sociale

Il discorso di Souhayr Belasshen

sabato 31 maggio 2008
PREMIO INTERNAZIONALE AI DIRITTI UMANI CITTÀ DI ORVIETO Discorso di Souhayr Belhassen, Presidente della Federazione internazionale delle organizzazioni dei diritti dell'Uomo Comune di Orvieto / Italia 31 maggio 2008 Signore, Signori, sono emozionata e fiera, e perché non dirlo, felice del riconoscimento che mi concedete. Questo onore lo ricevo con l'umiltà che viene dalla consapevolezza che attraverso me rendete omaggio e onore ai difensori dei diritti dell'Uomo che si battono contro la repressione, la tortura, la miseria e l'esclusione. In sostanza, mi sembra che questo riconoscimento sia destinato all'organismo che ho l'onore di presiedere. La Federazione internazionale delle organizzazioni dei diritti dell'Uomo, un organismo a difesa dei diritti umani costituito nel 1922 che rappresenta oggi 155 organizzazioni di difesa dei diritti dell'Uomo di circa 100 Paesi. Io stessa vengo da una delle organizzazioni appartenenti alla FIDH, la Lega tunisina dei diritti dell'Uomo, in un paese che non è certo contraddistinto da buoni risultati in materia di diritti umani, in cui coloro che li difendono sono tormentati, spiati e perseguitati dalla giustizia per il fatto di rivendicare i diritti dell'Uomo. Donna del mondo arabo-musulmano, in cui la cultura e le tradizioni imbavagliano le donne e frenano la loro emancipazione, mi mobilito, attraverso la mia organizzazione, per rivendicare l'universalità dei diritti umani a 60 anni dall'adozione della dichiarazione universale dei diritti dell'Uomo, e per far vivere ed esistere questi diritti in ogni parte del mondo. E' a mio avviso altamente simbolico che la città di Orvieto consegni questo premio al ricorrere di questo anniversario. A vostro modo, celebrate e manifestate l'universalità di questa dichiarazione. Questo anniversario ci offre l'occasione di riflettere sul significato di quel testo, e sul senso attuale della sua universalità. Innanzi tutto, il mio pensiero va a quelle e quelli che lavorano all'universalità dei diritti dell'Uomo in ogni luogo del mondo, a quelle donne e quegli uomini che costituiscono le organizzazioni che fanno parte della FIDH o che la sostengono. Penso, oggi, alla mia amica Julienne Lusenge, coordinatrice dell'associazione di Solidarietà femminile per la pace e lo sviluppo nella Repubblica democratica del Congo, che si batte per la condanna come crimine di guerra dell'utilizzazione massiccia della violenza contro le donne, i bambini e gli anziani, e per porre fine alle pratiche barbare attualmente adottate nelle province del Kivu. Per essere venuta, la scorsa primavera, a denunciare questi sistemi in Europa, Julienne si trova oggi minacciata di morte dalle milizie criminali nella RDC. Penso anche alle decine di militanti iraniane mobilitate con una petizione per il riconoscimento dei diritti delle donne, che si sono fatte pestare e arrestare ben sapendo che sarebbero state condannate alla fustigazione. Penso infine a Hu Jia, recentemente condannata in Cina a tre anni e mezzo di prigione per la sua azione di difesa delle persone affette da AIDS, per aver pubblicato un articolo sui diritti umani in Cina che chiedeva riforme alle autorità cinesi prima dei giochi olimpici di Beijng. Donne e uomini militanti della pace e dei diritti umani sono stati condannati o si trovano minacciati. Alcuni riescono, con le loro lotte, ad ottenere dei risultati. Tutti questi militanti portano un solo e unico messaggio attraverso il mondo, la rivendicazione universale dei diritti dell'Uomo. Sono loro che difendiamo rivendicando ogni giorno i diritti umani. L'anniversario della Dichiarazione costituisce anche un'opportunità per porre l'accento sul fatto che, grazie alla loro lotta, guadagniamo ogni giorno terreno. Quando dico noi, non