politica

Riproposte. A 6 anni dall'assegnazione del Premio ai Diritti Umani alle Madres di Plaza de Mayo: le esortazioni rivolte allora alla politica locale sono ancora molto attuali, nulla è cambiato in meglio

sabato 28 aprile 2012
di Laura Ricci
Riproposte. A 6 anni dall'assegnazione del Premio ai Diritti Umani alle Madres di Plaza de Mayo: le esortazioni rivolte allora alla politica locale sono ancora molto attuali, nulla è cambiato in meglio

Cercavo una data certa, mentre mi sto accingendo a coordinare l'incontro all'Università delle Tre Età sui ricordi argentini del maestro Riccardo Cambri. La data in cui, in rapporti Italia-Argentina ben più lontani di quelli rinnovatisi per il Festival di Musica "Ushuaia Classica", vennero a Orvieto le Madres di Plaza de Mayo, per ricevere l'ormai soppresso "Premio ai diritti umani". Furono due giornate memorabili, con un incontro pomeridiano a Palazzo dei Sette a cura della Biblioteca "Luigi Fumi" il 26 aprile 2006, e l'assegnazione del premio, nella Sala dei Quattrocento, la mattina del 27 aprile. Così, per caso, cercando nell'archivio del nostro Orvietonews e riprendendo il pezzo che avevo scritto in quell'occasione, ho realizzato che ricorreva, ieri 27 aprile, un vero e proprio anniversario: sei anni esatti dall'assegnazione di quel riconoscimento. Ma quello che mi ha più colpito, rileggendo, è che il mio pezzo, che voleva mostrare come le Madres potessero molto insegnare anche alla politica locale, è ancora attualissimo e che, in tutti questi anni, la politica, locale e nazionale, non ha fatto passi avanti ma, semmai, addirittura indietro. Lo ripropongo di seguito, con un po' di rammarico (mala tempora currunt) all'attenzione di lettrici e lettori.
Se qualcuno volesse più notizie su quel premio, e addirittura un e-book tratto da una pubblicazione di Daniela Padoan, basta digitare "mayo" nella nostra ricerca. 

 

Madres de Plaza de Mayo: molto da trasmettere anche alla politica locale

28 aprile 2006

La giornata che le Madres argentine di Plaza de Mayo hanno segnato ieri a Orvieto (nda, 27 aprile 2006) non può essere, anche dal punto di vista giornalistico, un evento che scompaia inghiottito dalle rapide cronache successive o dai ritmi delle nostre vite veloci; e neanche un bell’episodio di questo bel Premio ai Diritti Umani “Città di Orvieto” che scivoli nel pur validissimo contenitore sociale, solidale e umanitario rinunciando a parlare, in modo più esplicito, alla politica. E dirò di più, alla politica locale, impegnata o in via di impegnarsi in una fase di rinnovamento a cui credo che la forte esperienza delle Madres argentine – che è “politica”, e che come tale esse rivendicano – possa trasmettere qualcosa. Anzi, “debba”, se Orvieto le ha scelte per un premio. In questi giorni abbiamo dedicato uno spazio particolare a questo evento: è stata una precisa scelta editoriale, che non avrei potuto non riservare – come “direttora” di giornale - all’agire politico di queste straordinarie donne, spiazzanti e coraggiose, che sono state da sempre per me un forte riferimento, un punto legittimante di molto mio agire e pensare: madres appunto, quelle che il femminismo della differenza chiama “madri simboliche”. Non si deve infatti credere che l’esperienza delle Madres (e alcuni colloqui diretti con loro in questa preziosa occasione me l’hanno confermato) abbia qualcosa da trasmettere solo in situazioni drammatiche ed estreme come quelle da loro vissute e affrontate, ha invece molto da insegnare anche in situazioni tanto più normali e quotidiane. Perché, come loro stesse affermano, nada es pequeño: niente è piccolo o di poca importanza, e ogni piccola cosa deve essere netta e precisa, mirata.

