politica

La relazione del coordinatore C.E. Trappolino

sabato 28 marzo 2009

Partito Democratico di Orvieto
Coordinamento Comunale 27 marzo 2009
Bozza non corretta

Il 29 marzo di sessantacinque anni fa sette uomini furono trucidati per mano dei nazifascisti. Si erano resi colpevoli di un fatto inconcepibile in un regime di barbarie totalitaria: quello di aver scelto la libertà e la democrazia a guida della loro esistenza e del loro pensiero. Nel soffermarci con la memoria sui Martiri di Camorena, sulle vite strappate di Alberto Poggiani, Amore Rufini, Ulderico Stornelli, Federico Cialfi, Raimondo Gugliotta, Raimondo Lanari e Duilio Rossi noi decidiamo - come ricordava Aldo Capitini, profeta umbro della non-violenza - del loro essere presenti qui e ora, del loro contribuire alla ricchezza di una realtà che si espande perché aperta all'Altro anche se lontano, malato o scomparso.
Nel loro martirio riconosciamo la forza e assieme la tenerezza di una vita pienamente umana, sostenuta dal pathos della trascendenza di valori che noi, oggi, dobbiamo saper trascrivere in un linguaggio nuovo, per sottrarli alla retorica degli anniversari e trasformarli in un patrimonio vivente.

Ritorniamo oggi dentro il coordinamento comunale per riprendere il filo del ragionamento politico, troppo spesso interrotto da vicende non proprio edificanti, ambigue e spesso lontane da quella sobrietà e serietà che dovrebbe contrassegnare il nostro paziente e ostinato lavoro di riforma della politica. Dico paziente e ostinato lavoro perché ci troviamo dinanzi ad una realtà complessa, fatta di tempi, storie, persistenze, viscosità in cui ci muoviamo e rispetto a cui si avverte spesso una sensazione di estraneità. Vero è che pazienza e ostinazione sono le virtù richieste per dare forma alla realtà. Virtù tenaci e umili. Virtù della lentezza poco frequentate da chi vorrebbe piegare il mondo ai suoi comodi con la sola prosopopea delle illusioni.
Paziente e ostinato lavoro per dare consistenza e solidità ai nostri progetti di riforma. Quello che più volte, anche qui, anche a Orvieto e nell'Orvietano, abbiamo indicato come un processo di storicizzazione del presente. E però, con la consapevole responsabilità di dover uscire da questo pasticcio personalistico per affermare una classe dirigente seria, autorevole, competente. Per restituire al partito il compito di organizzare un nuovo protagonismo della militanza e delle idee.
Riprendendo allora il filo del ragionamento politico noi ci troviamo dinanzi tre elementi che meritano la nostra riflessione: (1) la crisi economica, (2) le trasformazioni politiche nazionali e internazionali e (3) la ripresa dell'iniziativa del Partito Democratico.

Il decorso della crisi e il transito dall'economia finanziaria a quella reale non lascia dubbi circa la sua effettiva entità. Crollano la produzione industriale, il fatturato e gli ordinativi. Il PIL del 2009, secondo le previsioni, dovrebbe diminuire del 3,5% mentre entro il 2010 verranno persi oltre mezzo milione di posti di lavoro che, considerando anche i lavoratori in cassa integrazione, portano la cifra a 867mila.
Proprio i dati della cassa integrazione determinano le più forti preoccupazioni: in Italia, + 553% nel mese di febbraio rispetto all'anno passato. In Umbria il dato è doppio: +1000% di cassintegrati nel mese di febbraio rispetto al medesimo periodo del 2008. La crisi colpisce tutti ma, in particolare, quelli che già frequentavano, loro malgrado, le parti basse e difficili della società. La crisi colpisce 14 milioni di famiglie che vivono con meno di 1300 euro al mese.
Siamo di fronte ad una situazione difficile che rende ancora più intollerabile la crescita delle disuguaglianze sociali ed economiche, risultato di mancate riforme e di un Paese che ha scelto di coltivare la rendita anziché il lavoro e i talenti, che pur ci sono, e le capacità di innovare. L'arresto della mobilità sociale non è solo un elemento dottrinale ma una realtà concreta. Per la prima volta nella storia dell'Italia recente, i figli rischiano di stare peggio dei padri. Tremonti si è spesso vantato di aver saputo cogliere i prodromi della crisi, anticipandone i contenuti. Bene, gli abbiamo detto. Ma se sei stato così bravo a fare previsioni, perché hai reagito in maniera del tutto sconclusionata detassando prima gli straordinari, poi gli extraprofitti delle banche (per poi precipitosamente soccorrerle), gettato inoltre miliardi su Alitalia e ICI usando, infine, il caso Englaro e le intercettazioni per alzare un polverone mediatico di rare dimensioni?

