politica

L'assessora Calcagni e il diritto alla scelta consapevole della distanza

martedì 19 ottobre 2010
di laura
L'assessora Calcagni e il diritto alla scelta consapevole della distanza

"Non ho preconcetti, né mi sopravvaluto; molto probabilmente il mio operato non piace e non è in linea. La giunta è divisa da sempre e certamente non per mie responsabilità, comunque non accetto di operare come se l'amministrazione fosse commissariata senza nemmeno poter disporre dei poteri straordinari che un commissario può usare per mitigare gli effetti sul sociale, pertanto lascio la politica a chi è più navigato di me, a chi sono 'quarant'anni che la fa' ".

Questa l'affermazione di maggiore peso politico, all'interno della lettera al sindaco di Orvieto Toni Concina, con cui l'ormai ex assessore Cristina Calcagni ha rassegnato ieri le sue dimissioni. Amaramente ironiche nella chiusa, e al tempo stesso politicamente pesanti, queste parole sono quelle su cui, più che su altre, dovrebbe a mio avviso soffermarsi l'attenzione, se non altro perché lasciano intravvedere scenari su cui da tempo si discute. E bisognerebbe soffermarsi su questo paragrafo - sempre a mio avviso, naturalmente - scevri da pregiudizi di stampo politico e da luoghi comuni, del tipo "il vero condottiero non abbandona la nave, tanto meno la abbandona nel momento in cui c'è da rimboccarsi le maniche".

E' vero, "il condottiero", di solito, non abbandona la nave; restano da esplorare, in casi come questi dei nostri politici giorni, le vere forse inconsce motivazioni. Ma la condottiera, tanto più se vice condottiera (o staff-condottiera, che fa lo stesso) può anche decidere di abbandonarla invece, perché di solito sono diverse, direi per questioni di genere, le modalità di approccio alla cosa pubblica e al "pubblico bene" di cui tanto, da giorni e giorni, si discute. Fatte salve le solite eccezioni - mai generalizzare in assoluto, infatti - mentre la modalità maschile è, non tassativamente ma diffusamente, la lotta e il tener duro a tutti i costi (anche quando la ragione direbbe di mollare), quella femminile, non per vigliaccheria ma per gesto consapevole, può essere, piuttosto, la presa di distanza. Da cosa? Da modi di essere e di pensare profondamente diversi dal proprio sentire e agire e, di conseguenza, da lotte contro i mulini a vento che, oltre a non produrre nulla, possono addirittura essere autodistruttrici.

Sempre piuttosto sole, soprattutto se più che parlare si agisce, sempre nel mirino del dover mostrare e continuamente dimostrare di "essere all'altezza", sempre incalzate da pericolose spesso innaturali richieste di adeguamento a un universo che da troppo tempo pretende di essere unico e insostituibile - quello politico a modalità "maschile", a cui per fortuna anche alcuni uomini stanno abiurando - a ragione come donne si può decidere di non voler essere "Giovanne d'Arco" fino alle conseguenze estreme. Si può, in buona sostanza e se la situazione non convince, anche deporre l'armatura, si può avere il diritto di tornare ad indossare gli abiti quotidiani.

Leggo così, come una consapevole presa di distanza il gesto di Cristina Calcagni, e in quanto tale - dato che della distanza sono da tempo una teorica - lo comprendo e lo apprezzo. Lo leggo come un dissociarsi da un falso eroismo politico di maniera che, di fronte all'evidente disastro delle strategie politiche e dei conti, ha già applicato, di fatto, un commissariamento, contemporaneamente gridando al terrore del commissario. Forbice robusta e inevitabile, quella dei tagli, ma perché ostinarsi ad esserne esecutori e complici quando tra l'altro si afferma - come il centro destra in buona parte a ragione sostiene - di non averne la responsabilità? Lo leggo come una denuncia di quella lunga, perversa, diffusa modalità del sacrificio della cultura e del sociale che, da troppo tempo, divora una politica che ci ha abituato ai grandi eventi e alle grandi opere, senza troppo curarsi del poco e del piccolo di cui hanno bisogno i comuni cittadini. E anche - tra le righe ma non troppo - come una denuncia di appetiti per un rimpasto che, da vari fronti e con diverse modalità, politiche o tecniche, è stato in questi giorni chiesto al sindaco di Orvieto. Richiesta su cui, almeno pubblicamente, il primo cittadino ha silenziosamente glissato.

