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Rivisitando le "Humanae Litterae"

domenica 15 gennaio 2017
di Mario Tiberi
Rivisitando le "Humanae Litterae"

Quando, in tempi non eccessivamente lontani, la contrapposizione tra schieramenti partitici si basava sulla disputa se dovesse prevalere la supremazia del “capitale” o quella del “lavoro”, il popolarismo democratico seppe ben coniugare la sfida ricercando momenti di dialogo tra componenti sociali antinomiche e punti di contatto tra Stato e libero mercato.

Nel presente, però, passivamente stiamo assistendo al tramonto di quella prospettiva di riferimento. Il valore economico del lavoro dipendente, infatti, è stato posto in crisi dalla liberalizzazione globalizzata e globalizzante apparendo, quest’ultima, una dinamica irreversibile.
D’altro canto, l’intera economia industriale deve fare i conti con i costi ambientali (scarsità di acqua, cambiamenti climatici dovuti in larga misura alle emissioni industriali, dissesti idro-geologici et cetera) i quali, quasi inevitabilmente, rendono spesso antieconomica la stessa struttura capitalistica, privata o pubblica che sia.

Il sistema democratico occidentale è costretto, quindi, a rinegoziare totalmente i termini del dialogo sopraccennato, direttamente al proprio interno. In tale contesto, il ruolo di un cristiano-popolare, quale io mi sento di essere e per antica tradizione autonomo di pensiero in virtù del recepimento in chiave laica della dottrina sociale della Chiesa, non può che avere la valenza di porre a disposizione dell’opinione pubblica un patrimonio di idee del tutto innovative e pacificamente rivoluzionarie e tali, per ottenere successo, da essere istintivamente percepite giuste in ragione di una valida e convincente proposta di governo.

Codesta volontà, ad oggi posso affermare per superficialità di valutazione, sul finire del primo decennio del secolo in corso ritenni di poterla manifestare e praticare in quello che doveva essere un grande partito popolare su base nazionale e a vocazione decisamente riformatrice. Commisi un grave e imperdonabile errore! Infatti i guai e le sofferenze, a cui sono andato incontro, hanno avuto subitaneo inizio allorquando si è incardinata in me la limpida coscienza di avere di fronte, rispetto alla mia personale visione della “res publica”, un muro impenetrabile intriso di sordità e di cecità politica e programmatica.

E dette sordità e cecità, oltretutto aggravate da sbruffona iattanza, si sono evidenziate al massimo grado con la presa abusiva del potere da parte del “pinocchietto di Firenze”, ora decaduto per grazia ricevuta, e però trasmesse tali e quali all’esecutivo provvisoriamente in carica: sordità a fronte delle reali istanze sociali del popolo italiano e cecità nel non voler vedere di quali ingiustizie si sono e si stanno macchiando le loro istrioniche azioni di governo.

Subire supinamente tale intollerabile condizione e rimanere inerti nel vacuo pensiero che la già infranta democrazia italica possa essere ulteriormente calpestata con i perversi metodi del gioco del “ruba mazzo” o di quello dello “asso pigliatutto”, da immorale sta velocemente precipitando nell’irresponsabile e nel ridicolo. Ed ecco, allora, riapparire all’orizzonte la stretta necessità di avvalersi dell’apporto intellettuale di novelli caparbi umanisti i quali, se non altro, sapranno ben rammentarci come non possano discendere maturi frutti dall’intelligenza senza la sapienza, dalla scienza senza la conoscenza e dalla politica senza l’etica. Del resto, dalla sordità e dalla cecità si può guarire senza scomodare le virtù taumaturgiche di qualsivoglia Santo del Paradiso: potrebbe essere solo sufficiente andare a rileggersi qualche pagina tratta dalle “Humanae Litterae”!