Le proposte del nostro segretario Franceschini per affrontare la crisi hanno avuto il merito della perentorietà e concretezza. L'idea di un assegno ai disoccupati e di un prelievo "una tantum" sui redditi sopra 120mila euro pari ad un aumento del 2% da destinare alle povertà estreme, hanno colto nel segno dell'urgenza, ricollegando il PD a quei ceti sociali in sofferenza. Negli ultimi giorni, il segretario nazionale si è reso protagonista di un'importante mozione, approvata anche dalla maggioranza di centrodestra e dallo stesso governo, con la quale si chiedeva di agire sul patto di stabilità degli enti locali al fine di sbloccare 14,5 miliardi di euro - già impegnati - e di attivarne 4,5 da destinare ai nuovi cantieri. Nonostante l'approvazione, il dispositivo è rimasto lettera morta, fornito di appena 100milioni. Bisogna allora spiegare, ai più reticenti, che oggi il piano delle opere pubbliche del Comune di Orvieto è in grado di svolgere una importante funzione anticiclica, oltre a determinare migliori condizioni di vivibilità nel territorio.

Non devo convincervi certamente dell'inadeguatezza del governo. Però, mi pare utile riflettere ancora sulla crisi. Anche se la recessione si rivelasse meno drammatica di quanto appare oggi, è stato ormai compromesso un quadro di certezze e di convinzioni che l'ideologia del neoliberismo aveva cercato di contrabbandare come "leggi naturali" dello sviluppo. La ricerca di un altro equilibrio e di altre prospettive è la via obbligata per mettere ordine al futuro delle nostre società. Se il tema dei tempi presenti è quello di ricercare una relazione diversa e più adeguata tra ragione e potenza - tra razionalità sociale e potere economico e tecnologico, tra gli interessi delle collettività e quelli dei soggetti forti che agiscono sui mercati globali - allora tutto ciò costituisce condizioni singolari per la creazione di un laboratorio di idee e di possibilità che non appartiene né al patrimonio della destra mondiale né alla variante del berlusconismo finora conosciuto.

Si tratta forse del ritorno della "politica"? E vengo al secondo punto, la risposta è "sì" e "no". No, se pensiamo questo passaggio dentro il paradigma della continuità o, peggio della restaurazione. Sì, se sapremo accogliere la sfida di una "nuova politica" chiamata a immettere razionalità dentro l'universo sociale senza ricorrere all'ipertrofia statalista. Servono nuove regole e nuove discipline. Diciamo ancora "sì" se pensiamo ad una politica che metta al centro della sua missione un'autentica rivoluzione morale, un nuovo umanesimo, non più determinata dal mercato, più equa, più libera e armoniosa. Dobbiamo riconsegnare alla politica quella ""trascendenza" dei fini oggi sin troppo determinati dall'ingiusta casualità dell'economia.