Indubbio che l'assessore Calcagni, in questo anno e mezzo di attività istituzionale, è stata molto attiva nei suoi ambiti d'intervento, denotando capacità progettuale e relazionale, avviando o concludendo progetti e risolvendo problemi - o creandoli, a detta di alcuni suoi avversari all'interno del centro destra - tanto che le sue dimissioni destano più rammarico nei cittadini meno politicizzati che nell'ambiente dei partiti. Altrettanto indubbio e risaputo che, per la sua capacità di rapportarsi ai problemi senza schieramenti preconcetti e con concretezza, tenendo presenti le persone piuttosto che le tesi precostituite e i tatticismi, è stata, come lei stessa fa capire ma come non è mai stato mistero, osteggiata e avversata all'interno del suo stesso schieramento.

Le sue dimissioni, se aprono da un lato il campo alla possibilità di un rimpasto tattico-politico più che tecnico - cosa che forse molto presto vedremo - mostrano dall'altro, con dignità e con fierezza, che di stare nei luoghi della politica e del potere, quando la politica fallisce e a sopravvivere è l'attaccamento autoreferenziale al ruolo, si può tranquillamente fare a meno. Ci si sposta, ci si distanzia, si fa uno scarto: si farà "politica" in altro modo, magari in luoghi più accoglienti e utili.

È lei che vince, non chi resta; ma a perdere, purtroppo, sono soprattutto i cittadini: lascio la politica a chi è più navigato di me, a chi sono 'quarant'anni che la fa', afferma la Calcagni, forse alludendo a qualche frase che deve aver sentito ripetere nelle stanze delle contrattazioni. Ed è proprio questo il dramma: che non esiste, perché non la si è lasciata crescere o la si è messa in condizione di allontanarsi, una generazione di mezzo di ricambio.

Domani 20 ottobre, con l'improrogabile consiglio sul riequilibrio, si conclude, almeno momentaneamente, l'auto da fé che da vari mesi attanaglia la consigliatura dell'anatra zoppa e la città. A prezzo più che mai alto - tagli su tagli e vendite su vendite (ne fa un elenco esaustivo Gnagnarini: il San Francesco (attuale CRAMST), il Sant'Andrea, il mattatoio, i posti macchina, altri possibili locali, forse la ex Piave  - con il voto contrario di alcuni, con l'astensione di chi non vuole troppo esporsi, forse con qualche clamoroso voto a favore, probabilmente il bilancio passerà, anche se non è detto che lo avalli, specie in relazione a quanto accaduto negli ultimi anni, la Corte dei conti, che si è riservata la data del 26 ottobre per un giudizio complessivo sulle vicende contabili del Comune di Orvieto.

Comunque vadano le cose, che si venga o non si venga commissariati, che si riesca o non si riesca a riequilibrare la spesa, gli assessori e i consiglieri di questa consigliatura, vecchi o nuovi che siano, saranno, per una nuova tornata, pressoché improponibili. A meno che non riescano a risanare e a fare miracoli, anche se non si può fare altrimenti più che quelli del bene della città saranno, nell'immaginario cittadino, quelli dello smantellamento dello stato sociale, delle ultime svendite e dei tagli. L'unica presentabile, a una prossima tornata, potrebbe essere giusto la Calcagni. E se così fosse o sarà, con la strategia della non compartecipazione - della distanza - potrebbe rivelarsi più acuta e avveduta di chi, la politica, da quaranta e più anni la fa.