sociale

Trasloco in corso. Quale via d'uscita per il CSCO e i suoi lavoratori? Nella logica del possibile proviamo a fare un po' di chiarezza

martedì 26 giugno 2012
di Laura Ricci
Trasloco in corso. Quale via d'uscita per il CSCO e i suoi lavoratori? Nella logica del possibile proviamo a fare un po' di chiarezza

Inizia da lunedì 25 giugno il trasloco del Centro Studi "Città di Orvieto", che dalla storica sede dell'ex Ospedale "Santa Maria della Stella" in Piazza Duomo si trasferisce nei locali di Palazzo Simoncelli che dovevano ospitare il Museo della tradizione ceramica orvietana. Sulla questione del trasferimento e della paventata chiusura, che tiene giustamente occupata la pubblica opinione e su cui da tempo si spalmano prese di posizione, opinioni e commenti (questi ultimi specialmente, come del resto a un semplice commento è concesso, non sempre esatti e documentati) - questione su cui del resto ci siamo sempre dettagliatamente interessati (basta digitare "centro studi" sulla ricerca interna e ritroverete di tutto e di più) - vorrei, con l'onestà documentaria e intellettuale che mi sforzo di perseguire, dare qualche altro dettaglio ed esprimere, per quanto può valere, una personale opinione nel campo del possibile. L'impossibile, per quello che è il mio approccio intellettuale, è un puro esercizio di stile che, applicato alle questioni della vita, non solo ritengo inutile ma addirittura deleterio.

Non starò a rifare la storia da zero. Ho spiegato già dettagliatamente, in miei precedenti articoli, di come il sogno dell'Università a causa dei decreti Mussi diventò, a un certo punto, impossibile per le piccole realtà; abbiamo più volte parlato di come, oculatamente e meritoriamente, il Centro Studi ha cercato, negli ultimi tempi, di trasformarsi puntando sulla formazione, sulle Università straniere e su propri progetti; non abbiamo mai condiviso, proprio nell'ottica di salvare il possibile, l'arroccamento di certe opinioni sulla resistenza spinta nella sede di Piazza del Duomo. Che se poi dovessi dire la mia, per quello che vale e per puro esercizio di stile, il Centro Studi l'avrei visto bene - e a suo tempo l'ho scritto - come un bel campus universitario nella ex casema Piave. Anche del debito dei 400 mila euro con la cooperativa Carli e del decreto ingiuntivo da questa richiesto di recente abbiamo parlato, come pure della volontà, peraltro non ancora ben chiara dell'amministrazione (che in ogni caso dovrà procedere in accordo con gli altri soci fondatori del cda), di trasformare il CSCO in qualcosa di diverso e di più snello rispetto a una Fondazione, forse in un'Associazione.

Il vero impasse del destino del Centro Studi e la vera emergenza - a parte la questione della sede e il trasferimento, che pure, per il suo eventuale futuro, hanno importanza - sono, in questo momento, il rientro del debito con la Carli, la salvaguardia del personale - il direttore e i tre amministrativi che da qualche mese non possono più essere pagati - e l'eventuale chiusura o trasformazione, che sottende, ovviamente, anche una volontà politica. Il debito con la cooperativa Carli, da cui per una trasformazione o una liquidazione che sia non si può prescindere, già accumulato precedentemente è emerso allo scoperto nel 2010, con l'insediamento del nuovo Cda al momento dell'avvento della Giunta Concina; Cda che provvide subito a sospendere la convenzione, dirottando le attività che la Carli svolgeva sui tre amministrativi in servizio.

A partire da questo dato, visto che non voglio e non posso accontentarmi delle pur legittime opinioni che, inviate ai giornali, si susseguono e si affastellano in questi ultimi giorni, giacché rischiano di confondere e appannare il lato puramente informativo a cui i lettori hanno diritto, ho provato a raccogliere qualche informazione con un giro di telefonate ad alcuni dei protagonisti della vicenda. Vicenda che in breve deve pur giungere a un qualche ragionevole epilogo, altrimenti inevitabilmente imploderà, e continueremo con un ormai trito accusare o con uno stracciarci le vesti, gli stessi che ai diretti interessati di certo non hanno giovato.