Ecco: Bisogna saper leggere le trasformazioni della politica italiana dentro questo nuova paradigma per vedervi non solo la dittatura dell'attimo televisivo ma un formidabile scontro di visioni e di idee. Nella costituzione del partito unico delle Libertà - costituzione provocata anche dalla nascita del nostro partito e dall'emergenza di un nuovo schema bipolare - si possono leggere due ipotesi culturali. La prima, quella prossima al declino, è la berlusconiana, con tutte le esaltazioni del vitalismo consumistico, del privato e la destrutturazione delle regole. La seconda, ed è la destra interpretata da Giulio Tremonti, sempre più spesso incline a dichiarazioni che sembrano autentici manifesti ideologici. Il ministro dell'economia, infatti, sostiene di voler immettere più etica nella nostra economia per costruire un'economia sociale di mercato in cui "al paradigma della domanda di beni di consumo", fondato "sull'indebitamento e l'egoismo dei singoli", si possa sostituire un diverso modello morale, civile e politico, che organizza la domanda sugli investimenti collettivi fatti per il bene comune: non per il presente - dice Tremonti - ma per il futuro. Parole condivisibili.
Ma di quale etica sta parlando il ministro? Qui inizia il confronto perché sono i contenuti dell'etica - che indicano come il mondo "deve essere" - a dettare le discriminanti tra destra e sinistra. La nostra non potrà essere l'etica "neoguelfa" che vorrebbe affrontare la sfida del futuro tornando indietro e tingendosi di tinte antillumististiche. A noi serve un'etica laica della trasformazione e non della conservazione; dell'emancipazione e non dell'irrimediabile minorità dell'uomo; un'etica che favorisca l'aumento illimitato dell' innovazione tecnologica determinandone gli obiettivi con chiarezza. Un'etica che cerchi le sue leggi non nella natura ma nella ragione delle donne e degli uomini del nostro tempo.

Tra destra e sinistra si apre uno scontro ideale. Come uscire, allora dalla crisi? Usciamo protesi a realizzare il nostro ruolo europeo e mondiale, accettando sino in fondo la sfida che ci viene proposta, mantenendo e allargando la nostra posizione, oppure ci aggrappiamo alle nostre radici, chiudendoci in un localismo provinciale, nel protezionismo di nicchia e nel solidarismo compassionevole?
Alla sinistra e al centrosinistra la missione di proporre nel nostro paese un nuovo patto civile, sapendo con certezza che o saremo tutti insieme a salvarci o da soli a essere travolti. Ci si salva insieme, con l'unità. Ci si salva con un progetto di ricostruzione dei legami sociali, con politiche di integrazione, mettendo al centro non solo la competizione ma anche la cooperazione, lasciando la selezione al merito, salvaguardando il territorio e promuovendo una nuova politica sociale che includa la formazione ciclica e permanente . Abbiamo in mente un'Italia plurale e multietnica che metta alla base della vita civile una democrazia più partecipata e un'etica repubblica di emancipazione.

Abbiamo in mente un'Italia che tenga insieme individualismo postindustriale e una nuova socialità, legate alla solidarietà tra generazioni, al consumo e alla produzione cultura, all'equilibrio e alla sobrietà degli stili di vita, in cui la valorizzazione di sé passi per forme diverse dall'acquisizione proprietaria.
Rispetto alla destra, noi vogliamo mettere in campo una nuova idea di uguaglianza. Una democrazia di massa, per ben funzionare, non può oltrepassare una certa soglia nella distribuzione diseguale dei beni. Ecco perché la questione dell'uguaglianza è legata a quella della democrazia. Tuttavia, le nuove disuguaglianze non sono necessariamente legate al solo possesso dei beni. Certamente, ancora appaiono determinate dal possesso e quindi dal conflitto fra capitale e lavoro. Ma, sin da adesso, le disparità sono legate essenzialmente all'accesso. Accesso non solo ai beni materiali ma a quei codici di conoscenza che consentono di poter gestire il destino personale in una società governata dall'intreccio sempre più forte tra ragione, democrazia e mercato e che contribuiscono, sempre di più, alla formazione e conservazione della nostra identità.

