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Parole Ribelli. Arrivederci, Francesca, e non addio

domenica 5 agosto 2018
di Fausto Cerulli
Parole Ribelli. Arrivederci, Francesca, e non addio

Con la discrezione che Le era propria ci ha lasciato Francesca Castellani, che per anni ha gestito la Libreria "Parole Ribelli" ad Orvieto: una libreria apparentemente modesta, specie se confrontata con altre librerie orvietane, ma ricchissima di contenuti; e non importava che fosse appartata in un quasi invisibile spiazzo davanti al colonnato di Sant'Andrea.

Era luogo di appuntamenti importanti, di presentazione di libri accuratamente selezionati, in un’atmosfera di leggerezza, dove Francesca si muoveva silenziosa, quasi timorosa di disturbare i lettori che sfogliavano libri che magari non avrebbero comperato, e Francesca anche per loro aveva un sorriso non convenzionale.

La libreria, in una città in cui la cultura scarseggia, lanciava proprio una sfida culturale, raccolta da un pubblico che cercava cultura. Certo gli appuntamenti non erano affollati di gente più che altro curiosa ed attirata da nomi che facevano clamore: ma la piccola folla che raccoglieva le sfide di Francesca era composta di persone che erano attente, coinvolte, pronte a dibattere senza timori reverenziali.

E Francesca, apparentemente distaccata, sapeva coinvolgere e coinvolgersi. Io e mia moglie siamo orgogliosi di aver fatto parte della cerchia, volutamente ma senza snobismo, ristretta di amici, legati a Francesca da vicinanza affettiva e culturale. Francesca sapeva farsi amare perché sapeva amare, senza smancerie, e con una sorta di pudore elegante.

Era leggera e discreta, colta senza ostentazione, donna di scelte raffinate, attenta a libri che non trovavi in nessuna altra libreria di Orvieto e che destavano interesse proprio per il loro essere in qualche modo distaccati dai normali circuiti di produzione culturale.

Francesca era sempre pronta ad offrire lo spazio, non vastissimo, della libreria a chi si cimentava magari per la prima volta a presentare propri libri o a lanciare provocazioni acute. Era donna veramente di sinistra, ma riusciva a non mostrarlo per non infastidire con le proprie convinzioni chi era convinto diversamente.

Era disponibile ad ogni iniziativa, con la sola riserva che si trattasse di iniziative non banali: e soprattutto non faceva la “padrona di casa”, proprio per far sentire a casa propria chi entrava per sfogliare libri o per comperarli, appartandosi, senza con questo allontanarsi, dietro al suo computer sempre acceso a ricercare primizie letterarie. Molti ricorderanno lo spazio che riservava per proiezioni di film che non avresti potuto vedere altrove, rari e raffinati anche grazie all’attenta presenza di cinefili disposti a trasmettere la loro cinefilia ad un pubblico assetato di cultura.

Proiezioni sotto le stelle, con Francesca che faceva capolino per tornare quasi subito dietro il suo banco di non saccente distributrice di cultura. La sera tornava alla sua casa di Celleno, accogliente di calore e di non ostentata eleganza, non lontana dal castello in cui suo padre, Enrico Castellani, pittore famoso negli ambienti alti della pittura, pazientemente solitario, dipingeva quadri di non facile lettura, ma che facevano il giro dei mercati di pittura importante in ogni parte del mondo.

Francesca avrebbe potuto farsi vanto di tanto padre, ma invece poco ne parlava, rivendicando con ciò la propria autonomia di femminista impegnata ad evitare di cadere nel femminismo ad ogni costo, e non voleva vivere all’ombra di nessuno, sicura come era delle proprie qualità e delle proprie doti. Mentre scrivo queste note fuggevoli, mi chiedo cosa ne penserebbe Francesca e cosa ne penseranno le figlie, ed il compagno inseparabile Fabio.

Francesca era malata da tempo, ma non lo faceva pesare. Io e mia moglie l’abbiamo vista per l’ultima volta quando ci venne a trovare, sorpresa gradita, nella nostra casa di Porano, e fu come al solito ironica e brillante, piena di una speranza di vita, di quella vita che ora ha abbandonato con la consueta elegante discrezione.

Forse Orvieto non ha saputo apprezzarla come avrebbe dovuto, ma questa Orvieto forse non la meritava. Arrivederci, Francesca, e non addio.