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Ferdinando Frignani, Nando per gli amici. 1941-2016

giovedì 24 novembre 2016
di Simona Frignani
Ferdinando Frignani, Nando per gli amici. 1941-2016

I partecipanti a "Giochi senza Frontiere" del 1967. La squadra di Orvieto.
Da sinistra Giulio Ladi, Ferdinando Frignani e, in basso a destra con gli occhiali, Giocondo Carusi.

 

Ci sono persone che stanno ad una terra, un paese, una città come un monumento, una parte del territorio stesso. Non te ne accorgi fin quando non mancano, perché partono per un viaggio, per lavoro o per sempre. Mio padre era così, legato a doppio filo ad Orvieto. Non vi era nato. Era nato ad Allerona, ma dalla parte che fa Comune Castel Viscardo: particolare importante! Passata l’infanzia dietro alle esigenze di mio nonno, militare, era tornato ad Orvieto dopo la guerra, prima da sfollato, come tutti, poi mio nonno Filippo era riuscito a comprare casa in Via Maitani e da là babbo quasi non si è più mosso per tutta la sua vita.

Era ragioniere, dei tempi in cui il "Ragioneria" di Orvieto era sovraffollato. Orfano di padre a 15 anni aveva iniziato a lavorare presto, e a studiare poco. Al "Ragioneria" era più noto per le sue prodezze atletiche che per i voti alti. Tutto quello che era sport gli riusciva bene: atletica, tennis, aiuto pilota nei rally per quelli tra gli amici che avevano i soldi per un’auto adeguata, arbitro di pallacanestro ottimo. Lo ha fermato solo la sua onestà cristallina e la carenza cronica di diplomazia. Non fosse stato così onesto sarebbe arrivato ad arbitrare il basket in serie A. Alto, massiccio, forte, partecipò molte vote alla staffetta dei quartieri e la vinse col Serancia nel 1960 e fu tra gli atleti che nel 1967 portarono alta la bandiera di Orvieto a "Giochi senza frontiere" fino in Belgio. Un viaggio che al tempo doveva suonare esotico quanto Tokyo oggi. Nel frattempo, la carriera di assicuratore e nel 1962 l’incontro con una ragazza “forestiera” : Gianfranca. Fu colpo di fulmine. Si sposarono nel 1966. Due figli, io e Marco.

Nel 1976 la svolta nella carriera. Mi ricordo ancora l’eccitazione a casa. Babbo torna a casa tardi stasera: lo hanno assunto in RAI. La RAI! Confesso: la RAI ci ha cambiato la vita. Così babbo diventò pendolare. Ha lavorato tanto mio padre. Partiva presto. Tornava tardi. Ho assorbito da lui la sacralità del lavoro e anche del riposo. Si lavora tanto, ma la Domenica si esce, si comprano i dolci, il gelato di Pasqualetti, immancabile. Si lavora tanto, ma per le vacanze vi porto in bei posti: al mare, a sciare. Al tempo erano lussi. Oggi si da tutto per scontato, ma negli anni 80 a sciare andavano in pochi e io sapevo sciare, mi mandavano da Ingrid a imparare l’Inglese, avevamo la TV a colori, andavamo a Roma a fare le spese con lui in Via Ottaviano. Un'etica di lavoro e meritato godimento dei propri guadagni che mi guida anche oggi.

La Domenica mio padre stava a Orvieto, con gli amici, con la famiglia. Quando ero piccola vivevamo in Via Roma. Le nostre finestre davano sullo stadio dell’Orvietana. Una Domenica no e una sì, avevamo la casa piena di amici per vedere la partita. Caos e gioia. Giovialità e ospitalità. A mio padre è sempre piaciuto mangiare e bere bene, italiano, orvietano. Curioso di vino ordinava dal Piemonte Barbera, Grignolino, Arneis già quando io era piccola e quei nomi li conoscevano solo gli enologi. Se ho fatto i corsi AIS una volta cresciuta è merito suo. Una delle memorie che avrò sempre nel cuore è lui con un calice di spumante in mano per i 50 anni di matrimonio con mamma. La qualità delle bottiglie aperte nei pranzi di Natale scioccarono quello che era una volta il mio fidanzato ed ora è mio marito. Per il mio matrimonio al vino ci pensò babbo e la leggenda ancora corre tra i ricordi degli Inglesi venuti fino ad Orvieto. Evento memorabile.