Questa prospettiva, che permette la visione della politica in campo largo, ci consente di vedere, in modo corretto, la natura del confronto politico tra centrodestra e centrosinistra. Da questa prospettiva, la costituzione del Partito Democratico diventa non solo perfettamente razionale, di stringente attualità ma addirittura "necessaria". Necessaria perché il campo di forze è del tutto differente da quello conosciuto nel passato e da quei valori rispetto i quali noi siamo chiamati ad un'opera di trascrizione in un linguaggio del tutto nuovo. L'insieme delle nostre contraddizioni sta dentro questo passaggio che è davvero epocale e segna un transito da una fase storica ad un'altra.
È del tutto evidente che la sfida è altra e ambiziosa. Per questa ragione è importante tenere viva la tensione culturale e politica. La prossima tornata elettorale è per molti aspetti decisiva. Si tratta, infatti di un test fondamentale, dal quale il centrodestra trarrà indicazioni in merito alla prossima torsione culturale e politica che ha in animo di imprimere al Paese. È nostro compito, allora, lavorare affinché ci sia una grande mobilitazione a sostegno del Partito Democratico e un grande risultato.

Dario Franceschini, subito dopo la sue elezione, ha impresso al Partito Democratico un supplemento di energia e di concretezza. "Parliamo all'opinione pubblica e ai media - ha detto il segretario - ma teniamo porte e finestre spalancate con i circoli". Un partito radicato sul territorio è un partito di militanti e di iscritti, di persone che dedicano il proprio tempo al volontariato politico e nondimeno un partito aperto all'opinione pubblica e alla società civile. Un partito che seleziona i propri dirigente sulla base della serietà, competenza, onesta e trasparenza; e promuove le proprie classi dirigenti sulla base di un merito che deve essere attestato e tracciato. Rigore, responsabilità e risultati.

Rileggendo le relazioni passate e il lavoro sin qui svolto, ho trovato tantissimi temi che avrebbero meritato una discussione ben più ampia. Tornando indietro nel tempo e a rileggere il "Manifesto per una politica sostenibile" del 2006 si individuano temi di fortissima attualità. Mi chiedo: non è forse il caso che una nuova classe dirigente politica sappia ragionare - oltre che di alcuni destini personali - anche su alcune questioni fondamentali del nostro presente e della missione ideale che ci siamo dati come Partito Democratico?
Credo che dovremmo rimettere insieme realismo e utopia, perché dobbiamo pur dire agli italiani e alla nostra città in che direzione vogliamo andare e per fare cosa. È il tema dell'etica, infatti, che non si compone solo della consultazione ossessiva del casellario giudiziale ma, soprattutto, di come dovrebbe essere il mondo.
Troppo spesso lasciamo prevalere ciò che è per il solo fatto che c'è, il pensiero triste della contingenza, così da diventar non del tutto liberi dal servo encomio del presente e dei poteri che lo governano. È questa la debolezza della politica, che trasforma il popolo dei cittadini in un popolo di clienti. Per dividere e contare.
Siamo qui per fare il Partito Democratico nell'unità e per affermare quella cultura che dobbiamo mettere alla base della nostra immaginazione politica. Certamente, le vicende degli ultimi mesi non hanno consentito di ragionare attorno al profilo politico e culturale del nostro partito.

Non vorrei che qualcuno, forse distratto, abbia maturato un'idea di questo partito quasi fosse un informe contenitore, dove ci si sta a prescindere dal complesso delle idee e dei valori. Per semplificare: il classico tram che si utilizza facendosi beffe della responsabilità, della serietà e della correttezza.
Non vorrei, inoltre, che qualcuno pensasse al Partito Democratico come a una idrovora capace di aspirare su tutto e così mantenere un'ambigua "liquidità", buona per i comodi di qualcuno di comprovata solidità.
Non vorrei, inoltre, che dietro l'ambiguità si celasse il disegno di una compiacenza tesa a restaurare il passato sia pure esso riverniciato con tinte nuove.

Tra pochi giorni concluderemo un percorso che abbiamo intrapreso nel lontano novembre. Un percorso che, affermammo, sarebbe terminato, con le primarie.
Un percorso certamente non semplice, sia per la novità assoluta delle regole sia per le condizioni di contesto politico nazionale, provinciale e regionale. In ogni caso, siamo arrivati a traguardo del 5 aprile.

