sociale

Sarà proprio giusta la cura Gelmini? Qualche spunto per riflettere sul maremoto scuola

giovedì 23 ottobre 2008
di laura
Tra tutte le stelle di destra, così in ascesa nella nostra epoca sempre più destrorsa da meritarsi il primo libro della Ministra delle pari opportunità Mara Garfagna, la stella più vera, se non altro per onomastica, è certamente lei, Mariastella Gelmini, che è riuscita a scatenare nella scuola un putiferio degno del secolo scorso. Era tanto che non ci si agitava così. Anche se la storia non si ripete, naturalmente, pur nei suoi corsi e ricorsi, e un altro Sessantotto è per tante ragioni impossibile, se non altro perché il premier Berlusconi ha annunciato che userà subito le forze dell'ordine per stroncare ogni occupazione di luoghi pubblici e ogni protesta “antidemocratica”. A suon di decreti (112, 133, 137) e senza specialisti, si delinea e si prepara la più rapida e forse più impopolare riforma (o controriforma) che si sia mai vista. E mentre ci si appassionava, grazie alle disposizioni urgenti del decreto 137, alle diatribe sul voto in condotta e sul maestro unico, la ministra e il suo staff procedevano, nel perfezionamento per la conversione in legge, nella parte più dolorosa e infida, quella dei tagli: di risorse, di insegnanti, di scuole, di classi. Qualche tempo fa, su Repubblica, Salvo Intravaia, prendendo spunto dalla bozza di riforma presentata ai sindacati, faceva il punto su come dovrebbe cambiare la scuola. Sintetizzo, ispirandomi al suo prezioso lavoro, per cercare di dare, tra le polemiche, un quadro complessivo non tanto delle polemiche ma di quanto dovrebbe accadere, così che ognuno possa valutare, secondo coscienza e ovviamente secondo le proprie inclinazioni sociali e politiche, se è il caso di agitarsi e di preoccuparsi o no. Vediamo, in sintesi, il quadro della scuola che ci aspetta. Tre le direttici del piano: revisione degli ordinamenti scolastici, dimensionamento della rete scolastica italiana, razionalizzazione delle risorse umane, cioè tagli. Le classi saranno più numerose: fino a 29 alunni all’asilo, fino a 30 nelle prime delle medie e delle superiori. L’organizzazione oraria della scuola materna rimarrà sostanzialmente invariata. Saranno reintrodotti gli anticipi morattiani, con la possibilità di iscrivere i bambini già a due anni e mezzo, e nelle piccole isole o nei piccoli comuni montani l’ingresso alla scuola dell’infanzia potrà avvenire, per piccoli gruppi di bambini, anche a due anni. In pratica sarà confermata l’esperienza delle sezioni primavera per i piccoli di età compresa fra i 24 e i 36 mesi. Nella scuola primaria una delle novità è il ritorno al maestro unico: già dal 2009 partiranno le prime classi con scansione settimanale di 24 ore affidate ad un unico insegnante, cosa che sostituisce il modulo “tre insegnanti su due classi”, anche se a tratti Silvio Berlusconi non parla più di maestro unico ma di maestro prevalente. Il tempo pieno di 40 ore settimanali, anche se mancano dati precisi, potrebbe essere incrementato; ieri (fonte Asca) Berlusconi affermava che con l'introduzione del maestro unico e l'eliminazione delle compresenze si liberano maestri per aumentare il tempo scuola e che in cinque anni ci saranno 5.750 classi in più con il tempo pieno. Sempre alle elementari, l’insegnamento dell’Inglese sarà affidato esclusivamente ad insegnanti specializzati, non più specialisti, attraverso corsi di 400/500 ore (gli specialisti fecero corsi di 200 ore, ma a nostro avviso – ndr – che le ore siamo 200 o 400 per insegnare bene le lingue ce ne vogliono molte di più e, soprattutto, bisogna vedere chi specializza gli specializzati). Ultima novità le classi ponte, poi denominate di inserimento, proposte dalla mozione del leghista Cota, per quegli studenti stranieri che non superano specifici test e specifiche prove di valutazione linguistica, classi che dovranno consentire agli studenti stranieri di frequentare corsi di apprendimento della lingua italiana propedeutiche all'ingresso nelle classi permanenti. Nella scuola secondaria di primo grado, dove l'obiettivo è quello della rimonta delle classifiche internazionali che vedono i giovani studenti italiani agli ultimi posti, l’orario scenderà dalle attuali 32 ore a 29 ore settimanali, con la revisione di programmi e curricoli e il potenziamento dell'Italiano e della Matematica; sarà potenziato anche l’Inglese, ma a scapito della seconda lingua comunitaria introdotta dalla Moratti. Il tempo prolungato sarà mantenuto solo a determinate condizioni e in parecchi casi verrà tagliato. In poche parole le ore diminuiscono ma si assicura che la scuola migliorerà. Molti i cambiamenti nella scuola superiore. Gli 868 indirizzi saranno ricondotti ad un numero cosiddetto "normale", limitando quella che era stata presentata, dai precedenti governi, come la conquista dell'autonomia. I ragazzi che opteranno per i licei (Classico, Scientifico e delle Scienze umane) studieranno 30 ore a settimana. Saranno rivisti, anche al superiore, curricoli e quadri orario. Al classico saranno