sociale

I tulipani di Onna

domenica 19 aprile 2009
di Giuliano Santelli

Doveva essere bello abitare ad Onna. Ti svegliavi e alla mattina avevi di fronte il Gran Sasso e dietro la Maiella. Il Paese circondato da un grande prato pianeggiante rendeva ancora più suggestivo il panorama. La statale delimitata dalla vecchia ferrovia rappresentava un elemento quasi troppo "moderno" per una comunità di poco più di 300 abitanti. Tre grandi "ceppi" famigliari, persone che si conoscono da generazioni. La notte del 6 aprile tutto questo è stato cancellato, il terremoto si è porato via sogni e vite.

Riprende in mano la pala, nel giardino pieno di detriti, e comincia a spostare le pietre, Marcello, 50 anni, nella sua bella casa di Onna sconquassata dal sisma. E' forse lui, questo odontotecnico con la barba incolta e gli occhi arrossati, il primo segno della ripresa nel borgo simbolo del terremoto. La casa che aveva ristrutturato con tanto amore negli ultimi 5-6 anni, la piu' bella del paese, e' probabilmente da buttare giu'. Nelle pareti fresche di intonaco si aprono crepe e cedimenti. Marcello sa che dovra' abbatterla. ''La casa era come la mia fidanzata'' dice con una smorfia.

Ma non vuol restare con le mani in mano. Di buona lena, Marcello sposta calcinacci e massi, e cerca di dar forma alla ''baracchetta'', il ripostiglio dei suoi cani, che stava finendo, con tanto di cornice in cotto, prima della scossa. ''Lo faccio per loro'' dice, indicando Lilla, una bastardina rimasta alla catena, a far la guardia al niente. ''Altrimenti i cani me li slegano - spiega - perche' chi passa di qua pensa che siano rimasti abbandonati e li libera''. Il cruccio di Marcello e' il lavoro. ''Il laboratorio di odontotecnica, all'Aquila - dice - e' stato molto danneggiato. Speriamo di poter continuare. Allora, forse, potrei anche ricostruire la casa. Anche se in realta' capisci che la casa non e' niente. Io e la mia famiglia ci siamo salvati''. Ma per gran parte del borgo le abitazioni sono il segno dell'appartenenza a questa terra.

Onna ormai e' un sacrario civile. ''Lascino perdere le chiese - dice, seduta sotto un mandorlo Giselda, 68 anni -, ricostruiscano subito le case. Le messe si possono fare anche all'aperto, il Signore c'e' dovunque''. Piu' rassegnati sembrano invece Antonio e Annarita, due anziani coniugi che seduti su un muretto, sullo sfondo il Gran Sasso innevato, guardano malinconici i resti delle loro casa. ''Se abitiamo qui? - rispondono al cronista - Abitavamo! Ora stiamo solo a guardare i cadaveri. Solo la scuola si è salvata all'interno di uno slargo quasi irreale dove come per una sorta di miracolo una aiuola di tulipani gialli e rossi sembrano irrealmente fare da cornice a una madonna rimasta appesa miracolosamente a una parete di una casa che non c'è più.