Innanzi tutto il senso stesso della parola "politico", per cui politico – per le Madres – è non solo e non tanto quello che avviene a Palazzo, ma anche e soprattutto quello che avviene nella “Piazza”, quello che si può fare in ogni piccola situazione e in ogni momento. “Politico è tutto – afferma Hebe de Bonafini, la loro presidente che abbiamo avuto la fortuna di incontrare a Orvieto –è anche andare a fare la spesa in un posto piuttosto che in un altro.” Poi la socializzazione della maternità, estrapolata dal puro e drammatico contesto dell'assunzione della maternità per tutti i 30mila desaparecidos, ma anche intesa come cura dell'altro, pratica del gesto amorevole e del lavoro ben fatto, esempio e semina di buone pratiche. “Che sia un risotto o la marcia, sbucciare una cipolla o stendere un progetto, le cose vanno fatte bene e con precisione, con amore e cura”: anche questo dice Hebe; non ha niente di particolarmente eroico e può parlare, in ogni situazione, anche alla politica e al Palazzo. Che siano i giovani che circondano le Madres nei luoghi che hanno saputo mettere in piedi e che alle loro cure sono già affidati – l'università popolare, il caffè letterario, la casa editrice, la radio, il mercato ortofrutticolo – i bambini che intendono, anche con l'assegno di questo riconoscimento orvietano, educare e raccogliere, gli operai in lotta o in sperimentazione che sostengono, i progetti che sono impegnate a presentare in tutto il mondo, la marcia puntuale del giovedì o la discussione e il pasto tra compagne, tutto ha bisogno del medesimo amorevole preciso gesto. Non abbiamo, anche noi qui a Orvieto, molte cose da fare? cambiamenti da apportare, situazioni critiche da sostenere? Che siano le operaie della MCO, la minaccia della chiusura dello stabilimento acqua Panna, i bambini o gli immigrati, la ex Piave o il nuovo partito democratico, i nostri giovani che hanno bisogno di progetti – magari anche di concorrere a elaborarli piuttosto che subirli - può servirci o no, anche in situazioni meno estreme, l'esempio di questo minuzioso, amorevole, preciso, concreto fare?

Altro aspetto importante, da cui prendere esempio sempre e comunque, quello che le Madres affermano a proposito del linguaggio. “La parola – dice Hebe – deve essere vera, le cose vanno chiamate con il loro nome, pronunciate o denunciate per quello che sono. Le parole devono essere precise, chiare, andare allo scopo. La parola è politica”. Senza arrivare agli estremi eufemismi della “dittatura” argentina designata come “processo di riorganizzazione”, del “sequestro” chiamato “appropriazione”, o dell'assassinio dei desaparecidos nominato come “volo”, non può dire qualcosa tutto questo anche alla nostra civiltà nordequatoriale, alla nostra vita politica nazionale, a quella cittadina? Penso a tutti i messaggi incrociati che arrivano “da chi a chi” e “attraverso chi e che”, alle dichiarazioni, alle opinioni, ai retroscena e ai retrotesti della vita nazionale, e soprattutto della nostra vita cittadina - perché noi qui siamo - di questi ultimi mesi (o anni dovremmo forse dire). Sì, nel segno delle Madres, anche in una situazione meno estrema mi sento di affermare: le parole devono essere vere, precise, chiare, andare allo scopo. Quando ci si siede intorno a un tavolo - di concertazione o di qualunque cosa sia - è con questo linguaggio vero e netto delle Madres che bisognerebbe parlare.

