politica

Il manager di Orvieto e le primarie PD. Il futuro sindaco dovrà essere un facilitatore di energie non un salvatore della patria

lunedì 24 febbraio 2014
di Davide Orsini
Il manager di Orvieto e le primarie PD. Il futuro sindaco dovrà essere un facilitatore di energie non un salvatore della patria

Confesso che ero piuttosto scettico sulla candidadatura di Germani alle primarie del PD. Da lontano e con qualche suggerimento arrivatomi dai social network percepivo lo scontro fra Taddei e Germani come la resa dei conti fra vecchio e nuovo. Mi sbagliavo. Col passare dei giorni Germani ha dimostrato di essere un candidato solido, sincero e responsabile. Si d'accordo la sua prosa a volte lascia a desiderare, ma anche durante questa campagna elettorale interna l'attuale capogruppo PD ha tirato fuori il meglio di sé. A domanda ha risposto. Anche Taddei mi è sembrato all'altezza della situazione, ma la sua scarsa conoscenza del dettaglio e l'essere stato catapultato nella contesa piddina proprio all'ultimo minuto hanno ridimensionato le sue reali possibilità di presentarsi in modo convincente. Lo scarto fra i due maggiori contendenti non è abissale. Il partito, o meglio i duemila e passa elettori/militanti/simpatizzanti che hanno deciso di vincere lo scetticismo che avvolgeva questa travagliata contesa e di andare a votare, si sono divisi non tanto sui programmi futuri ma sulla storia dei candidati. Ho avuto modo di ascoltare e di leggere qualche proposta (come riportata dai media locali) e mi pare di poter dire che grandi differenze non le ho potute registrare.

Qualcuno in città storce il naso, accusando il PD di non avere un'anima e di essere un partito in cui si consumano solo faide intestine e lotte fratricide per la tutela di interessi particolari. Il cinismo ci ha mangiato l'anima. Ormai vediamo complotti e corruzione ovunque, tanto che chi soltanto concede il beneficio del dubbio al proprio interlocutore viene additato come ingenuo (nel migliore dei casi) o come complice di chissà quali oscuri disegni. Credo che oggi la vera rivoluzione politica vada combattuta prima di tutto a livello individuale. Una frase di Hermann Hesse che mi ha sempre affascinato esprime ciò che penso in questo momento: "Quanto minore è la mia fede complessiva nel nostro tempo, quanto più decaduta e corrotta mi sembra l'umanità, tanto meno contrappongo a questa decadenza la rivoluzione e tanto più credo alla magia dell'amore. Tacere su un argomento di cui tutti chiacchierano è già qualcosa. Sorridere degli uomini e delle istituzioni senza ostilità, combattere la carenza d'amore nel mondo con una piccola eccedenza d'amore nel piccolo e nel privato: con più fedeltà nel lavoro, con maggiore pazienza, con la rinuncia alle facili vendette dello scherno e della critica: ecco tante piccole vie che si possono percorrere".

Questo non significa ritrarsi nel privato o rinunciare a fare politica, anzi. Ma se non riusciamo nemmeno per un attimo a prendere sul serio i nostri interlocutori, pensando sempre al peggio, allora non credo che possiamo sperare di costruire un futuro diverso. Lo dico così: il PD potrà diventare un partito vero soltanto quando le sue varie anime riusciranno a coesistere senza patire le sconfitte come la fine della politica, cioè come la fine delle proprie chances di far cambiare idea agli altri e di cambiare il mondo. Insomma, bisogna smetterla di vedere la vittoria degli altri come una catastrofe irrimediabile a cui si può solo rispondere con la guerra totale di resistenza. Se c'è una cosa che le primarie hanno evidenziato è che Taddei e Germani sono compatibili all'interno di uno stesso partito, al di là di chi li sponsorizzi o di chi vi si celi. Anzi, le primarie hanno consentito, finalmente, di far circolare qualche idea per il futuro di Orvieto che, nonostante le rassicurazioni e gli sforzi della segreteria PD, finora non erano riuscite a varcare la soglia di Via Pianzola. Dunque, come nel 2009, le primarie erano necessarie e chi vi si è opposto fino all'ultimo avrà imparato la lezione, speriamo.