La Staffetta dei Quartieri, 1962. Ferdinando Frignani, il primo a sinistra.

 

Altro grande amore, dopo famiglia e lavoro, la Juventus. Si può amare solo una squadra nella vita e per mio padre è stata la Juventus. In A, in B, ovunque solo Juventus. Quando mi fidanzai con quell’interista di mio marito glielo dissi chiaro: non pensare che cambi squadra. Sono nata e morirò juventina. Mio padre ha amato la Juve fino all’ultimo secondo. Una bandiera della Signora adesso è con lui. Sono sicura che sta cercando di convincere Don Italo Mattia e Luciano Cavalloro che hanno sbagliato tutta la vita a tifare Toro. Non possono continuare nell’eternità!

Tanti amici. Mio padre aveva, anzi ha, tanti amici. Amici d’infanzia, di lavoro, di sciate, di partito, di calcio, di treno. Li ha accumulati. Tanti li ha anche persi. Era capace di litigate epocali. Si arrabbiava con la facilità con cui poi, dopo, si dimenticava del torto subito. Carattere focoso, passionale e giusto. Ho sempre temuto me lo accoltellassero nella metro a Roma perché si era messo a difendere qualcuno. Mitiche oramai le liti con i capotreni negli anni roventi degli scioperi. Fu lui a guidare più di un blocco della linea. I pendolari tra i binari a spezzare l’Italia. Lottarono e vinsero. Ora Orvieto è servita molto meglio. Babbo avrebbe dovuto fare politica, ma era troppo onesto. Diceva sempre quello che pensava e in politica non è possibile. Democristiano di ferro, forlaniano, fedele agli ideali di un centro liberale e cattolico che non esiste più. Poi Forzista. Anche questo fino in fondo.

Alfista e piede pesante, babbo guidava bene. Mai un sorpasso azzardato. Mai una curva sbavata. Mai un incidente grave. A dimostrazione del fatto che se sai guidare bene puoi andare velocemente. Sono cresciuta tra belle auto. Secondo me è una parte della vita importante. Che vita è se non hai un’auto che ti piace davvero? Un carattere spigoloso magari, ma o lo amavi o lo odiavi. Sinceramente se lo odiavi dimostravi pochezza d’animo. In un mondo dove il falso impera e il leccapiedi vince mio padre mi ha dimostrato che puoi fare carriera, arrivare lontano, farti una vita e una famiglia senza mai rinnegare i tuoi ideali. Non lo ho mai visto dormire male. Ha sempre avuto l’animo sereno dei sinceri di cuore.

Ad Orvieto, che è sempre stata prima paese poi cittadina, anche se occupata da una Cattedrale enorme e stupenda, il tempo scorre in maniera anomala ed è scandito più che dai rintocchi del Maurizio dalle abitudini. Se Montanucci è pieno, è poco prima di cena. Se il corso è vuoto, la gente sta mangiando. Se si sente la voce di Nando, che scende dal vicolo degli artigiani, saluta il Mago di Oz e si avvia a prendere il Giornale dalla Daniela e poi va da Perali, a fare due chiacchere sono le 11 e 30 circa. La voce di mio padre rintronava tra i vicoli e scendeva tra i negozianti, gli amici, i selci di Orvieto. Riempiva le vie spesso vuote dell’Orvieto quotidiana, quella senza turisti e se chiudo gli occhi lo vedo per sempre là, col suo passo largo e il sorriso che si ferma ogni 10 metri a parlare con tutti, lui parte di Orvieto e Orvieto parte di lui.