opinioni

Camorena

mercoledì 29 marzo 2017
di Fausto Cerulli
Camorena

Ho sentito alla radio la voce di Carminati che gridava: "Sono stato fascista e lo sarò sempre". Un fascista di quelli tosti. Mi è venuto in mente che in questi giorni quello che ad Orvieto si chiama "Eccidio di Camorena" erano i giorni in cui i fascisti sentivano prossima la sconfitta, ed era quella tardiva primavera di cui svanverava la buonanima. Qualcuno avvisò, novello Giuda, che alcuni giovani che non volevano fare i repubblichini al servizio dei nazisti, si erano rintanati in una grotta nei dintorni di Orvieto. Con uno zelo degno della loro infame causa, i fascisti stanarono i renitenti, e con raro esempio di culto della giustizia, improvvisarono un Tribunale del Fascio, che dopo qualche ora di camera di sconsiglio decise che i giovani andavano massacrati a fucilate.

Gli orvietani, specialmente i parenti dei condannati, ma ancora non conoscevano il verdetto, chiesero aiuto al vescovo, che volle confortarli invece di aiutarli, con la scusa del Concordato della vigliaccheria. Implorarono pietà anche dagli stessi fascisti, che, essendo tutti di un pazzo (non è errore di scrittura) decisero di andare fino in fondo, e di rispettare il verdetto senza appello del loro orrendo tribunale. Ma, essendo sì fascisti, ma anche vili, pensarono di sistemare la faccenda di notte e fuori dalla città. I colpevoli di innocenza furono caricati su un camion, su cui erano sistemate, miracoli dell'organizzazione a delinquere di stampo fascista, sette morituri. Il camion percorse sette bare, una per ogni futuro ammazzando. Il camion percorse qualche chilometro con il lugubre carico, e si fermò in un luogo appartato, dal nome che sarebbe restato in mente a tutti gli orvietani: Camorena. E lì si compì il massacro.

Ma prima, i sette furono obbligati a scavare ognuno la propria fossa, pensiero delicato, della serie scavatevi una fossa comoda e su misura. Poi fu il momento della fucilazione, sette innocenti azzannati con fucileria vigliacca. Uno dei condannati, essendo anziano, fu legato per rispetto ad una quercia, prima di essere giustiziato alla faccia della giustizia. Giustizia sfatta. Soltanto la mattina dopo si seppe della strage, e si seppe che i nazisti che occupavano la città non furono crudeli, almeno quella volta, come i fascisti locali. Si limitarono a lavarsi le mani della faccenda, lasciando mano libera alla giustizia fascista. La notizia fece presto il giro della città, accolta con orrore ma anche con una sorta di inconscio "fatti loro". Quando i nazisti lasciarono Orvieto, nessuno ebbe il coraggio di punire i massacratori, tipo il podestà di allora. Del quale va detto che se la svignò e si rintanò nella lontana Puglia, dove fece carriera passando dal fascismo alla democrazia cristiana e stava anche per essere eletto a qualche carica importante. Per sua sfortuna qualche orvietano fece sapere a qualche tarantino di che pastaccia era fatto il novello democristiano, che fu costretto a ritirarsi dalla competizione elettorale.

Se non vado errato quella fu la sola punizione inflitta al drappello di assassini. Da allora, ogni anno, Orvieto celebra l’anniversario dell’eccidio con una sorta di passeggiata primaverile tra margherite e peschi in fiore. Io non sopporto molto gli anniversari, forse perché ogni mio anniversario mi avvicina a nostra sorella corporale chiamata morte, ma non rimprovero chi ogni anno, puntualmente, si reca in quel di Camorena a rendere omaggio alle vittime di cotanta barbarie. Mi permetto soltanto di pensare al silenzio impaurito e quasi omertoso degli orvietani di allora. Conosco qualche parente, magari pronipote delle vittime, che odia gli assassini di allora, ma disprezza gli orvietani che sapevano e non vollero sapere. Per dovere di cronaca, voglio dire che la notizia del comportamento cristianamente del vescovo di allora mi è stata data da molti.

E ricordo che, in occasione di un inutile dibattito sull’eccidio detto di Camorena, io ebbi a dire del vescovo, e un sacerdote si alzò di scatto come un Lazzaro resuscitato senza chiedergli il permesso e urlò che ero un mentitore, un comunistaccio ed altre dolci parole. Fu allora che uno dei parenti delle vittime si fece sentire per dire che avevo ragione circa il comportamento di Sua Eminenza Monsignor Vescovo, e il sacerdote fu messo a tacere. Così scampai ad una condanna per diffamazione aggravata dall’essere diffamazione di un venerato morto. Mentre qualche anno prima non ero scampato ad una condanna a nove mesi di reclusione per oltraggio al Santo Padre, che avevo invitato a non andare in Sudamerica a benedire i dittatori che proprio allora si stavano sporcando le mani con il sangue di giovani colpevoli soltanto di voler essere liberi. Dobbiamo davvero rassegnarci a che l’ingiustizia faccia Il suo corso? Me lo domando senza darmi risposta.