intendo dire semplicemente la FIDH, ma tutte le donne e gli uomini che difendono ogni giorno l'universalità della dichiarazione. Nel novero di quello che avanza, desidero sottolineare due avvenimenti che stanno particolarmente a cuore alla FIDH, perché sono frutto di una grande mobilitazione da parte delle nostre organizzazioni territoriali. Il primo è l'arresto di Jean-Pierre Bemba Gombo a Bruxelles, una settimana fa, in seguito al mandato di arresto della Corte penale internazionale. Ex Vice presidente della Repubblica democratica del Congo, presidente e comandante capo del Movimento di Liberazione del Congo (MLC), Jean-Pierre Bemba sarebbe responsabile di crimini contro l'umanità commessi sul territorio della Repubblica centroafricana. Sotto la sua direzione, le truppe dell'MLC avrebbero effettivamente attaccato in modo sistematico e generalizzato la popolazione civile e commesso stupri e atti di tortura. La FIDH e le sue organizzazioni sono state le prime a condurre un'inchiesta su questi avvenimenti tragici e a denunciare, sulla base delle testimonianze delle vittime, gravi crimini internazionali. L'arresto di Jean-Pierre Bemba è una grande vittoria per le vittime centroafricane, di cui onoriamo oggi il coraggio e l'abnegazione. Si tratta di un risultato formidabile per la lotta contro l'impunità in Africa e nel mondo, più precisamente per la lotta contro le violenze perpetrate sulle donne in tempo di guerra. Questo arresto è stato possibile grazie all'apertura, lo scorso dicembre, del processo a un altro grande criminale, il vecchio dittatore peruviano Alberto Fujimori, perseguito per omocidi plurimi, attentati all'integrità fisica e sequestro aggravato. Fujimori aveva tentato per quasi sette anni di sfuggire alla giustizia rifugiandosi prima in Giappone e poi in Cile, da dove è stato estradato. Il 12 dicembre è stato condannato a sei anni di prigione per aver inviato uno dei suoi collaboratori a trafugare documenti presso il capo dei servizi segreti. Attualmente risponde dei massacri di 25 persone a Barrios Altos e all’Università della Cantuta nel 1991 et nel 1992, compiuti da uno squadrone della morte, il gruppo Colina, di cui sarebbe l'ispiratore. E' inoltre accusato del sequestro di un imprenditore e di un giornalista contrari al regime, tenuti prigionieri nei sotterranei dei servizi segreti nel 1992. Il procuratore ha chiesto per lui 30 anni di prigione. Una buona notizia, perchè si tratta del primo presidente giudicato nel suo paese dopo aver avuto l'estradizione da un paese terzo. Un'eccellente notizia, perché questo processo mette fine a più di 15 anni d'attesa per le vittime, sostenute per tutto questo tempo dalla FIDH et dalla sua organizzazione membro in Perù, l'APRODEH. Se sottolineo questi risultati, è perché sono necessari per permetterci di continuare, di affrontare le violazioni in tutto il mondo, di dare speranza alle vittime, di continuare a credere, a dispetto dell'attualità troppo spesso moribonda, che l'Universalità dei diritti dell'Uomo può essere realizzata. Tuttavia questa lotta è ancora lunga, e noi dobbiamo mobilitarci e, soprattutto, restare vigili. Vigilare perché non ci siano regressioni. Lo dico oggi, e qui, in Italia, un paese dove la lotta per i diritti dell'Uomo ha una lunga e antica tradizione. E' l'Italia, infatti, che ha dato alla luce San Tommaso d'Aquino, teologo e filosofo, uno dei primi a sostenere che esistono diritti inalienabili e sovrani della persona. Ancora fortemente impregnati di diritto divino, questi scritti erano tra i primi a riconoscere l'esistenza dei diritti dell'Uomo, di tutti gli uomini. Nel 18° secolo Cesare Beccaria insistette perché si accantonasse la tesi di considerare il criminale come un individuo da escludere dalla società. Mostrò che la pena di morte non ha nessun valore