La migliore delle lezioni infine: quel rovesciamento della morte che le Madres hanno saputo operare trasformandola in vita, in trasmissione non di “valori” - come siamo abituati a dire – ma di pratiche e di concretezza. Per loro la vita è "rivoluzionaria": perché effettivamente se vissuta con autenticità è lotta, è mettersi sempre in gioco; è sognare, ma perché quei sogni diventino realtà; è progettare, fare. Per questo hanno scelto non di piangere o di essere compiante per la sparizione dei loro figli, ma di assumere i loro sogni e i loro ideali per farli diventare realtà. Del valore che danno a questo rovesciamento della morte in vita ne hanno dato un esempio concreto anche a Orvieto, dopo il minuto di silenzio osservato a Palazzo dei Congressi per il recentissimo attentato di Nassiriya. Dopo quel minuto di silenzio, osservato nel più assoluto rispetto delle pratiche dell'altro, Hebe ha introdotto, in modo paritario, la pratica della vita secondo le Madres chiedendo, con tutta l'autorevolezza della semplicità, un minuto di applauso per tutti coloro che sono morti per la libertà. Di fronte al suo atto ho pensato che un minuto di applauso, in effetti, ha molto più a che fare con la vita di un minuto di silenzio, che forse sarebbe un modo più giusto per salutare e onorare chi la vita la perde. E' stato un gesto voluto e simbolico naturalmente, questo, che oltre a trasmettere il loro amore della vita e la loro pratica dello spiazzamento, dà conto di quell' affermazione per loro irrevocabile: tutto è politico, niente è piccolo, ogni situazione può diventare occasione per puntualizzare il senso del nostro pensiero e la mirata precisione del nostro agire.

“Credo che la politica vada cambiata – dice Hebe in una delle interviste di Daniela Padoan - bisogna creare un nuovo modo di fare politica, legato alla responsabilità che ti chiama in causa in prima persona; e non bisogna solo intenderlo, questo modo, ma anche maneggiarlo, metterlo in atto; quando smetti di credere che la politica sia votare ogni quattro anni, che la politica siano i deputati, i senatori o il Congresso, allora ti accorgi che la politica è tutti i giorni da tutte le parti.” Credo che questa affermazione – che mi è molto cara e mi trova in perfetto accordo – possa andare bene non solo per l'Argentina, ma per ogni parte del mondo e anche per Orvieto. Può sembrare vecchia e scontata, ma così non è: perché la cosa sempre assolutamente nuova sta nel non solo “intenderlo” questo modo, ma nel “maneggiarlo”.

L'ultima notazione di Hebe de Bonafini, nel chiudere il suo contatto pubblico con Orvieto, è stata ricordare che i giovani “non sono il futuro, sono il presente”. “Noi abbiamo seminato grano – ha affermato – è ai giovani che lasciamo i luoghi e i progetti che abbiamo avviato e che già gestiscono per noi. Tra quel grano un po' d'erbaccia ci sarà, ma siamo certe che è soprattutto buon grano”. Anche questo può servire alla poltica, comunque e in qualunque luogo: i giovani non sono il futuro, sono il presente, non devono sempre star lì ad aspettare il ricambio generazionale o i tempi ormai maturi; ed è grano che bisogna seminare, con loro e a dire il vero con tutti, non tempesta.

Dedico queste mie riflessioni, senza alcuna provocazione e in modo assolutamente pensoso e serio (nda, parole del 28 aprile 2006), a tutta la classe politica orvietana – dirigente e non - chiamata a dare il via a questa nuova fase di cambiamento, e speriamo di sviluppo, che si annuncia. Mi piacerebbe – e penso di parlare non in solitudine, ma in nome di molti e di molte - che questa VI edizione del Premio ai Diritti Umani lasciasse una traccia anche e soprattutto nella politica, che tutto questo fermento cittadino che si annuncia avvenisse anche nel segno di quello che le Madres di Plaza de Mayo possono trasmettere non solo all'eccezionalità, ma alla quotidianità della politica. E le dedico ai nostri lettori e lettrici naturalmente, che molto spesso mostrano di essere come noi convinti “che la politica è tutti i giorni da tutte le parti”.