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Tra i nodi del destino, la corsa di Leo verso il futuro

giovedì 23 luglio 2015
di Livia Di Schino
Tra i nodi del destino, la corsa di Leo verso il futuro

Correre per passione e perché non si può fare altro nella “lunga corsa ad ostacoli” che è la vita. E’ quello che fa nelle gare e nella propria quotidianità Leo che, venerdì 17 luglio, ha gareggiato ad Orvieto. Un’occasione in più, dal 2012, per dare prova della propria tenacia.  In platea l’orgoglio della sua famiglia. I genitori adottivi e lo zio, che non hanno perso un istante della competizione. Vissuta con il fiato sospeso e il compiacimento nel cuore.

Proprio come ogni volta che Leo sale sul podio e porta a casa una nuova medaglia. Tutti a ricordare prima a se stessi e poi a lui che si tratta di una passione, di un hobby, e che deve pensare a studiare. E lui fa l’uno e l’altro, cercando di conciliare l’impossibile. E quest’anno è stato promosso al secondo anno del chimico.

Ma mentre si prepara sulla pista a correre, posizionando i piedi pronti per aggredire la strada, la famiglia non può che perdersi nel raccontare la storia di quel quindicenne dai capelli castani e mossi, dal fisico asciutto e slanciato e con gli occhiali appoggiati sul naso. Loro che, da assidui lettori di Enterprise – un viaggio tra le stelle, hanno chiesto di incontrare l’equipaggio e di avere un posto in prima classe accanto al finestrino da riservare ad un appassionatissimo della rubrica: il figlio. Che in questi mesi ha visto salire e scendere passeggeri dalle diverse storie e dalle affascinanti esperienze. Tutti legati ad un territorio, al quale anche Leo si sente vicino negli affetti.

Nello sguardo alla partenza, prima di correre, si intravede una strana luce negli occhi di quel giovane uomo, quella di chi sa cosa significa mettercela tutta nella vita e sapere che alla fine è l’annodarsi delle maglie della sorte, in un punto o nell’altro della resistente corda, a definire il domani. A volte va bene, a volte meno. Ma nessuno può scendere da quel treno in corsa od opporsi a ciò che è stato scritto. Meglio riuscire ad accarezzare con lo sguardo, la mente e il cuore il verso degli accadimenti e cercare di dare sempre il massimo per essere forti e per arrivare in vetta.

Correndo nella direzione del vento, cercando di assecondare l’onda favorevole quando possibile. E se questa non è all’orizzonte, allora aspettarla, cercarla e non perdere mai la speranza. Una saggezza che Leo possiede, della quale forse non è pienamente consapevole perché maturata empiricamente e troppo alla svelta quando invece sarebbe dovuto essere difeso e non in prima linea in una guerra di trincea. Battaglie della vita che, in genere, si cominciano ad affrontare in età più adulta. Poi tornare indietro è difficile, anche se certamente gli affetti e le persone alle quali ci si affida, se si ha la fortuna di incontrarle, aiutano e rendono possibile perdersi in un abbraccio affettuoso.

Immortale, senza tempo. Che poi, rimarrà nei ricordi e scalderà il cuore anche quando ancora una volta si dovrà tornare in battaglia, ma stavolta più maturi e armati. Consapevoli, pronti e audaci nel farsi avanti. E mentre Leo inizia la sua gara, con un scatto che appare come un balzo di un grande felino, ecco che riaffiora nel ricordo dei genitori l’intensa esperienza che ha portato il giovane in Italia, nelle dolci colline toscane non troppo distanti da quelle umbre.

Diversi anni fa è iniziata l’avventura. Due capi di una matassa sconosciuta, che solo dopo tanto tempo si sarebbero incontrati. Da una parte la Russia, una fredda terra che nei mesi invernali ha dato i natali a Leo ma non il privilegio di una famiglia; dall’altra la più mite Italia dai dolci paesaggi ad attenderlo, per accoglierlo nei mesi estivi. Lui nasceva e chi lo desiderava stava iniziando a compilare quelle carte che avrebbero dato il via al faticoso iter dell’adozione.

Sei anni per riuscire a conoscerlo, ad incrociare quello sguardo tante volte immaginato e scoperto in una grande e disadorna stanza. In un contesto percepito come surreale, troppo silenzioso e ordinato per essere abitato da tanti bambini. Troppi, in cerca di una famiglia che in molti casi non avrebbero mai avuto. Come probabilmente per l’amico di sempre, che è rimasto in Russia. A lui spesso corrono i pensieri di Leo, che un giorno –dice lui- ritroverà e porterà in Italia, per infondere rinnovata anima ad un rapporto indissolubile perché consolidato nelle difficoltà quotidiane di chi, trovandosi indifeso e senza una famiglia, poteva solo immaginare il calore di un abbraccio materno e lo sguardo attento di un padre.

Giorni, mesi e anni, nei quali Leo ha visto stringere piccole mani, di altri bambini più fortunati, al collo di chi li avrebbe portati via da quella diffusa solitudine che si animava nello scorgere le proprie ed altrui difficoltà nella quotidianità. Ma ecco arrivare il grande giorno anche per Leo. Un giorno di grande felicità, ma anche di separazione da quel mondo che lo aveva accolto quando era stato più vulnerabile, foggiandolo nella sensibilità, nell’altruismo e nello spirito di sopravvivenza che sarebbero poi stati custoditi nel tempo. Un addio che si è consumato con un volo, seduto in un comodo sedile tra due persone adulte e sconosciute che però “sapevano di buono” e un grande orsacchiotto sulle ginocchia che neppure nei suoi migliori sogni avrebbe mai potuto immaginare. Leo ha quindi raggiunto la sua nuova casa, la bella abitazione di famiglia, che avrebbe poi ospitato anche una piscina gonfiabile e tanti giocattoli.

E poi, tutte quelle persone che per giorni, mossi da vivo affetto o da semplice curiosità tipica di una piccola comunità, erano andati a trovarlo. Un mondo all’apparenza incomprensibile, soprattutto a causa di una lingua tanto diversa da quella udita sino a quel momento. Estraneo e già indissolubilmente unito a un contesto che non riusciva a decifrare. Proprio come a scuola, tra bambini tanto diversi da quelli con i quali aveva vissuto fino a quel momento. Protetti e amati dalle proprie famiglie, che non avevano scoperto troppo presto cosa volesse dire farcela da soli, da subito.

Dovevano essere riconquistati i sogni, quelli dell’infanzia. Quelli che non erano stati soddisfatti e a volte neppure rappresentati. Quindi Leo doveva fare i conti anche con i ricordi, quelli che gli apparivano improvvisamente durante il giorno e che lo inseguivano la notte nel suo lettino, ma non nel lettone dei genitori. Che nei mesi diventava sempre più piccolo, ma più accogliente.
E più Leo si integrava e più riusciva a capire se stesso, cosa desiderasse. Ad ascoltarsi. E proprio l’azione della corsa in giardino, nella quale era stato osservato dai suoi genitori nella prima visita in orfanotrofio, è diventata una delle sue grandi passioni. Lo scatto, planare a grande velocità su quegli agili piedini che sono diventati sempre più robusti.

Eccoli a fine corsa rallentare. E con il fiato ormai corto Leo anche venerdì scorso ha cercato sollievo tra il pubblico, fino a trovare lo sguardo della sua famiglia. Che sorridendo stava applaudendo il figlio. Interrompendo all’istante la narrazione, le nuvole del passato erano rimaste alle spalle dell’Enterprise e il pensiero si era ricongiunto sul presente. Nell’attesa della prossima corsa. Ancora una volta, verso il futuro.