sociale

A Luca

martedì 21 febbraio 2006
di Riccardo Cambri
Spesso le notizie sono così inevitabilmente presagibili da essere ancora più dolorose allorquando si verificano. E’ accaduto anche per mio padre; il giorno che il professor Lanzetti emise il verdetto di sclerosi laterale amiotrofica, io e mia madre sapevamo che avrebbe avuto pochi mesi di vita innanzi a sé; e noi, insieme a lui. Ciononostante i 26 mesi al termine dei quali fu vinto dal male ci sono sembrati egualmente vita, pur in mezzo agli infernali ausili meccanici che aiutavano mio padre nelle funzioni vitali; tantoché, fosse dipeso da me, da mia mamma e anche da mio padre, quel periodo di agonia fisica lo avremmo procrastinato all’infinito. Ma i 26 mesi di sopravvivenza predetti dal neurologo furono in pieno rispettati dall’aggressività della malattia; mio padre sarebbe dovuto essere morto il giorno stesso della diagnosi, io ne ero convinto, ma non fu affatto così; fu lui stesso, con i suoi sorrisi, con le sue lacrime ed anche le sue sacrosante incazzature a convincermi che il desiderio di vivere, financo di sopravvivere, è più forte di tutto. Anche della sclerosi laterale amiotrofica, una malattia troppo diversa dalle altre per i tremendi colpi che infligge alle sue vittime. Non è facile accettare, progressivamente ed ineluttabilmente, di non riuscire più a pettinarsi, a farsi la barba, a sfogliare un libro, ad impugnare il telefono, ad allacciarsi le scarpe, a tirar su i pantaloni, e poi a parlare, a mangiare, a respirare… Per chi ha comunque provato tra i propri affetti la Sla, la figura di Luca Coscioni rappresentava un preciso riferimento, di coraggio e volontà: un ragazzo giovane, colto, intelligente, bello e forte che aveva intrapreso una battaglia senza quartiere contro la malattia e contro i pregiudizi dei pressappochisti; il suo impeto e la durata incredibile della resistenza strenua del suo fisico alla Sla ne hanno fatto un eroe, un modello cui potersi aggrappare. La sua lotta affinché si arrivasse ad una ricerca scientifica scevra di ogni preconcetto morale o religioso ha alimentato le speranze di tanti altri suoi sfortunati colleghi malati. Lungi da me qualsiasi considerazione o speculazione di natura politica sull’operato di Luca Coscioni: non ne sono capace, non ne ho la preparazione culturale adeguata; se dovessi anche inavvertitamente farlo, me ne vergognerei profondamente. Ci penseranno altri a farne, di considerazioni moralistiche e politiche, anche avventori dell’ultima ora magari colti da una tardiva illuminazione su queste tematiche; è nell’ordine delle cose, d’altronde forse Luca stesso lo avrebbe previsto… Ma noi dobbiamo saper accogliere anche l’eredità nascosta dell’esperienza Coscioni, un messaggio che insieme ad altri aleggiava nelle sue azioni: la presa di coscienza della condizione dei malati di Sla e di tutte le altre terribili malattie rare. Forse con le cellule staminali queste varie forme di malattie neuro-degenerative si potranno contenere, o anche curare, o magari prevenire, chissà; forse, tra cinque, dieci, vent’anni… Ma allora sarà troppo tardi per alcuni, lo è già stato per Roberto, Luca, Alfredo, lo sarà, purtroppo, per Anna… E nel frattempo? Il nostro dovere è quello di occuparci adesso dei nostri fratelli più sfortunati, è quello di domandarci se noi possiamo essere loro di qualche sollievo, se possiamo aiutare concretamente una famiglia distrutta dalla malattia incombente anche nell’esercizio delle attività più quotidiane ed ordinarie e che possono diventare autentiche Vie Crucis. Che mai dovessimo accorgerci di aver provato indifferenza verso questi nostri fratelli bisognosi solo dopo essere stati coinvolti in prima persona nelle medesime esperienze. Semmai queste parole potranno servire a qualcosa, vorrei abbracciare Maria Antonietta, una donna coraggiosa che ha amato suo marito sopra ogni altra cosa; ed un pensiero commosso ai genitori di Luca che hanno avuto il merito di mettere al mondo e di crescere un uomo di tanto valore intellettuale.