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La Cassazione e Stasi

giovedì 23 giugno 2016
di Fausto Cerulli
La Cassazione e Stasi

E' finito un processo infinito. Sul processo con imputato Stasi per l’omicidio di Garlasco è caduta la pietra tombale della Corte di Cassazione che ha confermato la condanna. E' vero che le sentenze non si giudicano, ma è lecito interpretarle. La vicenda che ha avuto come protagonista Stasi si è trascinata con una sentenza di primo grado, una sentenza di appello, una sentenza della Cassazione che ha rinviato il processo ad altra Corte di Appello, ed ora la sentenza definitiva della Cassazione che ha sancito inesorabilmente la condanna di Stasi. Già questo palleggiamento tra diverse sedi giudiziarie dovrebbe dirla lunga sulla raggiunta certezza sostanziale sulla colpevolezza di Stasi.

Qui, non si tratta di difendere ad oltranza Stasi (a ciò avranno debitamente provveduto i di lui coriacei legali), si tratta solo di dare un’occhiata alla sentenza della Cassazione, ormai irrevocabile salvo una improbabile revisione del processo, extrema ratio in un sistema in cui giudice non morde giudice. Quello che colpisce, nel la sentenza definitiva della Cassazione è il palese contrasto tra la formula di rito adottata, per cui i Supremi Giudici avrebbero raggiunto la certezza della colpevolezza di Stasi “oltre ogni ragionevole dubbio” e l’affermazione contenuta nel dispositivo, per cui le indagini sarebbero state svolte in maniera a dir poco approssimativa. Ora, anche uno studente del primo anno di Giurisprudenza sa che un processo indiziario si basa soprattutto sulle indagini compiute e magari sulle dichiarazioni dei testimoni.

Non risulta che le prove testimoniali esperite abbiano dato un solido sostegno alla tesi accusatoria. Restano dunque le indagini, che chi procede alle stesse compie sotto la sorveglianza del pubblico ministero. Affermare, come si fa in questa ultima decisione della Cassazione, che le indagini svolte lascino molto a desiderare. significa o dovrebbe significare colpire in qualche modo il pilastro stesso dell’accusa. A ben vedere, la colpevolezza di Stasi sarebbe fondata su due elementi. La mancanza di un alibi, e una certa storia di scarpe con o senza tracce di sangue. Quanto alla mancanza di un alibi, nulla di più aleatorio. Almeno cento persone potrebbero non avere un alibi nella circostanza.

Anzi, si dovrebbe ritenere che proprio la mancanza di un alibi potrebbe deporre a favore di Stasi: a meno che non si tratti di un imbecille, la prima cosa che generalmente compie chi ha deciso di commettere un delitto gravissimo è il predisporsi un adeguato alibi. Stasi sin dall’inizio ha detto che al momento dell’omicidio stava lavorando ad una tesi. Alibi fuggevole, non suscettibile di essere provato. Ma resta il fatto che spettava all’accusa e non all’imputato dimostrare la sicura infondatezza del presunto alibi. Non averlo fatto, sembra rientrare in quella accusa di approssimatezza, per non dir peggio, delle indagini svolte. Anzi, ci si sarebbe aspettati che la Corte rinviasse gli atti alla Procura per indagare sul perché della sciatteria delle indagini. Il che non è avvenuto.

Quanto alla prova che sarebbe costituita dallìassenza o meno di materiale ematico sulle scarpe di Stasi, è da osservare che molta, troppa gente ha frequentato il luogo del delitto subito dopo la scoperta del cadavere. Scoperta avvenuta proprio su denuncia di Stasi. E anche questa circostanza potrebbe giocare a favore dell’imputato, oggi definitivamente condannato. Ammesso che Stasi non avesse un alibi certo, se lo sarebbe potuto procurare ex post, senza denunciare lui stesso l’avvenuto omicidio. Non si vuole con questo sostenere a spada tratta l’innocenza di Stasi. Si vuole soltanto pensare che la Suprema Corte, nel momento in cui ammette che le indagini furono svolte male, per colpa o per dolo, non avrbbe dovuto affermare di aver raggiunto la colpevolezza di Stasi “oltre ogni ragionevole dubbio” I dubbi non saranno ragionevoli, ma mai come in questo caso i dubbi restano dubbi. E, come si dice in latinorum giuridico, dubium pro reo. Dubium.