C'è stato, venerdì scorso, un incontro di CGIL e CISL con l'amministrazione ai fini della tutela dei diritti dei dipendenti. Sia la CGIL che la CISL chiedono, infatti, delle garanzie per quanto riguarda i diritti acquisiti e la Cgil in particolare, che ai dipendenti vorrebbe assicurare anche un futuro, prospetta una mediazione in cui potrebbero avere un ruolo, in una transizione programmata, gli ammortizzatori sociali. Spetta infatti al sindacato contrattarli, e la Segretaria della Camera del lavoro, Maria Rita Paggio, si dice disponibile a farlo se ci fosse, per i dipendenti, la continuità del posto di lavoro. Questo potrebbe essere possibile se si procedesse nel senso di una trasformazione; no, invece, se il Centro Studi venisse liquidato e si formasse, sempre che lo si voglia, un ente del tutto nuovo, anche nel caso in cui si volessero riassumere, magari a progetto e non a contratto come ora sono, i dipendenti. Su questo l'amministrazione e la presidenza del Cda della Fondazione Centro Studi si riservano di compiere alcune ulteriori verifiche, perché pare ci siano dei vincoli che non permettono a una Fondazione di diventare Associazione. L'ipotesi della liquidazione della Fondazione, inoltre, se da un lato permetterebbe di recuperare il fondo di garanzia, che potrebbe essere utilizzato per saldare almeno in parte il debito con la Carli, dall'altro non consentirebbe qualche recupero crediti che anche il CSCO vanta e azzererebbe tutte le certificazioni di qualità che, nel tempo, il Centro Studi ha accumulato. Il cammino verso un nuovo ente, quale che sia l'iter e la forma, sembrerebbe in ogni caso inevitabile, anche per permettere l'entrata dei privati, che potrebbero essere alcune agenzie di formazione interessate.

"E' necessario trovare una soluzione - dice poi Trentini della Cisl - anche se a noi, ovviamente, non può interessare, in questa intricata questione, tanto il piano delle scelte politiche quanto quello squisitamente sindacale. Ho l'impressione che da tempo si giochi a un inutile scaricabarile, e che una maggiore duttilità, da parte di tutti, gioverebbe certamente alla causa e al personale. Stiamo tentando di gestire una transizione per cercare di salvare il personale, questo è il nostro compito".

La Carli, da parte sua, contattata nella persona del Presidente, Luca Giannisi, afferma di essere disponibile a una transazione e di avere già presentato un piano di rientro spalmato su dodici anni. E afferma anche che finora la controparte - che non è il Comune, sia ben chiaro (a volte chi commenta e si esprime su questo piano sembra confondere) - ma la Presidenza e il Cda del Centro Studi, è stata finora piuttosto inconcludente e confusa nelle risposte. Del resto, diciamoci la verità anche da un punto di vista di comunicazione e informazione: in questa città si fanno a volte conferenze stampa o comunicati fin sul nulla o quasi, ma la voce del Presidente del CSCO, Professor Roberto Pasca, a fronte di una situazione così critica e confusa da anni, chi l'ha mai sentita? Si sono espressi e continuano ad esprimersi gli ex Presidenti, Peltonen in passato e ora Cimicchi, una consigliera del Cda come Cristina Calcagni, il Direttore Dott. Talamoni rispetto a quel che gli compete (l'organizzazione), ma il Professor Pasca, il referente/presidente che più dovrebbe sapere, per quanto riguarda l'informazione chi mai lo ha visto o sentito? La debolezza del Sindaco Concina per i personaggi rappresentativi piuttosto estranei alla città si rivela, almeno da un punto di vista comunicativo, non troppo felice. Viene da riflettere anche su quanto è considerata la nostra professione giornalistica: sempre costretti, noi giornalisti e direttori, a dipanarci in un'abbondanza comunicativa che, a conti fatti, neanche è vera informazione, e a cercare faticosamente di mettere insieme quattro informazioni sensate laddove ci sono questioni spinose, importanti e dirimenti. 

