sociale

Per Luca e per la sua battaglia

martedì 21 febbraio 2006
di Davide Orsini
Oggi una parte di me vorrebbe piantare tutto e rifugiarsi nel più assoluto silenzio, nella muta rassegnazione per la perdita di un amico. Luca mi direbbe che cominciamo proprio male. Mi direbbe di piantarla di mugolare, ‘che non è questo il momento. C’è da lavorare, c’è da fare. C’è da raccogliere tutte le energie e camminare contro vento, contro tutte le avversità, anche contro la stupidità e la bigotteria di quelli che ancora pensano che il destino di ogni persona sia segnato dalla sorte o dalla volontà divina e per questo vorrebbero imporre agli altri “la verità”. Luca ha illustrato a molti “una verità”, la sua verità. La verità di tante persone che hanno vissuto e che vivono la sua condizione di sofferenza e di speranza. Questa verità non ha bisogno di cittadinanze onorarie conferite per il fatto di essersi ammalati. Questa verità ci è stata offerta come una possibile isola di libertà nella quale poter dialogare senza pregiudizi e senza le imposizioni di alcuno. Luca diceva spesso che una persona diventa veramente malata quando gli altri cominciano a percepirla ed a trattarla come tale. Ma Luca sapeva anche che la capacità di andare oltre l’umana compassione, la capacità di capire la sua verità rappresenta lo sforzo più grande per ognuno di noi. Uno sforzo tanto più grande quanto più compiuto in una società che culturalmente concepisce la malattia come una condizione di minorità, alla quale va dato il conforto della compassione e della carità, per cercare di esorcizzarne le paure. Se c’è una cosa che Luca non ha mai fatto è chiedere tale compassione. Non ha mai allungato una mano con il piattino, come un mendicante all’uscita del salotto buono della politica, si fa per dire. Lui parlava di diritti. I diritti che rendono l’individuo libero di vivere (o di morire), anche se afflitto da una malattia che oggi è ancora inesorabile, potendo usufruire di tutti i mezzi necessari per migliorare la propria vita. Ma i diritti individuali sono la spina nel fianco di coloro che pensano che le gentili e caritatevoli concessioni siano fonte di sollievo per i rimorsi di coscienza e gli incubi dai quali vorremmo rifuggire. Nell’isola di Luca si parla un’altra lingua, quella del rispetto dell’identità di ciascuno, senza distinzioni ed etichette. Io su questa isola ho fatto fatica ad approdare. Per me era tutto così confuso, incerto. Tutte le mie certezze e le abitudini nel tradurre i miei sentimenti in azione di fronte alla malattia sono state messe in discussione e stravolte. Luca sapeva del mio disagio interiore iniziale. Lo percepivo quando mi sorrideva e con il suo solito sguardo penetrante mi diceva “guarda che ho capito che te la stai facendo sotto”. Dopo un certo periodo ho compreso quello che Luca stava facendo e quanta strada avesse percorso da solo con l’aiuto di Maria Antonietta e della famiglia. Luca allora mi è apparso come un gigante, un enorme spirito in grado di muovere le montagne e squarciare il velo del silenzio dietro al quale la sua malattia lo avrebbe costretto se lui testardo, caparbio, inarrestabile, non avesse continuato a lottare lucidamente. Era entrato nella tribù radicale ed aveva cominciato a declinare al plurale la sua sete di diritto e la sua voglia di non arrendersi. Uno strumento di libertà a disposizione degli assetati di libertà. La sua isola si è popolata e sempre più numerosi in molti hanno pensato che fosse ora di nuotare nel mare dei dubbi e dell’incertezza per raggiungere uno spazio libero di dialogo e di confronto per la soluzione di problemi concreti di milioni di persone. Questo è quello che scrive Luca nel suo libro a pagina 18: << Tre anni fa mi sono ammalato ed è come se fossi morto. Il Deserto è entrato dentro di me, il mio cuore si è fatto sabbia e credevo che il mio viaggio fosse finito. Ora, solo ora, comincio a capire che questo non è vero. La mia avventura continua, in forme diverse. Nove anni fa, nel Deserto del Sahara, stavo cercando qualcosa. Credevo di essere alla ricerca di me stesso e mi sbagliavo. Pensavo di voler raggiungere un traguardo e mi sbagliavo. Quello che cercavo non era il mio ego o un porto sicuro, ma una rotta verso quella terra per me così lontana dove abitano Amore e Speranza >>. Io continuo a vedere Luca come un enorme spirito in grado di muovere le montagne e squarciare il velo del silenzio e in questo momento vorrei avere soltanto un granello della sua forza per sopportare il dolore di oggi e continuare a sperare e a correre domani. Con immenso affetto. Davide.