privilegiati Inglese, Matematica e Storia dell’Arte. Allo scientifico, in uno o più corsi, si potrà sostituire il Latino con la lingua straniera. L'orario degli istituti tecnici e professionali e dei licei artistici e musicali sarà di 32 ore a settimana. Ma i dati più draconiani riguardano la riorganizzazione della rete scolastica e i tagli delle risorse umane. Attualmente, la scuola italiana funziona attraverso 10.760 istituzioni scolastiche che lavorano su 41.862 punti di erogazione del servizio: plessi, succursali, sedi staccate. Secondo quanto programmato dal Ministero dell'Istruzione, 2.600 istituzioni scolastiche con un numero di alunni inferiore alle 500 unità o in deroga (ossia con una popolazione scolastica compresa fra le 300 e le 500 unità) saranno smembrate e accorpate ad altri istituti, salvando soltanto le scuole materne. Chiuderanno anche i plessi e le succursali con meno di 50 alunni: circa 4.200 in tutto. In forse anche i 5.880 plessi con meno di 100 alunni. Ma l’intera operazione, che il ministro vuole avviare già a dicembre, dovrà trovare il consenso di Regioni ed enti locali e la Regione Umbria, come spieghiamo in seguito, non è disposta ad abbassare la testa. Per quanto riguarda la razionalizzazione delle risorse umane, alla fine del triennio 2009 - 2012 il governo Berlusconi spazzerà via 87.400 cattedre di insegnante e 44.500 posti di personale amministrativo, tecnico e ausiliario (Ata): 132 mila posti in tutto. E a questo si aggiungono maestro unico, soppressione di 11.200 specialisti di Inglese alle elementari, contrazione delle ore in tutti gli ordini di scuola, compressione del Tempo prolungato alla scuola media, rivisitazione delle classi di concorso degli insegnanti e ulteriore taglio all’organico di sostegno. L’intera operazione dovrebbe consentire risparmi superiori a 8 miliardi di euro che in parte, al 30 per cento, potranno ritornare con adeguati premi produzione, agli insegnanti più meritevoli. Clima bollente anche negli atenei, dove a scaldare non solo gli studenti ma anche i rettori, notoriamente ben più compassati, è la proposta del decreto Brunetta di far diventare Fondazioni le Università che, subentrando in tutti i rapporti attivi e passivi, finirebbero per ereditare non tanto crediti quanto debiti, salvo poi inglobare “liberalità” che presumibilmente segnerebbero ancora di più la fine dell'attuale ruolo pubblico dell'istruzione universitaria e forse (dico "forse") qualche pericoloso monopolio di pensiero e orientamento. In pratica, sembrerebbe che se nelle scuole superiori si limita l'autonomia, nelle università se ne introduce fin troppa. Leggere per credere. Nel clima di generale protesta, la Regione Umbria ha annunciato oggi, per bocca dell'assessore all'Istruzione Maria Prodi, che alla cura Gelmini non ci sta e che ricorrerà contro l’art.64 della legge 133 (ex decreto 112), che fissa l’entità e le modalità dei tagli alla scuola. La Giunta farà ricorso anche sull’art. 3 del decreto legge 154, che impone alle Regioni tempi strettissimi per procedere al ridimensionamento delle autonomie scolastiche, minacciando in caso contrario il commissariamento ad acta. “Il dimensionamento delle istituzioni scolastiche, da molto tempo non più concepibile in termini centralistici e impositivi - ha dichiarato l’assessore all'istruzione Prodi - tra l’altro già prevedeva un processo partecipativo, a norma del decreto 233, a partire dai Comuni fino alla Conferenza provinciale, con la possibilità per le Regioni di introdurre criteri correttivi rispetto agli standard previsti nella legge. Con la modifica del Titolo V della Costituzione - ha ricordato l’assessore - le competenze delle Regioni sull’organizzazione scolastica si sono notevolmente ampliate. Il decreto 154, non discusso e neppure annunciato, si configura perciò come una pesante ingerenza nell’ambito delle competenze regionali”. Secondo Maria Prodi analoghe riflessioni devono essere fatte sull’art.64, che oltre a contenuti ordinamentali di competenza statale, contiene alcune invasioni di campo nell’ambito regionale. Ce n'è abbastanza per riflettere, certamente ognuno con il suo orientamento politico. E anche senza voler crocifiggere Brunetta e tanto meno la Gelmini, anche senza voler drammatizzare l'uscita berlusconiana sulle forze dell'ordine nelle scuole occupate – perché poi le forze dell'ordine possono anche avere un ruolo garantista e non necessariamente poliziesco (chi ha più buon senso lo adoperi) – su una cosa c'è da interrogarsi ancora di più: una raffica di decisioni importanti sono state prese per decreto, senza che si sentisse la necessità e la sacrosanta opportunità di un confronto e di una discussione più ampie, magari anche con specialisti, esperti e operatori del ramo, senza la possibilità di proposte politiche piuttosto che di emendamenti. Era davvero così malata la scuola italiana da richiedere tanta fretta? E' proprio questa la cura? E le buone cure, soprattutto, non richiedono anche la condivisione con il malato e la sua fiducia?

E per riflettere ancora... l'ipotesi di Calamandrei