Il 10 novembre indicammo i quattro passaggi che ordinavano la logica della nostra azione politica: dalla conferenza programmatica al giudizio sull'operato dell'amministrazione alle primarie.
Una scansione che ci ha consentito di affrontare la burrasca con rigore e serietà. Quel rigore che mi ha permesso l'esercizio della coerenza e dell'onestà intellettuale. Mi ha anche concesso di sostenere la legittimità del percorso a fronte di altre ipotesi. Per correttezza, dinanzi al tentativo di sovvertire la verità dei fatti , mi è parso opportuno reagire ristabilendo ciò che è stato. Era mio dovere di dirigente politico condurre il Partito alle primarie secondo il deliberato votato a dicembre. Questo abbiamo fatto.

Questo percorso, come dicevo, prevedeva l'espressione di un giudizio, da parte del coordinamento comunale, sull'operato dell'amministrazione comunale. Riparto da quel momento perché consente di rendere più razionale le vicende successive. All'unanimità venne approvato un documento con cui si esprimeva un giudizio positivo ed equilibrato sull'operato dell'amministrazione comunale, tenendo conto della complessità della fase politica che avevamo attraversato. Gli incontri con i consigli di zona - e che ha visto rappresentanti del partito sempre presenti - hanno confermato la pertinenza di tale giudizio
A partire da quel giudizio unanime, e sulla scorta dello statuto del PD, abbiamo chiesto al sindaco uscente Stefano Mocio di sciogliere la propria riserva e di candidarsi a Sindaco di Orvieto, stabilendo che, con l'autocandidatura della Vice Presidente della Provincia Loriana Stella, avremmo attivato il percorso delle primarie, come previsto dalle regole del Partito Democratico regionale e provinciale.

In questo periodo, debbo dire, la politica non ha dato una grande prova di rigore. Alcuni comportamenti meritano una fortissima censura: sia quelli che decretavano il fare arrogante a giudice del bene e del male; sia quelli che assecondavano una deriva populista, personalista e in parte qualunquista, magari occultando la propria identità e provenienza politica per non dispiacere qualche elettore. Ma le primarie del Partito Democratico mica servono a vendere solo il candidato ma anche a proporre una idea di politica e di città che si fa insieme. Insieme al partito, insieme al candidato e insieme ai cittadini-elettori.
Insomma: le idee non sono un dettaglio, un fastidio a cui dobbiamo adempiere con riluttanza. Non è obbligatorio neppure di averne, così come non è obbligatorio militare dentro il Partito Democratico.

A Orvieto ci aspettano mesi di grande impegno. All'appuntamento elettorale il centrodestra si presenta unito, con un unico candidato sindaco. La novità è di un certo rilievo perché la nostra opposizione si è sempre caratterizzata per via di una endemica conflittualità, dall'andamento carsico, e che riaffiorava prima dei confronti elettorali. Il candidato sindaco del centrodestra è una persona di altissimo profilo seppur sostanzialmente estranea al tessuto cittadino. Dico questo non per adagiarmi su un deprecabile sciovinismo della residenza, ma per sottolineare la debolezza, direi strutturale, di un centro destra incapace a indicare, al proprio interno, una figura in grado di sostenere la sfida.
Dico questo perché dobbiamo fare molto attenzione a quella che ritengo una candidatura insidiosa, che potrebbe diventare anche efficace - e che si è già mostrata con un profilo sobrio e intelligente.
Stiamo attenti perché da come sapremo gestire questa fase politica, si determineranno le condizioni del nostro successo in termini di quantità e, soprattutto, di qualità.

Non vi nascondo una certa preoccupazione nel constatare una inclinazione al localismo di piccolo cabotaggio, al tripudio delle tattiche dei tempi corti, ad una semplificazione eccessiva del confronto fatta di estrema personalizzazione e, direi, di privatizzazione della politica. Noi dobbiamo avere a cuore Orvieto, l'interesse generale e restituire dignità allo statuto e la primato della politica.

Abbiamo bisogno di rigore, serietà e responsabilità. Allora diciamo subito due cose:
1) è compito del Partito Democratico definire la coalizione del centrosinistra che si candida al governo della città;
2) il programma politico amministrativo della coalizione viene elaborato dal Partito Democratico e dalle altre forze della coalizione di governo pur restando aperto ai contributi del candidato sindaco;
Il nostro "compito" politico è quell0 di condividere con la città, una visione innovativa della propria missione in Umbria, in Italia e nel mondo. Dobbiamo diventare agenti della trasformazione e lo dobbiamo diventare assieme agli altri. Il federalismo fiscale ci costringerà a ripensare i parametri della spesa in maniera radicale e, soprattutto, il modello di governo.