Bisognerebbe analizzare meglio le motivazioni che hanno spinto l'attuale segreteria a credere nel candidato unico del partito piuttosto che in una investitura popolare. Non mi piacciono le solite chiacchiere da bar sugli equilibri politici interni, che pur esistono e pesano. Credo piuttosto che il gruppo di Scopetti abbia interpretato in modo personalistico la conduzione di questo processo politico di ricostruzione del partito, al punto da ritenere che aver lavorato per un anno alla definizione di un programma avesse dato alla segreteria una sorta di copyright sul programma stesso da custodire e salvaguardare gelosamente. Il candidato unico avrebbe dovuto essere semplicemente l'interprete di uno schema di gioco fatto a tavolino. Una concezione un po' zemaniana, se vogliamo buttarla sul calcio, che ha sottovalutato tutte le altre componenti che fanno di una squadra un gruppo vincente. La collaborazione e la fiducia reciproca, pur con tutte le differenze che contraddistinguono gruppi ed individui, rimangono ingredienti necessari per riuscire a riconquistare Orvieto. Questo vale anche per gli altri gruppi politici che si collocano a sinistra del PD.

Il gruppo dunque deve prevalere sconfiggendo resiproche diffidenze e pregiudizi basati sul passato. Nel 2009 fu il passato a fregare Loriana Stella, non i duecento voti "deviati" da qualche sabotatore interno. L'errore, come ebbi modo di dire allora criticando la composizione delle liste elettorali e le allenaze del PD, fu di comporre a tavolino una strategia basata sull'aritmentica dei voti, invece di fare scelte coraggiose che avrebbero messo in moto dinamiche nuove. Alle elezioni ci si mette in gioco per trasformare la realtà, non per assicurarsi semplicemente un voto in più degli altri (requisito minimo, direi minimalista).
Tornando al presente, vorrei dedicare un ultimo pensiero alle esternazioni fatte la scorsa settimana da Gianni Stella.

Voglio subito dire che sono d'accordo con Stella su due cose soltanto, il resto ci trova in disaccordo totale. Comincio col dire che sí, Stella è un manager vero, ha gestito bilanci ed è stato responsabile di settori strategici di industrie di stato, participate, e grandi gruppi privati (su cui il giudizio politico può variare, ma non è questa la sede per certe considerazioni). Secondo lo stesso Stella questo curriculum lo renderebbe diverso da Còncina, il quale diversamente dal primo non avrebbe "competenze e seniority" (cito testualmente). In secondo luogo condivido il fatto che Stella potrebbe essere utile alla sua città se volesse mettersi a disposizione come cittadino "influente", ma, aggiungo io, senza chiedere nulla in cambio e senza pretendere di fare il manager della sua Orvieto. È qui infatti che entriamo in disaccordo totale. Stella immagina una città guidata da un Consiglio di amministrazione con una visione tecnocratica e personale della politica. Il ragionamento è semplice (quasi semplicistico): abbiamo problemi di bilancio e dobbiamo rilanciare l'immagine e l'economia di Orvieto, per cui ci vuole qualcuno che abbia capacità manageriali, delle conoscenze influenti, e sappia come muoversi in certi ambienti. Ma questo è un errore. Non è sostinuendo un manager che ha fallito con uno di potenziale successo che possiamo risollevare una comunità come quella orvietana. O ci si rialza tutti assieme e si ricostruisce un senso di identità territoriale ed una nuova imprenditorialità conivolgendo privati ed associazioni, oppure i salvatori della patria lasceranno il tempo che trovano. La sfida futura non è tappare i buchi e basta, ma dare fiducia e motivazioni agli orvietani che vogliano scommetere di nuovo sulla loro città, iniziando a rimboccarsi le maniche da domani (su questo suggerisco di leggere la proposta di Rodolfo Ricci).

Le primarie dovrebbero far capire a tanti che il futuro sindaco non potrà essere l'ennesimo salvatore della patria, ma dovrà essere un facilitatore di sinergie. Non un uomo solo al comando, ma un bravo collaboratore, aperto ai contributi dei suoi concittadini. Abbiamo convissuto per cinque anni con l'idea che l'unico modo per salvarci fosse quello di tappare i buchi. Còncina and friends ci hanno spiegato che non c'erano alternative, legittimando così la loro mancanza di idee e progetti e praticamente affossando ogni dibattito pubblico sul futuro della città. Le primarie del PD hanno dimostrato che se si comincia a parlare di programmi i cittadini sono stimolati a riflettere su ciò che vogliono. Non servono né proclami né complicati schemi elaborati a tavolino. Ci vuole solo un sano dibattito basato su proposte finalmente concrete. Finisco facendo le mie congratulazioni a Germani, con la speranza che insieme ad altri sappia rimettere in moto un dibattito che langue da troppo tempo.