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Il primo incendio scoppiò al teatro

lunedì 4 maggio 2015
di Fausto Cerulli
Il primo incendio scoppiò al teatro

Il primo incendiò scoppiò al Teatro, verso mezzanotte. Mentre i pompieri, a sirene spiegate, si precipitavano a spegnerlo, un secondo incendio scoppiò alla Biblioteca Comunale, poi, quasi subito dopo, un terzo al Palazzo Comunale. Evidentemente non si trattava di episodi casuali, il tutto faceva parte di un piano organizzato. Qualcuno voleva mettere in ginocchio la città, perseguendo chissà quale piano terroristico e destabilizzante. Ovviamente la polizia indirizzò le indagini su un circolo anarchico, mascherato sotto il nome di circolo anticapitalistico. Il circolo, altrettanto ovviamente era vuoto. Ma la polizia non tardò a svegliare dal sonno la magistratura locale; ed il pm ottenne l’autorizzazione a far provvedere al fermo degli anarchici, che la polizia, ovviamente, conosceva bene.

Furono fermati in tre, tutti con la debita barba lunga e nera, e gli occhi fiammeggianti di furore terrorista, tipo Bakunin. I tre negarono ogni addebito, presentarono un alibi che non fu verificato, tanto si era certi della loro colpevolezza. Mentre i tre venivano condotti dal commissariato al carcere, un altro incendio scoppiò proprio nei locali che ospitavano il carcere. Furono allora chiamati rinforzi da tutta la provincia, ma intanto gli edifici continuavano a bruciare. I detenuti del carcere locale furono ammassati in fretta e furia su quattro furgoni blindati, e trasferiti in un altro carcere. Intanto era andato completamente distrutto il telone pregiato del Teatro, e un centinaio di libri antichi della biblioteca. Ma il problema sembrava solo quello di dove sistemare i tre anarchici, visto che il carcere era diventato inagibile; ed a nessuno venne in mente che forse non erano loro i veri colpevoli, visto che l’incendio al carcere era stato appiccato quando loro erano già stati fermati.

Allora Franco decise di intervenire: si presentò alla Caserma, disse di sapere chi fosse il responsabile degli incendi, e disse di averne le prove. A suo dire era stato il professor Luttazzi, malato di piromania. E Franco lo sapeva perché era uno psichiatra, ed aveva da tempo in cura il professor Luttazzi. Il quale, aggiunse Franco, proprio la mattina prima, durante la seduta settimanale, gli aveva manifestato l’intenzione di compiere azioni incendiarie dimostrative. Franco, da bravo psichiatra, non gli dette retta: sapeva che i malati di mente, quando annunciano qualche azione, lo fanno solo per sfogarsi, per liberarsi da un incubo. Loro dicono una cosa allo psichiatra, ed è come se avessero già commesso il delitto annunciato. Franco aveva ordinato al professore una dose massiccia di tranquillanti. E mentre il professore si accomiatava, gli aveva anche detto scherzando: stia attento a non bruciasi le mani, professore. Non poteva prevedere che il professore avrebbe messo in atto la folle minaccia.

La polizia non fu troppo convinta, anzi stava per arrestare Franco, che era di sinistra e dunque poteva avere interesse a depistare le indagini, per salvare gli anarchici. Comunque, di fronte alla denuncia circostanziata di Franco, non potettero esimersi dal far visita al professor Luttazzi, per scrupolo professionale. Suonarono al campanello del villino del professore, ma non ottennero risposta. Le luci del primo piano erano tutte accese, per cui insistettero nel suonare, poi chiamarono ad alta voce il professore, infine si decisero ad entrare nel villino, forzando la serratura del cancello e poi quella del portone d’ingresso. Ovviamente il professore era in casa, ma altrettanto ovviamente non poteva rispondere perché qualcuno gli aveva fracassato la testa con un candeliere, ed aveva lasciato sul luogo del delitto, come firma, una quindicina di svastiche.

La questione si complicava; anarchici e neonazisti; come nel settantotto, borbottò sconcertato il commissario. Il giorno dopo la storia degli incendi era su tutti i principali giornali nazionali: e tutti, che fossero di destra o di sinistra o si fa per dire indipendenti, invocavano ordine. Ordine, per Dio. Le indagini furono tolte alla polizia locale, ed intervenne la Digos, discretamente ma non tanto. Perché proprio ai funzionari della Digos venuti da Roma, ed alloggiati nei locali del Tribunale, si presentò Luisa.

Era la moglie, anzi la ex moglie di Franco. Avevano ottenuto il divorzio dopo che Franco aveva deciso di andare a vivere con Aìda, la loro bellissima domestica somala. Luisa voleva informare, lo sento come mio dovere disse, che ad appiccare gli incendi era stato Franco. Come faceva a saperlo, le chiesero senza troppo entusiasmo, certi come erano della pista politica. Luisa rispose che era stata Aìda a dirglielo al telefono, ed al telefono le aveva detto anche che Franco era diventato pazzo, e che lei aveva paura Per mero scrupolo professionale, comunque, i funzionari della Digos mandarono due carabinieri nella casa dove vivevano Aìda e Franco.

E ora nulla poteva più sorprendere nessuno. Aìda fu trovata morta nel cortile di casa, quasi completamente carbonizzata. Soltanto il volto era sfuggito alle fiamme: quel volto bello e dolce, serenamente voluttuoso anche nella morte. Di fronte a questa nuova macabra scoperta, i funzionari della Digos furono quasi costretti ad abbandonare la pista politica. Ormai tutti gli indizi portavano dritto a Franco. Lo cercarono nel suo studio, alla periferia della cittadina. Non riuscirono ad interrogarlo, perché il suo cadavere penzolava da una corda appesa al soffitto.

Il cerchio si chiudeva: Franco aveva appiccato gli incendi, poi aveva ucciso il professore e tanto per non perdere tempo anche Aìda. Poi, colto dal rimorso. si era impiccato. L’unico elemento che andava storto era il fatto che Franco, prima di impiccarsi, era stato ucciso con una coltellata alla schiena. Il mistero tornava a farsi fitto. Le indagini piombarono di nuovo nel buio. E il buio fu squarciato soltanto dalle fiamme che cominciarono a sprigionarsi dai sotterranei della Cattedrale, e si propagarono presto alla facciata, incendiando in modo sinistro i mosaici che, secondo l’immagine di un poeta locale, incendiavano da secoli la stupenda facciata.