Serve un nuovo governo perché è necessario imprimere un segno diverso allo sviluppo e alla vita dei territori a partire da un concetto di condivisione degli obiettivi e di coordinamento più stretto di azioni pubbliche e private: quindi una nuova governante, per costruire il modello di un territorio a rete, un network, assieme agli altri enti pubblici, alle imprese, alla Fondazione Cassa di Risparmio, agli istituti di credito, alle organizzazioni sociali e culturali, al terzo settore. Il modello esibisce la forza degli obiettivi condivisi e la missione di un territorio. Con questo facciamo crescere il nostro territorio e accettiamo la sfida, con il coraggio di chi ha capito che la manna non scende più dal cielo ed è necessario pedalare tutti quanti.

Sulle questioni programmatiche più generali mi pare opportuno rafforzare il senso del nostro impegno a sostegno della qualità del welfare locale, considerato non soltanto nel suo significato risarcitorio ma come motore di promozione sociale e di sviluppo. La nostra storia è fatta di modelli di eccellenza in questo settore che vanno valorizzati favorendone l'innovazione e la crescita. Si tratta di un formidabile patrimonio di intelligenze e di competenze che specificano la nostra idea di uguaglianza e di coesione sociale. Un elemento di competitività territoriale, questo, che va rafforzato in direzione di un'economia civile dei servizi per la famiglia, l'infanzia, le donne e gli anziani. Pensando ad una nuova economia dei Beni comuni.
La qualità del welfare non è tuttavia separabile dalle questioni legate alla produzione di ricchezza e di benessere economico. Si impone quindi l'urgenza di fornire un nuovo impulso al modello di sviluppo e di coesione sociale di Orvieto e dell'Orvietano, in grado di contenere, da un lato, gli effetti disgregativi della crisi economica e, dell'altro, di superare le inerzie che rallentano il percorso dell'innovazione. Al Partito Democratico spetta il compito di sostenere tale innovazione, sia pure in un contesto caratterizzato dalla riduzione delle risorse e dall'improcrastinabile rimodulazione della spesa.

Dobbiamo avere, nonostante la crudezza dei tempi, l'ambizione di andare oltre la strettoia della crisi. Lo dobbiamo fare per guarire dalla tentazione del negativo, di una politica che aggrega per pronunciare solo "no" o per l'esercizio distruttivo della ragione e della critica. La politica non può alimentarsi solo dei rancori. Lo diceva, con saggezza, Pietro Nenni: "fare politica con il sentimento è difficile; farla con il risentimento è impossibile".

La nostra ambizione, per Orvieto, l'Orvietano e per il Partito Democratico, è la realizzazione di un'altra politica: inclusiva, partecipata, libera, utopica.
Una politica delle passioni democratiche capace di far avanzare, sulla base dei meriti, una nuova classe dirigente all'altezza dei tempi. Dentro il partito e dentro le amministrazione. Una classe dirigente seria che non ha paura di osare un pensiero nuovo. Una classe dirigente che rivendica un orizzonte ideale in base a cui misura quello che fa e che riconquista quel pezzo d'anima che oggi rischiamo di offrire in pasto al dilagare degli interessi di parte; una classe dirigente caratterizzata dalla trasparenza, dalla competenza e dall'innovazione.

Mettiamo in campo il meglio che riusciamo ad immaginare, recuperando anche il valore della "bellezza" come misura del nostro pensiero, come qualità intrinseca di un nuovo mondo, di una nuova qualità dell'essere, dell'abitare, del vivere e del lavorare.
Mettiamo in campo, infine, la gioia delle nostre passioni e la lucidità delle nostre intelligenze per fare un Partito Democratico autorevole, forte e libero. Perché la democrazia fa bella la città

Carlo Emanuele Trappolino

27 marzo 2009 - Coordinamento comunale


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