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Il direttore di Rai Vaticano a Orvieto: "La comunicazione di Papa Francesco che cambia la Chiesa"

domenica 25 gennaio 2015
di Davide Pompei
Il direttore di Rai Vaticano a Orvieto: "La comunicazione di Papa Francesco che cambia la Chiesa"

"Il tempo che scorre, bussa alla porta della nostra responsabilità, interpellandoci sull'uso che ne facciamo, l'intensità con cui lo viviamo, la passione di santità che ci mettiamo dentro". Lo annota il vescovo Benedetto Tuzia nella lettera che apre l'agenda realizzata dalla Diocesi di Orvieto-Todi contenente, tra le altre cose, informazioni di servizio sulle 93 parrocchie e i 60 sacerdoti ma anche le linee pastorali per l'anno 2014-2015.

Il presule ne ha fatto dono di una copia alla stampa locale sabato 24 gennaio, nella ricorrenza di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti e degli operatori della comunicazione, incontrandola per il terzo anno nel palazzo vescovile. "Il grembo di una donna – ha detto nel corso dell'omelia, nella cappella dell'episcopio – è la prima scuola di comunicazione. All'interno della famiglia, poi, il bambino inizia ad utilizzare un dizionario di valori. Siamo oggi immersi nella comunicazione, ma incapaci di relazioni umane. Langue la vita comunitaria, l'attenzione reale all'altro. Primo compito del comunicatore è avere il giusto atteggiamento verso la realtà, nel farsi mediatore tra la vita e l'opinione pubblica, alla ricerca della verità".

Al momento di preghiera, è seguita la riflessione che ha visto quest'anno la presenza del direttore di Rai Vaticano Massimo Milone per declinare il tema "La comunicazione di Papa Francesco" nello stesso giorno in cui il pontefice ha indirizzato il messaggio per la 49esima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, che individua nella famiglia il primo luogo dove si impara a comunicare.

"La sua forza comunicativa – ha sottolineato – si è avvertita già la sera stessa in cui Bergoglio è stato eletto papa, nella scelta del nome del poverello di Assisi, simbolo di una chiesa dolente e missionaria, e nel gesto di abbassare il capo in mondovisione chiedendo una preghiera alla piazza come momento di condivisione. Sono seguiti due anni di gesti e fisicità diretta, fino a quando nei giorni scorsi sull'aereo di ritorno dalle Filippine ha asserito di vedere in un pugno la naturale risposta a un'offesa alla madre. E poi, in tema di procreazione, l'idea che i cristiani non debbano fare come i conigli per essere presenti al sacramento del matrimonio. Metafore nude di un papa che parla quasi per parabole, semplici ma significative, per raccontare in maniera diretta la buona novella del Vangelo, come hanno fatto tutto i pontefici.

L'accostamento naturale viene con la figura, di una sofferenza dialettica, come Paolo VI, a cui si deve la fondazione di una testata d'ispirazione cattolica che parlasse a tutti come l'Avvenire, o con la carezza verbale di Giovanni XXIII. L'empatia comunicativa dei pontefici passa per un modo di porsi mai asettico eppure profondamente cambiato dalla velocità dell'interconnessione dei sistemi comunicativi moderni, a colpi di tweet. Cosa ci aspetta dopo questa sbornia comunicativa? Trascorso il primo afflato emotivo, le nuove culture continuano a generarsi in enormi geografie umane ricevendo da esse altre messaggi, paradigmi spesso in contrasto.

Con disarmante semplicità, Francesco ha conquistato anche i non credenti con il cuore rivolto alle periferie esistenziali del mondo. In una chiesa dai cuori infreddoliti, è proprio "cuore" il centro del lessico di Bergoglio. Ai giornalisti, ha chiesto di raccontare la Chiesa con amore e comprensione per una comunità in affanno, non solo come luogo di beghe politiche e scandali, offrendo una visione concreta della società come un grande fatto spirituale che necessita di approfondimento e chiarezza.

La presenza a Roma di un papa emerito, nascosto al mondo e in preghiera, e la collegialità con i cardinali che lo aiutano nel governo della Chiesa, sono due pilastri che pongono il pontificato di Francesco sotto una luce diversa. A cinquant'anni dal Concilio Vaticano II, dopo il ciclone Wojtyla e la roccia Ratzinger, quel farsi benedire dal popolo è di per sé un evento. Un uscire dal protocollo che gli è quotidiano. Ogni giorno, in Santa Marta, Francesco origina eventi comunicativi. In un anno si stima abbia incontrato 8 milioni di persone, eppure sembra parli ogni volta ad ognuno di noi con il suo accento latino americano. Nel dna di questo pontefice c'è grande coerenza tra pensiero e azione. Egli richiede al cristiano un'attrezzatura culturale diversa, anche per decodificare segni e segnali, riportarci su quelli di Cristo. È un papato di svolta, siamo solo all'inizio. Non so se abbia un progetto più grande, ma certo ha immesso la Chiesa su un'autostrada. Nulla sarà più come prima.

Sergio Zavoli, uno degli ultimi grandi, ha scritto: "Francesco non sta demolendo con i suoi gesti l’autorevolezza petrina, ma demitizzando il devozionismo egoistico e inerte in favore del servizio e della misericordia: perché gli ultimi non rimangano lo stigma della separatezza. Ciò che lacera gli uomini e la loro relazione è spesso l’idea che la nostra vita dimori in un arcipelago di innumerabili isole, in ciascuna delle quali c’è uno di noi che vede l’umanità nella propria ombra, fidandosi di essa soltanto, e pronto a cogliere in quella altrui qualcosa di sospetto, persino di ostile, da dover controllare e persino colpire". A noi spetta la responsabilità di capire, decifrare e raccontare i segni dei tempi".