sociale

Consiglio comunale aperto a Parrano per onorare lo scomparso Massimo Neri. L'intervento del Sindaco Mechelli

giovedì 3 luglio 2008
Consiglio comunale aperto, ieri a Parrano, per onorare e ricordare il giovane Massimo Neri, l'operaio idraulico 28enne morto sul lavoro precipitando dal tetto del Castello. All'assemblea, voluta dal Sindaco Gino Mechelli, hanno partecipato l'On. Emanuele Trappolino, il presidente deella Comunità Montana Monte Peglia e Selva di Meana Giorgio Posti, i consiglieri provinciali Mario Montegiove e Danilo Buconi, la Segretaria della Camera del lavoro di Orvieto Rita Paggio, la CISL Orvieto, i sindaci di Ficulle (Bernardino Ciuchi), Montegabbione (Marco Spallaccini), Monteleone (Mario Pattuglia), il vice sincaco di Fabro (Stefano Garillo), Marco Frizza dellas CNA, Valentino Filippetti, il noto esponente del Pd che risiede a Parrano. Di seguito l'intervento introduttivo del sindaco Mechelli: "Avremmo voluto non esserci, qui, questa sera, ad onorare una vita dissolta, una mondo di affetti annientato. Il nostro primo pensiero, il nostro cordoglio, va alla famiglia di Massimo Neri, a suo figlio e alla moglie. Un pensiero che non vuole essere solo rituale, di circostanza. Morire a 28 anni e morire lavorando rappresenta una somma immonda che strazia la nostra coscienza e la nostra sensibilità. Questa sciagura mi addolora profondamente, mi segna in maniera fortissima. Noi tutti stiamo lavorando per garantire uno sviluppo a questi territori. Noi tutti: i Comuni dell’alto orvietano, gli imprenditori, le imprese, i lavoratori. Siamo tutti impegnati a costruire un futuro per noi e per i nostri figli all’insegna della qualità della vita, del benessere dei singoli e delle collettività, dei giovani e dei vecchi. Ci sentiamo parte di un medesimo progetto, di una sfida che abbiamo portato sin dentro il cuore di una modernità fatta non solo di grandi agglomerati metropolitani, di desolate periferie o di processioni di capannoni industriali. Abbiamo deciso di giocare, tutti insieme, la nostra partita in questi territori. Questo sentimento di comunità non è, lo ripeto, d’occasione. Proprio perché in queste zone sono forti i legami sociali, i vincoli di amicizia, il rispetto del lavoro, questi eventi tragici diventano pozzi di dolore, deserti di senso. Non capiamo perché possa essere successo proprio a Massimo. Non comprendiamo perché possa essere successo proprio in queste terre dove il lavoro conserva una sua speciale dignità e dove il lavoratore non è un solo un postulato di produttività o di efficienza oraria ma, essenzialmente, una persona, infinitamente ricca di affetti, storie, aspettative e progetti. Non voglio entrare in merito alle dinamiche dell’incidente né sulle varie ipotesi. Le conclusioni spettano alla magistratura. Tuttavia, questa drammatica fatalità ci induce nuovamente a riflettere sulla questione della sicurezza sui luoghi di lavoro, anche laddove, e ciò è il caso nostro, non appaiono conclamati motivi di preoccupazione o di rischio. Voglio dire che, per quel che mi è dato di sapere e vedere, in questa ristrutturazione non si lavorava con l’assillo del tempo o in condizioni di precario equilibrio strutturale. E ci lavoravano aziende delle nostre zone. Aziende misurate, conosciute, con una bella esperienza alle spalle in fatto di interventi. Imprese costituite spesso da giovani che hanno scelto di restare in questi luoghi, mettendosi in gioco e rischiando l’intrapresa. Evidentemente, queste circostanze – vorrei dire culturali, umane, di organizzazione aziendale – non sono sufficienti a scongiurare i rischi connessi all’attività lavorativa. Insomma, nonostante la nostra qualità del lavoro (e io sono convinto che qui, nell’alto orvietano, una specifica qualità del lavoro ci sia), nonostante il nostro mettere al centro la persona, nonostante la cura con cui si corrisponde alle normative in materia, ci sia ancora qualche elemento fuori posto. Noi tutti – e con la parola “tutti” ricomprendo istituzioni, imprenditori e imprese, sindacati, lavoratori e cittadini - dovremmo avere l’ambizione di annullare anche gli asintomatici margini di rischio e che sono spesso inavvertiti proprio perché ritenuti non cogenti. La vigilanza sui luoghi di lavoro, specialmente laddove sussistano questi rischi asintomatici, non può essere mai abbassata neppure laddove l'esperienza, le relazioni, la serenità dei rapporti potrebbero suggerire un qualche fatale disimpegno. Le aziende e i lavoratori debbono essere inflessibili per quel che riguarda l'adozione delle misure necessarie alla tutela di chi è impegnato nei luoghi di lavoro poiché non c'è nulla capace di ripagare una vita dissolta. Inflessibilità vuol dire anzitutto rigore nelle procedure, nelle metodologie. Vuol dire anche misure non accessorie rispetto agli obiettivi della produzione e del risultato. Il fato, dicevano gli antichi, è figlio del Caos e della Notte. Ed è cieco. Ecco: noi dobbiamo avere il coraggio, la forza e l’intelligenza di restituire un po’ di chiarore laddove il destino lasci spazio all’efficacia del nostro agire. La questione della sicurezza sui luoghi di lavoro, è stato detto, è una questione di civiltà. Più volte il presidente Giorgio Napolitano ha richiamato l’attenzione su questo tema, investendovi tutta la propria autorevolezza. Il Governo Prodi si è fatto interprete di questa esigenza approvando, nell’aprile di quest’anno un decreto legge sulla sicurezza di grande portata, un testo all’avanguardia nella legislazione europea. Anche la regione dell’Umbria ha fatto di questo tema uno degli elementi centrali delle sue politiche approvando recentemente la costituzione di un fondo per le vittime degli incidenti. Questo per dire che le istituzioni non sono rimaste inerti, che la politica non è rimasta immobile. Però, al di là delle parole, al di là del nostro ruolo che ci chiama ad una responsabilità collettività e ci induce a parlare con tutti e a lavorare tentando di indovinare il futuro migliore, resta l'immane tristezza per questa vita strappata,  il lacerante dolore che attaglia i cuori degli affetti più cari. Lavoriamo per lo sviluppo di queste zone senza per questo pagare tributi di sangue, senza immolare vittime. Vigiliamo, tutti insieme, affinché queste tragedie non abbiano più a ripetersi. Reclamiamo, con forza, una cultura della sicurezza che trovi nel lavoro concreto il suo punto di emanazione e di solidità. Ancora una volta rivolgiamo il nostro pensiero a Massimo. Questa volta in silenzio, facendo spazio all’invincibile dolore non-senso di una morte che non avrebbe dovuto esserci. Ciao Massimo."