Quanto al problema, da più parti accampato e dibattuto, delle quote che come soci fondatori il Comune e la Fondazione CRO non hanno più versato, il Comune e la Fondazione sostengono che, da Statuto, non c'è, per i soci, l'obbligo del versamento della quota, in quanto di anno in anno è da valutare se sia opportuno e congruo. La Fondazione CRO afferma che, proprio alla luce del deficit che emergeva in bilancio, dal 2008 ha ritirato, come lo Statuto permette, la propria quota (del resto, all'epoca, ne demmo notizia) e stabilito e fatto sapere di voler concorrere, con circa 50 mila euro annuali, solo a determinati progetti; quanto a progetti già effettuati di cui non è stato ancora versato al CSCO parte del contributo, la Fondazione afferma che è perché non è stata ancora presentata la relativa rendicontazione. Per quanto riguarderebbe la quota associativa del Comune, poi, non solo interverrebbero, a bloccare, la carenza di fondi di bilancio e altre intenzioni politiche peraltro non ancora chiaramente esplicitate, ma la stessa Cisl afferma di aver visto e letto sentenze della Corte dei Conti stabilire che i Comuni non debbano mettere quote nelle Fondazioni.

Ultima questione, ma non certo meno importante, quella della fine che farà il Museo della tradizione orvietana e il centro di documentazione ad esso connesso che dovevano occupare gli spazi dove si sta trasferendo il Centro Studi. Secondo l'assessore Marino, anche se al momento mancano ancora atti e passaggi ufficiali, questa migrazione del CSCO e quello che di nuovo si dovrebbe avviare ad essere sono l'unico modo di aprirlo veramente, con un progetto di studio e di ricerca gestito dal nuovo Centro Studi che possa coniugare il patrimonio ceramico che attende di essere esposto a collezioni, provenienze e studi di altri luoghi per un reciproco approfondimento scientifico. Posso testimoniare che, qualora il progetto fosse realizzato veramente, non è la "baggianata" giusto pour parler che molti credono: nel castello di Lecce, che ho visitato recentemente, si sta attuando un progetto sullo studio della ceramica leccese e del Salento fondato proprio su questi presupposti.

Una situazione indubbiamente drammatica e complicata, della quale le responsabilità non sono certo univoche, e che si scontra, su questo e su altri fronti, con l'intrico di veleni personali e politici della città, che rendono ancora più difficile ogni contrattazione. Quello che è certo è, che in un senso o nell'altro, bisogna accelerare i tempi, perché se come è ormai inevitabile il CSCO o chi per lui dovrà marciare con le proprie gambe, deve sapere e far sapere, per dovere di comunicazione, come e con chi dovrà camminare. L'attuale ridotta gestione, così continuando, sarebbe piuttosto rachitica e incerta, anche perché non è possibile accogliere alcune richieste già avanzate non tanto per la mancanza di una sede adeguata, quanto per le totali incertezze sul futuro.

Sul Centro Studi non si gioca più la credibilità politica di nessuno, è stata una sfortunata impresa in cui quasi tutti, finora, l'hanno più persa che acquistata. Ma si gioca, di certo, una possibile economia della città che sarebbe urgente ritrovare e, in qualche modo sensato e organizzato, rilanciare. Forse puntando su nuovi soggetti e nuove alleanze professionali, ma senza mandare al macero, per la perniciosa logica delle vendette politiche che già tanto male ha fatto, le competenze e le conoscenze già maturate. Il vecchio adagio di non buttare a mare il bambino con l'acqua sporca può valere, con la piccola ma sempre utile logica del buon senso, anche in questo caso.