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Grande successo per il convegno "Bando al femminicidio" a cura dell'Associazione "L'Albero di Antonia"

mercoledì 12 dicembre 2012
Grande successo per il convegno "Bando al femminicidio" a cura dell'Associazione "L'Albero di Antonia"

Il convegno organizzato lo scorso 8 dicembre dall'associazione L'Albero di Antonia ha visto un'ampia partecipazione di pubblico, tra cui 22 avvocati del foro di Orvieto ed alcune associazioni interessate ad approfondire il fenomeno della violenza.

Ha aperto l'incontro L'Albero di Antonia per annunciare l'approvazione del progetto biennale per il potenziamento del Centro Antiviolenza, da parte del Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri. L'associazione ha scelto di partecipare al bando e di impegnarsi economicamente, per un 6% della somma corrisposta dal Ministero, e nella ricerca di sponsor al progetto. Il Comune di Orvieto, partner del progetto, si è impegnato a corrispondere il 4% del finanziamento.

Con un grande impegno organizzativo e finanziario l'associazione nei prossimi due anni potrà migliorare i servizi offerti alle donne e potenziare le attività di sensibilizzazione, informazione, prevenzione, rivolte anche alle giovani generazioni; con la collaborazione degli enti e dei rappresentanti ai tavoli istituzionali potranno essere firmati protocolli operativi per la rete locale antiviolenza e per migliori politiche sulle pari opportunità.

Luisa del Turco, esperta di politiche di genere, introduce il convegno ed accenna al quadro internazionale della legislazione e delle convenzioni in materia di diritti umani e di politiche di genere.

Barbara Spinelli inizia il suo intervento dalla definizione di femminicidio da parte dell'ONU, di organismi internazionali, criminologhe e giuriste; la definizione dalla stessa Spinelli proposta nel suo libro è quella di "Femminicidio in ogni contesto storico o geografico, ogni volta che la donna subisce violenza fisica, psicologica, economica, normativa, sociale, religiosa, in famiglia e fuori, quando non può esercitare i diritti fondamentali dell'uomo perché donna, ovvero in ragione del suo genere." Il termine, diffuso nel 2002 dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, è ormai utilizzato anche nella legislazione italiana. Una recente definizione che delinea i devastanti effetti psicologici è quella di "morte in vita".

L'avvocata, con grande esperienza giuridica in materia, continua parlando della parte più evidente del fenomeno, gli omicidi di donne; a fronte di statistiche in calo per gli omicidi, l'uccisione di donne (femicidi) rivela dati in aumento, soprattutto in ambito familiare. Proprio come gli ennesimi casi di cronaca nera di questi giorni il 70 % dei femicidi sono omicidi annunciati in quanto preceduti da altri atti di violenza, in buona parte denunciati alle autorità di polizia; i femicidi potrebbero essere in parte sventati se fossero utilizzati, al momento della denuncia, i metodi indicatori di rischio. Una delle raccomandazioni ONU riguarda proprio la preparazione ed il ruolo degli operatori giuridici e di polizia. La Spinelli illustra come la cultura patriarcale impedisce un adeguato utilizzo delle misure di protezione, aumenta il sommerso con la sottovalutazione del fenomeno e la non conoscenza della valutazione del rischio.

La Sostituta Procuratrice Elisabetta Massini riporta al pubblico presente la propria esperienza alla Procura di Terni. Evidenzia con dovizia di particolari le carenze strutturali e legislative; una di queste è la misura di protezione dell'allontanamento che non viene, di norma, applicata in sede civile e quindi sottopone la donna a rischi dopo la denuncia. Altre misure inadeguate sono la custodia cautelare in carcere (massimo di tre mesi), ampiamente inadeguata alla lunghezza delle indagini, le indagini patrimoniali non rilevabili, il sostegno economico ed abitativo alle donne ed ai loro figli, praticamente inesistente. I rischi di questo stato di fatto sono il ricatto sulla teste per ritrattare la denuncia, la costrizione della donna a tornare con il coniuge violento, il femicidio della donna.

Massini rileva la difficoltà a trattare i casi di violenza, nella massa di procedimenti giudiziari che ammontano a una media di 1.300 procedimenti per ogni procuratore. La maggior parte dei procedimenti partono male dai "vulnus" della denuncia, mancanti di dati sui fatti, riscontri, testimoni, anamnesi della relazione coniugale, valutazione della vessazione morale, ecc; l'assenza di professionisti che accompagnano la donna ed il genere maschile della buona parte degli operatori di polizia incidono fortemente sulla denuncia ed il procedimento.

Buone pratiche per modificare la pesante realtà di tutti i giorni potrebbero essere i protocolli operativi e collaborativi tra i servizi pubblici, compresa la procura, la specializzazione di operatori ed uffici, anche per le indagini patrimoniali. Una tutela da rivedere riguarda il mancato versamento degli assegni in caso di separazione, che nega dignità e futuro ad ex mogli e figli.

Il procuratore riporta poi la propria esperienza nei rapporti con i servizi sociali che non si rapportano affatto con l'autorità giudiziaria. Anche sul versante sanità la sua esperienza è sintomatica dell'inefficienza del sistema e della mancanza di specializzazione, visto che non ha mai ricevuto un referto medico di sospetto maltrattamento da parte del Pronto Soccorso.

Considerate le ampie difficoltà a riconoscere e trattare i casi di femminicidio è la stessa Massini che, se necessario e richiesto, ascolta la testimonianza della donna, anche per capire se c'è un problema nella difesa.

Per quanto riguarda il linguaggio utilizzato dai giornali e dai media la magistrata si augura che la rete di giornalisti denominata "Giulia" possa fare pressione per il cambiamento del linguaggio e della cultura di genere.

Massini esorta infine la platea a sensibilizzare la scuola e le istituzioni scolastiche sul tema del rispetto, della differenza e dell'educazione di genere, anche con la collaborazione dell'autorità giudiziaria.

Il Governo italiano dovrà rispondere, nel luglio 2013, alle raccomandazioni dell'ONU ed al Comitato Cedaw sulle politiche attuate per contrastare gli stereotipi di genere e la violenza maschile nei confronti delle donne, contenute nel Piano nazionale antiviolenza; ad oggi l'Italia è ancora del tutto inottemperante rispetto agli standard e agli impegni internazionali.

fonte: www.alberodiantonia.org