui 1.980 su acque superficiali e 2.795 in acque sotterranee. Analisi multi-residuali asimmetriche, sui vari territori, hanno rilevato la presenza di 299 sostanze sulle 426 complessivamente indagate.
Fuori controllo il 21% delle acque superficiali (415 punti di monitoraggio) e il 5,2% di quelle sotterranee (146 punti), ove le concentrazioni di agrotossici sono risultate superiori ai limiti ambientali. Le sostanze più ricorrenti oltre le soglie ammesse sono:
– in acque superficiali, erbicidi (glifosate e il suo metabolita AMPA, nonché metolaclor), fungicidi (dimetomorf e azossistrobina),
– nelle acque di falda, ancora glifosato e AMPA, bentazone, ma anche i metaboliti atrazina (vietata ormai da tre decadi), desetil e desisopropil. Oltre ai fungicidi triadimenol, oxadixil e metalaxil.

Contaminazioni in aumento, incertezze
Le contaminazioni sono aumentate, tra il 2009 e il 2018. ‘Nelle acque superficiali la percentuale di punti con presenza di pesticidi è aumentata di circa il 25%, in quelle sotterranee di circa il 15%’. ISPRA attribuisce questo fenomeno anche alla maggiore estensione dei punti di prelievo. E sottolinea tuttavia come il rapporto si basi sulle informazioni ricevute dalle Regioni e Province autonome, in relazione a indagini sul territorio e analisi di laboratorio condotte dalle rispettive Agenzie (regionali e provinciali) per la protezione dell’ambiente.

Le incertezze derivano proprio dalle ‘importanti disomogeneità’ che ‘non consentono agevolmente un confronto diretto tra diverse aree territoriali. Differenze significative, infatti, ci sono nella densità della rete di monitoraggio, nelle prestazioni dei laboratori che operano spesso con diverse capacità di analisi. Il numero delle sostanze cercate, infine, varia sensibilmente da regione a regione.’

Veleni in Pianura Padana, e non solo
La pianura padano-veneta risulta essere l’area con più veleni nelle acque. ‘Questo dipende, oltre che dalle intense attività in agricoltura e dalla particolare situazione idrologica dell’area, anche dal fatto che le indagini sono generalmente più efficaci nelle regioni del nord.’ (6)
L’asimmetria nella qualità delle indagini e le capacità di analisi può per altro aver condotto a una sottovalutazione dei pericoli in altre Regioni e province autonome, si legge tra le righe di ISPRA. E in ogni caso, ‘anche in zone dove prima non evidenziata, emerge ora una significativa presenza di pesticidi nelle acque.’

Effetto cocktail
L’effetto cocktail – vale a dire l’impatto dei mix di principi attivi e altre sostanze impiegate nella produzione di agrotossici – è stato finora ampiamente trascurato dalle autorità regolatorie. La Commissione europea è stata condannata dalla Tribunale UE, per gli inammissibili ritardi nell’identificazione degli interferenti endocrini tra cui il glifosato si annovera. E l’analisi del rischio condotta da EFSA sull’esposizione multipla a tali sostanze, come si è visto, è tuttora incompleta.

Potere di scelta
La narrativa sulla ipotetica ‘sostenibilità’ della lotta integrata in agricoltura, ancora una volta, è smentita dai dati. I consumi di agrotossici in Italia sono almeno 1,6 volte superiori alla media UE, 12 volte tanto in Veneto. E l’effetto deriva dei pesticidi, già ampiamente dimostrato dalla scienza, trova ulteriore conferma nel rapporto ISPRA in esame.

La conversione al biologico è l’unica speranza di salvezza, per l’economia agroalimentare dell’Italia e dei suoi distretti nonché per la salute di chi vi abita, e delle generazioni che verranno. A noi tutti la potestà di scelta, mediante il ‘voto col portafoglio’ nella propria spesa quotidiana. La domanda influenza l’offerta più di ogni altro fattore. Ed è solo scegliendo alimenti biologici, tanto meglio se da filiera corta, che si può invertire la rotta dei veleni in aumento nelle nostre acque.

Fonte: RIPA - Rete Interregionale Patrimonio ambientale