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Processo a freccia rossa

venerdì 24 aprile 2015
di Fausto Cerulli
Processo a freccia rossa

Nella mia città esisteva allora un gruppo che si faceva chiamare cattolici progressisti, sulla scia del troppo dimenticato Dom Franzoni, abate di S. Paolo a Roma che già con quel Dom al posto di Don suonava male agli orecchi di certa Chiesa conservatrice. Francesco era ancora da venire. Qualcuno di quel gruppo mi chiese di scrivere un qualcosa che deprecasse leggermente il fatto che il Papa allora in carica, quel Paolo sesto che dopo si sarebbe assunta in parte almeno la responsabilità della fine di Moro si recasse in pompa magna in Sud America a benedire i generali che ammazzavano gli oppositori e li facevano sparire. A quel tempo militavo, brutto termine ma si diceva così, in un partito di estrema sinistra e non me la sentii di rifiutare l’invito. Scrissi allora che i cattolici, nel recarsi alla Santa Messa, dovevano scegliere tra il Cristo che scacciava i mercanti dal tempio e il papa che andava a benedire gli assassini di Città del Messico, o qualcosa del genere, è passato tanto tempo.

I cattolici che si erano rivolti a me, fecero del mio scritto un manifesto e lo incollarono sulle porte delle chiese di tutto il circondario. Ovviamente il manifesto suscitò un manifesto scandalo. Il clero ne fu infuriato, soltanto un sacerdote coraggioso lo lesse alla Messa di mezzogiorno in Duomo,la più affollata e si spinse a dire che era d’accordo. Dopo qualche giorno fu trasferito. Ma torniamo al manifesto. Il Vescovo di allora denunciò santamente l’affissione del manifesto alla Procura, che si mise in moto con la giusta rapidità per individuare il colpevole. Qualche giorno dopo mi recai per caso al locale Commissariato per una questione, se ben ricordo, di passaporti.

Il Commissario mi disse che era stato appurato che ero stato io il colpevole della faccenda del manifesto, ma aggiunse che se avessi ammesso la mia colpa tutto sarebbe stato insabbiato, per disposizione del Questore che allora era un parente di mia madre. Firmai la confessione, convinto dalle parole del Commissario, dimenticando che prima faceva il ladro,poi la spia, ora fa il Commissario di polizia, come si diceva allora nei cortei. Il giorno dopo, infatti, i giornali locali uscirono con un titolone che spiegava come e quando era stato scoperto il maoista, proprio così,, autore del manifesto. Da allora la giustizia prese a fare il suo corso, fui interrogato dal Giudice Istruttore, allora non esisteva il Gip. Spiegai che non era mia intenzione recare offesa al Pontefice, e che comunque pensavo di avere il diritto di esprimere le mie opinioni.

Il Giudice Istruttore si mostrò convinto. Tanto convinto che tre giorni dopo mi rinviò a giudizio davanti alla Corte d’Assise del capoluogo di provincia. Corte di Assise, con tanto di giuria popolare, perché a quel tempo l’oltraggio al Papa, equiparato all’oltraggio al Capo dello Stato, era considerato grave almeno quanto un omicidio, e dunque la competenza ere della Corte di Assise. Il processo di primo grado fu brevissimo, ricordo che mi stavano a lato, quaasi per paura che fuggissi, due carabinieri con tanto di pennacchio e spadino, come nelle illustrazioni di Pinocchio. Quattro ore di Camera di Consiglio e una condanna a nove mesi si reclusione, che se fossero stati undici non avrei goduto neppure della sospensione condizionale. Inutilmente il mio avvocato sostenne che l’accusa a me rivolta urtava contro la libertà di espressione e sollevò sottili questioni di legittimità costituzionale. Troppo sottili per quella giuria popolare che, lo seppi dopo,
era costituita, per puro caso ovviamente da una maggioranza di baciapile.

Questo accadeva nel mese di giugno, naturalmente facemmo appello contro la sentenza, se non altro per guadagnare tempo.contando sulle lungaggini della giustizia. Ma quella volta la giustizia volle il suo corso di corsa ed a settembre dello stesso anno si svolse il processo di appello. Sentenza confermata. Come vuole il gioco facemmo ricorso in Cassazione. In genere tra l’appello e la Cassazione , allora come ora, passava almeno un anno. Fecero un’eccezione, essendo il mio delitto eccezionale. A dicembre la Cassazione confermò le precedenti condanne. Da giugno a dicembre tre gradi di giudizio e pregiudizio. Ho appreso con qualche soddisfazione che il mio processo risulta essere uno dei più rapidi della storia giudiziaria italiana, roba da Guinness dei primati. Ora la mia fedina penale è macchiata da quella condanna. Potrei smacchiarla chiedendo la riabilitazione, ma ad essere sinceri considero quella macchia come una medaglia. Una medaglia al valore. Laico.