opinioni

Quella stoica porzione di me

domenica 24 maggio 2015
di Mario Tiberi
Quella stoica porzione di me

Debbo alla sagacia e alla benevolenza del mio diletto Amico Pier Luigi Leoni se, durante la scorsa settimana, mi sono ritrovato a ripercorrere le tappe fondamentali del pensiero concettuale di un filosofo, ahimè ai più sconosciuto, dalle notevoli qualità umane e morali. Vi sto scrivendo di Gaio Musonio Rufo, volsinense di nascita nel primo secolo dell’era cristiana, e alle cui opere ha dedicato un saggio divulgativo il Prof. Luciano Dottarelli rimarcante, nel titolo, l’appartenenza di detto pensatore alla cultura etrusca all’interno della quale il medesimo, contro ogni avversità, intese sempre e comunque la filosofia come scienza di vita.

Tre paragrafi del volume, in particolare, hanno attratto la mia attenzione e che, in estrema sintesi, sono riassumibili nella concezione della filosofia stessa come “pratica di vita buona”, come “arte di governare se stessi prima che gli altri” e, infine, come “medicina per l’anima”. Di codesti argomenti ho spesso trattato in molteplici miei scritti e se, alla fine, ne uscirà un quadro di me con tratteggiate attinenze alla dottrina etica scaturita dalle elaborazioni di pensiero dei filosofi stoici, non ne proverò né ripugnanza e né reiezione. Del resto, chi mai potrà stigmatizzare lo stile di vita di coloro che tendono alla sobrietà, alla imperturbabilità, alla pazienza, corroborate tutte dalla fermezza d’animo?

Nonostante, però, che si possa o meno aver raggiunto tali stadi di coscienza esistenziale, non sarà comunque mai eludibile l’interrogarsi se esista ancora un senso e una validità ad essere filosofi e, nello sviluppare stringenti ragionamenti su tale quesito, unica via di pace e di conforto la si potrà ricercare e trovare nella asseverazione che, fino a quando sarà doveroso e necessario anteporre il pensiero di giudizio alle azioni effettuali, il filosofo avrà insostituibile ragion d’essere e inconfutabile diritto di cittadinanza pur nelle società contemporanee.

Eppure il mio animo non è del tutto sereno e appagato. Anzi, è pervaso da un sottile tormento frammisto di ambascia e preoccupazione. Come si fa, infatti, a non essere preoccupati per il fosco quadro internazionale dominato da tensioni mai sopite e da diffusi teatri di belligeranza alimentati da governanti cinici e spietati? Non è forse fonte di ansia e preoccupazione il constatare come i tre angoli retti, su cui dovrebbe fondarsi una sana e virtuosa politica nazionale, siano sull’orlo di trasformarsi, per avventata brama di potere di uno solo al comando, in un fatale “Triangolo delle Bermude” al cui interno, sciaguratamente, venti procellosi e acque tempestose risucchiano nel nulla anche l’imbarcazione la più solida e resistente?

Dove andare, dunque, alla ricerca delle radici del male? In nessun’altra direzione se non in quella dell’arrogante supponenza del Presidente del Consiglio temporaneamente in carica, autoproclamatosi come l’uomo più intelligente di ogni altro, e che, in ragione di ciò, non intende prestare ascolto e concedere udienza a spiriti illuminati e di riconosciuta saggezza. Non così si governa un popolo e, alla lunga, il mancato ascolto e la negata udienza si tramutano in comportamenti sempre più insopportabili e, su molteplici versanti, in atteggiamenti perfino scandalosi e umilianti.

La politica è impegno disinteressato, rispetto democratico delle diversità, felice abnegazione al bene comune, permanente profusione di energie in spirito di servizio, vissuta passione. Passione non soltanto come trasporto sentimentale, ma anche nel senso strettamente etimologico della parola che, derivando dal verbo latino “patior, passus sum, pati”, assume pure il significato di sofferenza.

E’ la stessa sofferenza che Vi sto manifestando in piena libertà di coscienza e se, nel dispiegarsi della storia, la pagana terra promessa di Zenone è recintata dalla logica, alberizzata dalla fisica e resa fruttifera dall’etica, allora e solo allora, rasserenato e cristiano più che mai, mi potrò seraficamente rivolgere e chiedere ausilio a quella porzione stoica che è in me.