"Per la prima volta, un database unico sull'età degli alberi più vecchi d'Europa"

Oggi considerati universalmente patrimonio inestimabile, alberi annosi e foreste vetuste rappresentano un'eredità del passato che affonda le proprie radici nel Medioevo. Lo evidenzia uno studio che vede collaborare l'Università degli Studi della Tuscia con quella di Valladolid, nel Norde della Spagna, l’Università del Mainz (Germany), Cambridge (UK), e il Pyrenean Institute of Ecology (CSIC, Spain) in cui è stato dimostrato che i vecchi pini loricati e uncinati testimoniano l’abbandono delle montagne del Mediterraneo a causa della crisi demografica del XIV-XV secolo.
Ancora una volta, la montagna si conferma così un ambiente strategico per conservare la natura, in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 dell’ONU. "In aree remote quali sono i grandi complessi montuosi – spiega Gianluca Piovesan, coordinatore per Unitus della ricerca, resa possibile grazie anche ad una consolidata collaborazione scientifica con il Parco Nazionale del Pollino e al progetto Fisr-Miur Italian Mountain Lab – anche oggi sta avvenendo uno spopolamento sebbene per un diverso motivo socio-economico rispetto al Tardo Medioevo.
In quel caso, l’abbandono dell’Appennino ha determinato la genesi di estese foreste vetuste arrivate integre sino ai nostri giorni nelle aree più remote. Se ben gestito, l’abbandono della montagna mediterranea che va avanti ormai dal boom economico potrà portare nel lungo periodo alla genesi di nuove foreste vetuste di cui abbiamo tanto bisogno per conservare la biodiversità e mitigare i cambiamenti climatici". Gli ecosistemi subalpini sono, dunque, laboratori naturali dove studiare gli effetti del riscaldamento globale.
Le loro dinamiche sono, infatti, particolarmente sensibili alle variazioni di temperatura. Tuttavia, un tema ancora oggi poco studiato riguarda gli impatti nel lungo periodo delle pandemie con i conseguenti cambiamenti nell'uso del suolo sulla dinamica delle foreste montane. La ricerca internazionale realizzata in occasione di un periodo di studio trascorso nel Laboratorio di Dendrologia del Dipartimento di Scienze Agrarie e Forestali dell'Unitus dal ricercatore spagnolo Gabriel Sangüesa Barreda dell’Università di Valladolid ha dimostrato anche altro.
Ovvero che molti degli alberi plurisecolari di pino loricato e uncinato si sono insediati nel Rinascimento, in un'ondata sincrona su vasta scala, dai Pireni al Pollino sino ad arrivare alle montagne della Grecia settentrionale. Per la prima volta è stato così costituito un ricco database unico sull’età degli alberi più vecchi d’Europa. L’insediamento massivo dei pini tra il 1400 e il 1500 è stato ricollegato allo spopolamento della montagna in conseguenza della crisi demografica tardo-medievale a partire dalla Peste Nera del 1347-48.
Quando, cioè, una serie di pandemie, carestie e guerre finì praticamente per dimezzare la popolazione in molte regioni d’Europa. Le pinete subalpine che oggi è possibile osservare su queste montagne dell'Europa meridionale sono quindi il risultato della disseminazione di alberi millenari, quali Adonis e Italus, in un paesaggio lasciato per lungo tempo alle dinamiche naturali. Quanto ai pini non occorre essere botanici per meravigliarsi del fatto che siano circa 120 le specie di arbusti sempreverdi appartenenti alla famiglia Pinaceae.

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