legittimo, perché è impossibile che un individuo decida naturalmente di delegare allo Stato il suo diritto alla vita. Una lotta, la sua, che noi continuiamo oggi a portare ovunque nel mondo, e di cui l'Italia è uno dei grandi difensori all'Assemblea delle Nazioni Unite. Ma l'impegno per il riconoscimento di questi diritti richiede la nostra vigilanza e deve rispondere a nuove sfide: le sfide, qui, sono quelle poste dal Vaticano, che un anno fa, dopo la mobilitazione di Amnesty International sui diritti legati alla riproduzione, ha chiamato le persone di confessione cattolica, con il monito del Cardinale Renato Martino, a sospendere il sostegno all'organizzazione di difesa dei diritti umani, accusandola di aver «tradito la sua missione». In Italia, lo Stato ostacola la sfida della non-discriminazione, e la viola, rimandando in massa gli emigrati rumeni nel loro paese d'origine e facendo subire all'intera comunità le conseguenze delle azioni di pochi di loro. C'è una frontiera tra la responsabilità individuale e l'accusa collettiva, passare dall'una all'altra, come ha fatto il Consiglio Italiano lo scorso Ottobre, è dare prova di razzismo. Le sfide sono anche quelle poste dal Tribunale di Bologna e dalla Corte di Cassazione italiana, che hanno riconosciuto il diritto alla Charia e, in nome della tradizione e della religione, hanno rifiutato di condannare i comportamenti violenti inflitti dai membri della sua famiglia a Fatima, una giovane donna di origine musulmana. Fatima era stata sequestrata e attaccata a una sedia, poi brutalmente percossa, per punirla delle sue frequentazioni e del suo stile di vita. La Corte di Cassazione ha assolto la famiglia, considerando che la ragazza era stata percossa « non per motivi vessatori o per disprezzo », ma – e con ciò riconosce la motivazione di questi atti – per comportamenti « giudicati scorretti ». I diritti dell'Uomo, qui il diritto di non essere picchiati, devono essere gli stessi per tutti, senza distinzione di religione. Infine le sfide sono quelle poste dal Governo italiano, quando, in queste ultime settimane, in un pacchetto di riforme sulla Sicurezza, fa un deplorevole amalgama tra immigrazione e criminalità. La FIDH è particolarmente preoccupata di queste nuove disposizioni, che vanno ancora una volta nel senso della stigmazizzazione degli stranieri, della restrizione dell'accesso alle procedure di asilo e verso una gestione puramente repressiva del fenomeno migratorio. Dalla mia elezione a capo della FIDH, ho potuto visitare in Europa centri di detenzione di immigrati e di richiedenti asilo politico in Polonia e in Belgio, e constatare ogni volta la miseria umana di intere famiglie, di bambini privati della libertà. Poco tempo fa, abbiamo aperto un'inchiesta in Italia, e sporto denuncia, all'Unione per la Tutela dei diritti dell'Uomo, l'UFTDU, la nostra organizzazione partner in Italia, sulla realizzazione del diritto d'asilo, a forza di constatare che i responsabili italiani stentano ad uscire da questo circolo infernale. E' tempo che gli Stati europei, l'Italia in particolare, adottino delle politiche ambiziose che prendano in considerazione i diritti inalienabili dei migranti. Per i 60 anni della Dichiarazione universale dei diritti dell'Uomo, facciamo l'augurio della riaffermazione della sua universalità, non solo per le popolazioni più lontane dall'Europa, ma anche nelle nostre città e contrade, per i nostri vicini, tutti i nostri vicini, per le donne e gli uomini che vivono accanto a noi. E' dalla nostra capacità a riconoscere i loro diritti che riusciremo a trarre la nostra legittimità a rivendicarli per tutti e dapertutto. Signore, Signori, vi ringrazio.

Questa notizia è correlata a:

Souhayr Belhassen riceve il Premio ai diritti umani: gratitudine e un gentile monito all'Italia xenofoba