sociale

Violenza fisica sulle donne e miseria simbolica. Prevenire, come?

martedì 2 agosto 2011
di Ornella Cioni, Presidente dell'Ass. femminile Il filo di Eloisa

Nei miei ozi estivi di insegnante oltre a cercare di recuperare alcune letture messe da parte durante l'inverno nei periodi in cui sono sopraffatta dalla routine quotidiana, a un certo punto comincio a fantasticare e a progettare possibili percorsi di lavoro per il prossimo anno scolastico. Con scarsi mezzi e un tempo scuola che in questi anni è stato via via ridotto ti chiedi allora come motivare i/le ragazzi/e, come ricreare ogni volta quello spiazzamento che possa far nascere in loro il bisogno di conoscere.

Riflettevo in questi giorni sui possibili nessi per collegare il programma di storia di seconda media ( dal Cinquecento alla Rivoluzione francese) a un percorso di "Cittadinanza e costituzione" (materia curricolare nella Scuola Secondaria di 1° grado), che desse conto della posizione delle donne nelle società di quelle epoche storiche e del difficile percorso che le ha portate a intravvedere un ruolo di cittadinanza.
Pensavo che avrei dovuto spiegare che, per esempio in Francia, ci fu nel Cinquecento un peggioramento della condizione della donna sul piano giuridico e religioso, ma ci fu anche una prima incontestabile affermazione del suo prestigio intellettuale. Avrei parlato della "cité des dames" di Christine de Pizan, che per prima aveva sostenuto, alla fine del Quattocento, che bastava mandare a scuola le bambine per sviluppare la loro intelligenza quanto quella dei coetanei. Ma avrei parlato anche di Anna di Bretagna, moglie di Carlo VIII e poi di Luigi XII, due volte regina, che aveva promosso in Francia una tradizione letteraria centrata sull'elogio della femme forte e della femme savante. E come tacere di Margherita, sorella di Francesco I e moglie del re di Navarra, prima poetessa francese ad essere pubblicata? Conosco lo sguardo di soddisfazione delle ragazze quando vedono dischiudersi una ricchezza sconosciuta, che però le riguarda e lo sguardo perplesso e interrogativo dei ragazzi, che cominciano a sospettare di dover fare i conti con qualcosa di imprevisto. E' importante renderli consapevoli di una cultura che le donne hanno continuato a produrre nei secoli, anche se poi è stata regolarmente sprofondata nell'oblio. Ma è altrettanto indispensabile dire loro che ciò è avvenuto all'interno di quella cultura dominante che è stata la cultura patriarcale e offrire loro gli appigli per conoscerla e ricondurla alla nostra cultura attuale. Non potrei pertanto tacere loro il fatto, per esempio, che nel 1586 il celebre giurista francese J. Bodin teorizzava che le donne "dovessero essere tenute lontane da tutte le magistrature, i luoghi di comando, i giudizi, le assemblee pubbliche e i consigli, perché si occupassero solo delle faccende donnesche e domestiche".

Alcuni anni fa in un celebre numero di Sottosopra, la rivista della Libreria delle donne di Milano, si annunciava la fine del patriarcato, affermazione che suscitò molte polemiche e rimostranze e certo qualche perplessità, circa la radicalità dell'affermazione, anche da parte di chi ne coglieva il senso più profondo. Questo inaspettato proclama discendeva però dal lungo percorso di libertà compiuto dalle donne dagli anni Settanta in poi e dal grosso spostamento che le aveva portate alla consapevolezza della necessità di ricostruire sì le radici della propria cultura, ma soprattutto di continuare a elaborare una nuova cultura a partire da sé, dal proprio corpo sessuato e dalla relazione con le altre donne, quello che è stato chiamato il passaggio alla costruzione di un simbolico femminile.
Donne autorevoli, che anche per vie diverse hanno perseguito questo difficile impegno di fedeltà a se stesse che le portava al di fuori di un stretta logica binaria (in cui l'uomo è quello che pensa e decide per sé e per gli altri e le altre e le donne si adeguano), hanno dovuto compiere uno spostamento necessario, quello dell'assunzione di un'ottica diversa: quella della forza delle donne, cercando di farne una chiave di interpretazione del reale e di progettazione per il futuro. Nessuna di queste donne, crediamo, al di là della provocazione che interviene a volte nella dialettica politica, ignora il dolore delle donne e l'orrore della violenza, come pure la necessità dei centri antiviolenza e delle case delle donne. Semplicemente non ritengono più che la rivendicazione di tutto ciò possa costituire l'unico fine delle politiche di genere, che ormai non devono più solo chiedere la tutela delle donne, ma pretendere la loro presenza in tutte le sedi istituzionali, non per giustizia, ma perché le donne ci sono e per avere un paese più equilibrato e sano.

Del resto quando parliamo di prevenzione di che cosa parliamo? Noi crediamo in una prevenzione primaria attraverso l'educazione delle giovani generazioni e nella elaborazione continua di una cultura delle donne in relazione con le altre donne. Che cosa potremmo consegnare altrimenti, per ricostruirsi una vita, a quelle "vittime inconsapevoli" che non vedono vie d'uscita dalla loro disperazione perché "il loro carnefice è l'uomo che amano e col quale avevano un progetto di vita"?

Alla luce della grave situazione della violenza sulle donne e del doloroso caso di femminicidio ad Acqualoreto non possiamo non esprimere un forte sentimento di indignazione, ribadendo al tempo stesso che delicato e difficile è il lavoro di tutela e sostegno alle donne colpite dalla violenza maschile, indispensabile la rivendicazione delle case delle donne e di tutte le strutture di aiuto e prevenzione, come pure una profonda e costante elaborazione delle donne sul piano simbolico.

C'è ancora molto lavoro per tutte noi, care amiche, e su molteplici piani.