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La cruda realtà dei numeri

venerdì 19 agosto 2016
di Aldo Sorci
La cruda realtà dei numeri

Il 12 agosto l’Istituto Centrale di Statistica ha certificato quanto aveva anticipato mensilmente fin da gennaio: nel secondo trimestre il PIL italiano è fermo e l’indicatore composito anticipatore dell’economia evidenzia un ulteriore calo. Dopo l’aumento di appena lo 0,3% del primo trimestre, la variazione zero del periodo aprile-giugno ci colloca, ancora una volta, in coda in Europa e nell’Eurozona, con una crescita “acquisita” per il 2016 dello 0,6% che corrisponde alla metà di quanto con ostinato ottimismo aveva ipotizzato il governo sul Documento di Economia e Finanza di aprile.

Il rallentamento è dunque un fatto essenzialmente italiano e non si capisce come note ufficiali parlino di cause esterne fra le quali l’uscita della Gran Bretagna dalla UE che è stata sancita solo a fine giugno e cioè al termine del periodo preso in esame. Basti considerare che in Gran Bretagna il PIL è aumentato nel secondo trimestre dello 0,6%. Dunque se effetti negativi ci saranno, come è molto probabile, li vedremo dai dati dei prossimi mesi.

Insomma, non cresce il PIL, siamo ancora in deflazione, il debito pubblico di record in record è arrivato a giugno a 2.248 miliardi di euro (134,5% del PIL programmato per il 2016), le prospettive come detto non sono certamente rosee, ma si fa un gran parlare di quante belle cose potremmo fare con la prossima legge di stabilità. Le cosiddette previsioni di consenso ipotizzano per l’Italia il ritorno ai livelli di PIL antecedenti la crisi in tempi medio lunghi ed in questo scenario è incomprensibile constatare come in uno Stato che già per due volte ha rischiato il default (1992 e 2011-12) in poco più di vent’anni, non c’è partito, associazione o movimento di opinione che consideri una priorità la riduzione del debito, in quanto fattore principale di freno allo sviluppo e di rischio in periodi di crisi.

Al contrario vediamo sempre all’opera potenti lobby che frenano le riforme a loro non convenienti e sollecitano ed ottengono sostegni, talvolta fin troppo generosi anche quando la fonte di copertura è il deficit. Il quale rimane comunque tale, vale a dire altro debito, anche quando si chiama in maniera più gradevole e meno esplicita, flessibilità.