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Furono momenti di meraviglia

lunedì 16 gennaio 2017
di Fausto Cerulli
Furono momenti di meraviglia

Furono momenti di meraviglia, nel piccolo paese di montagna, quando si seppe che una coppia di moldavi aveva aperto un negozio di abbigliamento, Un negozio di abbigliamento non si era visto mai, in quel paesino; bastava ed avanzava un negozio in cui vendevano calze di nylon, qualche collant; negli ultimi tempi anche qualche tanga che faceva sospirare i pensionati a spasso sotto il sole. Si era già vista, ovviamente, gente dei paesi dell’est europeo: ma erano soprattutto le badanti, che le vedevi passeggiare sottobraccio a vecchie signore, figliole adottive e madri sapienti insieme. E si mormorava che dopo aver badato alle signore affidate alle loro cure, badavano anche ad altri affari; e nell’unico bar del paese circolavano voci leggendarie su tariffe bassissime per prestazioni sessuali straordinarie. Ma erano soltanto voci di paese, invenzioni per stuzzicare pensieri gagliardi, e per suscitare nelle mogli quella gelosia che le fa tornare calde.

Ma tutto si poteva pensare, meno che due moldavi, marito e moglie, si mettessero a vendere minigonne ed abiti da signora matura. I primi giorni si andava in quel negozio per curiosare, per vedere le fattezze di quella coppia intrepida: lei era una donna molto giovane, sembrava molto timida, aveva la bellezza fresca delle slave; lui era corpulento, con un’aria di sfida che nascondeva la paura. Dapprima il negozio era quasi sempre deserto, la coppia non si riforniva abbastanza, e chi voleva essere elegante il giorno della festa del patrono, preferiva andare a dieci chilometri, in città: dove nessuna donna sarebbe stata notata e criticata se avesse acquistato uno slip rosso per capodanno, o un perizoma per qualche tradimento improvviso ed imprevisto.

Poi, mano a mano, le cose cambiarono: la donna aveva un’aria sempre più furba e malandrina, aveva imparato a riempire gli scaffali di merci, aveva aggiunto abbigliamento da uomo, calzini di seta, qualche papillon: e sul bancone faceva bella mostra di sé un giornale scritto in lingua moldava, tanto per dimostrare che anche loro sapevano leggere e scrivere. Fu allora che lo scrittore famoso che abitava nei dintorni, in genere rintanato nella sua villa, cominciò a frequentare il paese. Ma soprattutto a frequentare il negozio gestito dai moldavi. Comprava molti vestiti da donna, certo per qualche sua amante, in quanto si sapeva che lui viveva solo. Comprava anche reggicalze a giarrettiera, di quelli che si vedono soltanto nei film hot, e qualche vestaglia trasparente, molto trasparente.

Con tutto quello che comprava si era acquistato il diritto di trattenersi a vagare nel negozio, curiosando tra gli indumenti intimi, ma senza avere l’aria di un maniaco. Il moldavo era orgoglioso di quella presenza: era come una patente di gloria. La moglie, da quella presenza, era turbata: perché non le sfuggivano le occhiate che lui le rivolgeva, la dolcezza con cui le parlava, la curiosità con cui le chiedeva della sua vita, quasi ad averla nuda. Lei pensava che lui la considerasse una merce da acquistare, un balocco da conquistare: e ne era infastidita, ma non troppo. Fu da allora che lei cominciò ad indossare gonne sempre più strette, maglie sempre più scollate; e il suo sorriso non era più soltanto malandrino, ma anche malizioso. Certo, quel sorriso lei lo elargiva a tutti, ma quando sorrideva a lui era un sorriso speciale.

Le piaceva l’aria disinvolta di quell’uomo, la sua sicurezza mai sfrontata, la sua maniera di farsi notare; come quando, nello scegliere un abito da donna si consigliava con la moldava, ed avanzava qualche frase spinta quando acquistava, mettiamo, un perizoma, e sfiorava la mano di lei mentre pagava, e le chiedeva scherzando di indossare per prova quegli abiti, magari quel tanga rosso: e lei arrossiva, apparentemente imbarazzata. Una volta le chiese di provarsi una gonna, e lei si chiuse nel camerino per cambiarsi, e riapparve eccitata ed eccitante con quel vestito che mostrava molto e che lasciava immaginare tutto. E lui la guardava ammirato, le chiedeva di girarsi, le faceva fare la modella di una sfilata casalinga. Poi le sussurrò qualche cosa in moldavo, mostrando di conoscere quella strana e melodiosa lingua a cantilena. E lei, paziente e soddisfatta, traduceva la frase a modo suo, nella sua carne.

E nel farlo stavano accostati in un angolo appartato del negozio: lei con il corpo offerto allo sguardo di lui, che non mostrava eccitazione o sapeva nasconderla alla grande, lei che gli parlava in moldavo, sottovoce, molto sottovoce. Se lei alzava il viso, trovava quello di lui che quasi la toccava. Queste manovre non erano sfuggite al marito della donna, forse lo ingelosivano, forse era lieto di vedere che sua moglie, una moldava qualsiasi, suscitava l’interesse di quell’uomo importante. E i giorni passavano, e quell’uomo veniva sempre più spesso, e si tratteneva sempre più a lungo. Accadde che quell’uomo cominciò a frequentare il negozio anche il mercoledì pomeriggio, quando il negozio avrebbe dovuto essere chiuso per turno, ma lei diceva al marito che era meglio tenere aperto; erano agli inizi, dovevano accontentare la clientela, accattivarsela. Sarebbe andata lei al negozio; lui avrebbe potuto approfittare per badare all’orto che stava crescendo intorno alla loro piccola casa d’affitto.

Quel pomeriggio l’uomo importante venne al negozio molto presto; dal bar lo videro entrare, poi videro abbassarsi la saracinesca del negozio. Che si rialzò dopo mezz’ora circa, per fare uscire lui con il volto leggermente sudato. Lei si mise in bella vista sull’ingresso, sorrideva a se stessa, si piaceva. Ora tutto il paese sapeva della tresca; ma se ne parlava furtivamente, come se fosse una mina pronta ad esplodere. La donna era sempre più fresca, più sicura di sé: suo marito aveva accentuato l’aria triste, aveva gli occhi acquosi, meglio dire vinosi. L’uomo importante non fu più visto entrare nel negozio: quando scoprirono il suo cadavere nella villa, non si riuscì a capire se si era messo da solo quella corda al collo, o fosse stato qualcun altro.

Le indagini sono sempre complicate, se poi si tratta di moldavi, bisogna andarci con i guanti di gomma per non rischiare accuse di razzismo. E dunque fu stabilito che era stato suicidio, la morte tipica di uno scrittore depresso. Ora il negozio era molto frequentato, le donne del paese, quelle giovani, non si facevano più scrupolo a farsi notare, mentre acquistavano un capo di abbigliamento, come dire, osé. Ma la moldava adesso sorrideva poco, e suo marito sembrava essere il padrone della situazione. Finché non accadde che in una sera di nebbia, uscendo dal negozio, fosse investito da un Tir, il cui autista non si fermò, e non fu rintracciato. La vedova raccolse la compassione del paese, arrivarono i fratelli di lui per il funerale. Dopo qualche giorno, nel negozio venne a lavorare un commesso moldavo, con regolare permesso di soggiorno. Dai suoi documenti risultava che prima di improvvisarsi commesso era stato camionista.