politica

Il consigliere Buconi: "Insopportabile, sulle pensioni la musica è sempre la stessa"

venerdì 2 dicembre 2011

"Che si voglia ancora una volta fare cassa sulla pelle di lavoratrici, lavoratori e pensionati è francamente deludente almeno quanto intollerabile e insopportabile". Lo afferma Danilo Buconi, consigliere comunale a Monteleone d'Orvieto, che con una nota stampa così continua sulla manovra che dovrà affrontare il nuovo governo Monti:

"Sono 16 anni, dal 1995 ad oggi - afferma - che la musica è sempre la stessa: si usa la leva delle pensioni solo per fare cassa, per sistemare i conti "al momento" colpendo sempre i soliti noti, a prescindere dalla tipologia di lavoro, dal reddito percepito, dalle condizioni sociali ed economiche del nucleo familiare di appartenenza (dove, sempre più spesso, il monoreddito da lavoro di trasforma in monoreddito da pensione, con la differenza che il suo valore reale scende di un buon 30-40 per cento). E che, magari, le bocche da sfamare restano sempre le stesse o peggio ancora aumentano, perché magari i figli hanno messo su famiglia ma il lavoro precario non basta e i nonni arrivano ad aiutare.

Appare ovvio, nel 2012, che un ragionamento sulla previdenza vada affrontato, su questo credo che tutti gli attori sociali, politici e culturali in campo siano d'accordo; il punto, però, è su come e su quali basi impostare il ragionamento, quale direttrice intraprendere e, soprattutto, come tutelare - in primis - la dignità della persona, sia nel rispetto degli anni di lavoro maturati che del diritto a sopravvivere dignitosamente un futuro sereno. Senza considerare, tra l'altro, che la voce previdenza non rappresenta certamente quella più corposa tra le varie voci di spesa pubblica e che, se anche cosiì fosse, essa è comunque alimentata dai contributi versati da lavoratori e imprese.

L'Italia spende, per la previdenza, circa 230 miliardi di euro l'anno: una cifra alta, è vero, ma solo apparentemente se, con un pizzico di onestà in più, si dicesse anche che gli italiani sostengono una spesa complessiva di circa 400 miliardi di euro l'anno per coprire i costi dell'amministrazione politica, dei rimborsi elettorali e delle contribuzioni a partiti e giornali di partito, della pubblica amministrazione nel suo complesso intendendo con ciò l'insieme delle spese necessarie per personale, strutture e servizi.

E' tempo di cambiare, è vero, lo impongono la crisi europea e internazionale e, ancor più, il desiderio, la coscienza e lo scrupolo di lasciare a chi verrà dopo di noi un mondo vivibile non solo sul piano ambientale ma anche dal lato sociale, economico e culturale. Ma è da come verrà imposto il cambio di passo che dipenderà il futuro di tutti noi e le premesse attuali non sembrano , davvero, le migliori. Il nostro Paese, si dice ormai da giorni, da settimane, da mesi, per rientrare nei parametri europei relativi al rapporto Deficit/Pil ha bisogno di una manovra correttiva biennale di circa 25-30 miliardi di euro: io preferisco portarmi avanti con il lavoro e - come ho già più volte rimarcato - ritengo che la necessità finanziaria per garantire al nostro sistema economico un pareggio di bilancio certo, affidabile e duraturo, possa ammontare anche a 50 miliardi di euro in due anni, circa il doppio delle cifre che ci vengono fornite, cui occorre aggiungere risorse nuove, fresche, per ridare ossigeno all'economia e rilanciare quello sviluppo economico e sociale senza il quale l'unica strada certa è quella del declino e dell'abisso.

Come reperire i 50 miliardi in due anni? Beh, mi si consenta di dirlo, nulla di più facile se si ragiona con concretezza, apertura mentale e lucidità.  L'amministrazione "politica" di tutti i settori dello Stato cosa circa 24 miliardi di euro l'anno e se ad essa si aggiungono rimborsi e contributi - sotto varia forma - alla politica e all'editoria politica, si può ipotizzare che la cifra complessiva annua ricadente sugli italiani possa aggirarsi intorno ai 70 miliardi di euro: un taglio secco di questa voce pari al 30 per cento frutterebbe già, da solo 20 miliardi di euro l'anno.

La partita pubblico impiego-pubblica amministrazione cosa complessivamente, tra spese di personale, uffici e servizi non meno di 300 miliardi di euro l'anno (anche in questo caso probabilmente arrotondati per difetto): un risparmio del 15 per cento annuo su queste somme (anche attraverso l'applicazione dell'orario di lavoro per tutti i pubblici dipendenti e dirigenti a 40 ore settimanali e l'abolizione dei buoni pasto) comporterebbe una minore spesa per le casse pubbliche non inferiore a 45 miliardi di euro l'anno.

L'applicazione di un regime fiscale improntato alla tutela della salute e dell'ambiente, concretizzabile attraverso un inasprimento forte delle accise ed imposte su tabacchi e alcolici, sui giochi e sulle abitudini quotidiane nocive alla salute nonché sulle emissioni nocive in atmosfera potrebbe portare in cassa altri 10 miliardi di euro l'anno.

Volendo fermarci qui e cominciando a tirare qualche somma, potremmo renderci subito conto che - senza intaccare minimamente i redditi delle famiglie - il nostro sistema potrebbe recuperare circa 70 miliardi di euro l'anno, vale a dire 140 miliardi di euro in due anni, cifra ben al di sopra dei 25-30 ipotizzati dal governo attuale attraverso Ici, pensioni e altri tartassi varie a lavoratrici, lavoratori, pensionati e famiglie. E con 70 miliardi di euro l'anno si reperiscono le risorse per risanare il bilancio pubblico annuo (20 miliardi), per ridurre di 3 punti percentuali la pressione fiscali sui redditi fino a 20.000 euro l'anno (circa 25 miliardi) e per favorire lo sviluppo economico delle piccole e medie imprese (i restanti 25 miliardi l'anno).

E senza dimenticare che una patrimoniale progressiva applicata ai patrimoni superiori a 800 milioni di euro potrebbe aiutare a ridurre il debito pubblico nazionale di almeno 200 miliardi consentendo di risparmiare sugli interessi debitori ulteriori 12 miliardi di euro l'anno da destinare ad ulteriore sviluppo economico attraverso la difesa idrogeologica del paese ed il miglioramento delle infrastrutture nazionali.

Come si vede, anche senza mettere mano al sistema delle pensioni si possono riportare i conti in ordine e reperire risorse per lo sviluppo e la ripresa economica e sociale dell'Italia: ciò non significa che non si possa, con calma, meditazione e lungimiranza porre mano alla questione, anche arrivando a fissare a 63 anni l'età minima per accedere alla pensione a prescindere dall'anzianità contributiva: tale misura però, non può essere ristretta ad un articolo di un decreto e, soprattutto, i risparmi da essa derivanti non devono essere utilizzati per fare cassa ma per migliorare il sistema delle tutele e delle garanzie sociali dei cittadini, a partire dai portatori di handicap, dalle donne e dalle persone anziane.