opinioni

Di quando sfuggii per caso alla carcerazione

giovedì 17 gennaio 2019
di Fausto Cerulli
Di quando sfuggii per caso alla carcerazione

Ero diventato amico di uno spagnolo che aveva trascorso venti anni in carcere perché faceva parte dell’ETA, che sarebbero state le Br della Spagna. Venti anni di carcere non sembravano aver pesato sul suo carattere, che era rimasto incredibilmente sereno. Una volta gli chiesi come facesse ad essere così sereno, e lui mi rispose che a non essere sereni dovevano essere i giudici che lo avevano condannato a venti anni solo perché militava in un movimento che comunque godeva di un vasto appoggio popolare, più o meno esplicito in una Spagna sotto il tallone di una dittatura spietata, Aveva una compagna argentina, anche lei aveva sofferto nelle prigioni argentine, fatta oggetto di vessazioni fisiche e morali.

Anche lei sembrava aver accantonato tutto, ed ora faceva la segretaria di un importante ricercatore, che era al corrente delle sue trascorse vicende e che  comunque la stimava e la considerava la sua persona di fiducia. Abitavano in una scomoda casa nel quartiere allora  proletario di S. Lorenzo, debitamente sorvegliato a distanza dalla polizia. Parlavamo spesso di politica, e condividevamo idee decisamente di sinistra, con il solo patto di non parlarne tra noi al telefono, essendo le nostre conservazioni accuratamente intercettate. Tanto per non cessare il loro impegno politico, facevano parte di un gruppo che si occupava del sostegno a prigionieri politici.

Il gruppo fu accusato di essere un gruppo eccessivamente di sinistra e messo sotto processo. Per fortuna o per caso il dossier fu affidato ad un PM che non era disponibile a perseguire quelle che per lui erano opinioni magari discutibili, ma comunque prive di consistenza penale. Il PM archiviò il caso, ma ciò fece infuriare la Digos, che si aspettava una severa condanna del gruppo, e che ovviamente aumentò la non troppo discreta sorveglianza cui eravamo sottoposti, lui e la moglie in quanto sovversivi, io per aver fatto parte di Soccorso Rosso, una rete non clandestina di avvocati disposti a difendere brigatisti ed altre truppe considerate pericolose per lo Stato con la esse maiuscola e le idee minuscole.

Non sapevo che il mio amico fosse in contatto con i politici rifugiati in Francia e protetti da quella che si chiamava la “dottrina Mitterrand” che faceva onore ad una Francia che non aveva dimenticato del tutto gli ideali rivoluzionari degli ultimi anni del settecento. Per questo non mi soprese la proposta del mio amico di andarcene in Francia per partecipare ad una riunione non clandestina dei rifugiati politici dei rifugiati politici, tra cui Oreste Scalzone, che avevo conosciuto quando era finito all’ospedale per via di un pesante banco di legna, gettatogli teneramente tra capo e collo dai fascisti che avevano occupato la Facoltà di Giurisprudenza che avevano occupato la Facoltà, e che non avevano bisogno di cercare  rifugio in Francia, essendo rifugiati tra le braccia di uno Stato strabico, che aveva occhio solo per la sinistra.

Non ricordo per quale motivo dovetti rinunciare alla mia trasferta  in terra di Francia, Ancora oggi mi chiedo se quel mio impedimento sia stato una disgrazia o una fortuna. Fatto sta che qualche giorno dopo lessi sul quotidiano Le Monde che la riunione cui dovevo partecipare era stata sciolta dalla polizia. e che il mio amico era stato arrestato in quanto sospettato di essere capo del braccio armato della famigerata ETA. Il mio amico, comunque, fu scarcerato in seguito all’amnistia concordata tra ETA e stato spagnolo, in occasione  di una controversa riconciliazione.

Frequento ancora il mio amico, che ora si campa infilando foglietti pubblicitari sotto i tergicristallo delle auto in sosta. E mi viene da sorridere pensando che la nostra polizia, scrupolosa nel sorvegliare il mio amico, non si fosse accorta di avere a che fare con un pericoloso sovversivo. Ne scrivo solo che la guerra è finita e solo una piccola talpa è intenta a scavare.