opinioni

Caffetteria dei Sette

sabato 21 luglio 2018
di Gianni Marchesini
Caffetteria dei Sette

Il bla bla cittadino "Libreria dei Sette & Caffè Letterario" ricorda quel capo famiglia che contava e ricontava i pochi spiccioli rimasti in cento modi diversi per ritrovare, ogni volta, la stessa somma. È giusto sostenere che un privato è un privato e che quindi se la sua attività non ha più il riscontro economico atteso debba necessariamente fare fagotto e chiudere i battenti. È altresì giusto considerare il valore storico della libreria al centro di Orvieto che da sempre è stata, forse ieri più di oggi, (ma il mondo allora era assai diverso), un centro dove si esercitava la “cultura cittadina”.

Fatto è che le due considerazioni sono delle scatole vuote poste all’interno di questa città che non può più agire secondo gli schemi ormai desueti e prosciugati dell'aiutino pubblico truccato o trasversale e non ha, di contro, intrapreso a tempo debito una strada nuova di slancio ed emancipazione economica. La libreria dei Sette ha presentato un piano, un business test che possa dimostrare un incremento del suo fatturato con la presenza di un caffè letterario? E l’assessore alla cultura, non pensa che Caffè Letterario possa essere una bella parola ma decaffeinata se quello lo si relega in una seppur rispettabile riserva della cultura cittadina?

È inutile insistere. Con un approccio così desueto, questuante e stantio non si va da nessuna parte...Bisognerebbe ripulire il foglio e disegnarci una città nuova. Sono due operazioni, ma la prima è forse la più complessa.  Prima di tutto (repetita iuvant) immaginare la destinazione di un contenitore come il toccasana per la città è un errore. Se non funziona la città, singolarmente non funziona niente. Sarebbe come aprire la finestra di una stanza in una casa dove le altre restano chiuse.

I contenitori devono essere collegati e coordinati avendo ognuno la sua peculiare funzione e, in minore misura, ognuno quella di tutti gli altri. L’idea, l’intervento singolo, il toccasana risolutore non esistono. Una città deve individuare il suo prodotto e tutti i giorni, al mattino, qualcuno dovrà aprire la fabbrica che lo produce. E il prodotto di questa città è il turismo. E il Comune dovrebbe attivarsi e strutturarsi in modo di fungere da motore, agire come azienda madre in un sistema dentro il quale ne confluiscano altre sotto forma di associazioni di categoria identificabili in un brand.

Cosa può fare un singolo negozio? E cosa un singolo ristoratore? Un marchio dei negozi, un marchio dei ristoratori, altri marchi di categoria con funzione anche di mutuo sostegno potrebbero approntare una consistente ossatura se l’amministrazione cittadina tramite, ad esempio, un’Agenzia della Città si applicasse a definire il marchio quello più importante, quello della città appunto e a farne un volano economico.
Orvieto ha un capitale che rivalorizzato nei suoi contenuti estetici, culturali, ambientali e trasformato attraverso un lavoro persistente e intelligente in prodotti turistici può rinascere e riattivare la sua economia. Soltanto allora quello della Libreria dei Sette sarebbe davvero un problemino.