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Nella Cattedrale gremita il monaco Giovanni Scanavino si accomiata nel segno della Carità e dell'Amore

domenica 6 marzo 2011
di laura
Nella Cattedrale gremita il monaco Giovanni Scanavino si accomiata nel segno della Carità e dell'Amore

Nel ritrovato spoglio abito da monaco agostiniano, in una cattedrale commossa e gremita, calda dell'affetto e della vicinanza di credenti e non credenti, Padre Giovanni Scanavino, fino a ieri Vescovo della Diocesi di Orvieto e Todi, ha celebrato in preghiera, con grande amore e autorevolezza, il commiato da tutti quelli e quelle che in questi sette anni lo hanno apprezzato e amato. In un clima di grande pathos, di dolore e rincrescimento e al tempo stesso colmo di quella serena voglia di andare avanti che in questi giorni ha ripetutamente chiesto ai laici della Diocesi - a tutti gli effetti parte, e parte importante della Chiesa, ha più volte sottolineato negli interventi delle ultime ore - tra i lunghi e frequenti applausi che hanno punteggiato le parti più significative delle riflessioni consegnate al popolo diocesano, Padre Giovanni ha di nuovo spiegato le ragioni del suo andare: la compromessa "Unità" della chiesa locale, per la cui piaga non ha mostrato di possedere un bisturi abbastanza energico ai fini della ricomposizione.

Nel consegnare a Orvieto, agli orvietani e alla loro splendida cattedrale eucaristica il suo testamento spirituale, tutto nel segno dell'amore e della carità, Padre Giovanni ha dato lettura di alcune sue lontane, intime note in cui individuava, già nel 2003, immediatamente dopo la sua nomina vescovile e davanti alla meraviglia della Cattedrale, la naturale missione del Duomo di Orvieto come tempio dell'eucaristia e di Orvieto come città santuario, missione che a suo avviso deve andare avanti; mentre in altri dolorosi appunti del 2007, già annotava l'assunzione di quella croce e di quell'impotenza di fronte alla divisione del clero della diocesi che oggi, riconducendolo alla riflessione e alla pace di qualche amato convento agostiniano, lo porta via dalla nostra città.
Altro caritatevole sogno consegnato alla città, quello di andare avanti con il progetto della costruzione di una casa di accoglienza per ragazze madri e per i loro bambini.



Pochi i sacerdoti presenti ieri sera in Duomo, a confermare la ferita, il cancro che la mattina, in conferenza stampa, Scanavino non ha avuto remore a nominare. E tuttavia, nonostante il doloroso epilogo, il venir meno di un importante punto di riferimento in una città per tanti versi smarrita e ferita, nonostante l'apparente trionfo di quella che in questi mesi non abbiamo cessato di definire come "banalità del male", la parte di clero che ha lavorato per allontanarlo ha finito per farne un santo e un eroe. A trionfare veramente, infatti, è solo e soltanto il monaco Giovanni Scanavino: forte dell'amore e della carità che in questi anni ha incessantemente e silenziosamente seminato e che, nel momento del dolore e del distacco, contribuendo al suo sereno accomiatarsi gli sono state abbondantemente rese; forte di un'aperta coerente azione e di una parola chiara che, pur non accusando i singoli, non ha esitato a rendere manifeste le radici del male sotterraneo della mancanza di unione nella diocesi.
In molti lo ricorderemo, come sempre è stato ed è, tra i semplici, i caritatevoli e i giusti. E - come in questi giorni, con il sorriso, non ha cessato di sottolineare richiamandosi alla persecuzione che deve essere pronto ad assumere chi vuole portare nel mondo amore e carità - tra i perseguitati.