opinioni

Bis in idem. In ricordo di Lucia Tammaro

sabato 12 agosto 2017
di Fausto Cerulli
Bis in idem. In ricordo di Lucia Tammaro

Ho letto il corsivo che Guido Barlozzetti, di cui mi onoro di essere amico, ha dedicato alla Tammaro, come la chiamavamo noi, saltando il nome Lucia e la qualifica di dottoressa e so che Guido non me ne vorrà se torno sul tema. Ho conosciuto la Tammaro, da non confondersi con la santa Tamaro, quando Guido era ancora in fasce. Ho frequentato la biblioteca quasi con accanimento maniacale, la Tammaro mi dava del tu e mi chiamava Cerulli sorvolando sul nome di battesimo.

Ricordo che la sua stanza di direttrice era quasi circondata da una cortina impenetrabile, e chi voleva parlare con lei doveva farsi annunciare da Dottori, che chiamavamo Baffino e non so ancora il perché di quello strano soprannome. Io godevo di una sorta di privilegio e potevo conferire - termine orrendo - semplicemente bussando allla sua porta. Lucia Tammaro, sotto l’apparenza severa, era anche donna di spirito e ribatteva pronta alle mie innocenti stilettate. Mi faceva sentire di casa, a sapeva mettermi a mio agio. Le chiedevo, come si dice adesso, consigli di lettura e poi non seguivo i suoi consigli perché pensavo che mi volesse depistare.

Per merito suo, e, debbo ammetterlo, degli odiati americani, che conobbi la letteratura americana. Gli Stati Uniti avevano organizzato una specie di Piano Marshall dei libro, chiamato Isis quasi in maniera profetica. nella speranza di colonizzarci culturalmente, loro ignoranti come capre. Ma la Tammaro comprese il lato buono della faccenda e mise in bella mostra i libri marcati Usa, Fu così che lessi Faulkner, Dos Passos, Steinbeck, ed altri autori che ai giovani di oggi sono quasi sconosciuti ma che erano e sono inarrivabili. Il fatto è che prendevo libri dieci o quasi per volta, e non li riportavo. Ricordo che la Tammaro, una volta, mi chiamò nella sua fortezza e mi disse con grazia che i libri andavano restituiti e che io ne prendevo troppi, e mi fece vedere l’elenco dei libri in mio presunto possesso.

Non ebbi cuore a dirle che molti di quei libri,per diffusione di cultura, li lasciavo in ogni luogo,nella speranza che qualcuno li leggesse. Mi limitai a dirle - già quasi avvocato - che non esisteva prova che quei libri li avevo presi io. All’epoca il prestito era basato sulla fiducia, non dovevi scrivere o far scrivere che avevi preso quel libro. La Tammaro, da persona intelligente, da allora stabilì che se prendevi un libro in prestito, dovevi mettere tanto di firma su un librone, con tanto di data. Da allora prendevo soltanto quattro libri alla volta, pur essendo il limite massimo fissato in tre. Complice Dottori, ma sapendo che la Tammaro sapeva e tollerava.

Penso e spero di aver goduto della sua fiducia e di una qualche stima ricambiata. Mi confidava i suoi problemi con il figlio, mi raccontava che andava spesso a Roma per imparare come gestire quel problema. E riusciva a gestirlo, faceva di suo figlio, che oggi diremmo disabile, una persona autonoma. Miracolo di una donna intelligente ed impegnata. Aveva quasi una mania per l’ordine e si accorgeva subito se qualcuno metteva una rivista fuori posto, cosa che per me era quasi un hobby.

Ma non aveva rimproveri, si limitava a risistemare di persona le riviste. Avevamo acquistato una qualche confidenza, ed io e la mia compagna andavamo a casa sua. Ricordo che una volta, quasi per dimostrarci i progressi che faceva suo figlio, gli chiese di suonare una chitarra, e lui lo fece con accordi precisi e luminosi. Altri tempi, ora abbiamo una biblioteca faranoica, con addette ai lavori gentili e competenti, ma io qualche volta rimpiango la biblioteca polverosa e non ancora digitalizzata di una volta, la biblioteca di Lucia Tammaro, che ora voglio per nome in ritardo della sua scomparsa. E, quando lo ho saputo, ho sentito che se ne era andati via per sempre un pezzo importante della mia non importante vita.