opinioni

Sul linguaggio degli umani. Conclusivo frammento sesto

lunedì 1 settembre 2014
di Mario Tiberi

“Sursum Corda”: ecco siam giunti, finalmente, alla sesta e conclusiva porzione dell’argomento riguardante le capacità espressive del genere umano mediante il corretto uso della linguistica. Ci si era lasciati, la scorsa settimana, in compagnia di Tristano ed Isotta, figure simboliche prese a modello empirico per meglio puntualizzare e definire ciò che funziona e, più specificatamente, ciò che non funziona nella umana comunicazione orale. Assieme ad essi riprendiamo e concludiamo il cammino intrapreso.

Oltreché con i nomi comuni, la leggendaria coppia stenta pure con i nomi propri: concesse limitate eccezioni, sia l’uno che l’altra non riescono ad attribuire il nome proprio di persona a parenti, amici, personalità o luoghi famosi. Seppur con palese anacronismo, qualora Tristano fosse posto di fronte ad una fotografia di Marilyn Monroe, novanta su cento, direbbe: “Non so o non ricordo il suo nome, ma so chi è, ho visto i suoi film, ha avuto una relazione sentimentale con il Presidente americano, si è suicidata o, forse, è stata uccisa”. Codesta tipologia di pazienti non soffre di prosopagnosia in quanto è in grado di riconoscere un volto senza esitazione, ma più semplicemente non riesce a recuperare nel suo bagaglio mnemonico la forma di parola abbinabile alla persona riconosciuta.

All’opposto, e potrebbe apparire notevolmente bislacco, pazienti di tal genere non provano difficoltà alcuna a produrre verbi, preposizioni e proposizioni, congiunzioni e pronomi e il loro eloquio è spedito, ben formato e grammaticalmente corretto. Parlando o scrivendo, al posto dei nomi propri che non riescono a trovare usano parole sostitutive come, ad esempio, “cosa o coso”, “roba”, “tipo o tipa”, oppure pronomi come “esso o essa”, “lei o lui”, “loro”, ma i verbi che animano gli argomenti di quelle frasi sono scelti e prodotti con congruità e vengono coniugati perfettamente per ciò che concerne tempi e persone. Anche la pronuncia e la prosodia e, cioè, l’intonazione delle singole parole e della frase nel suo complesso, risultano ineccepibili.

Le limitazioni espressive suesposte provano, una volta di più, che le strutture neurali del cervello umano, quando non menomate, operano su basi fisiologiche di mediazione lessicale fra concetti e forme di parola sul piano sia dell’esposizione verbale generica e sia di quella specifica.
Siccome nessuno è esente da deficit linguistici, non vi è da spaventarsi ed, anzi, è solo il cimento quotidiano del parlare che può condurre alla comprensione, la migliore possibile, di quanto accade nei sistemi encefalici di elaborazione del linguaggio e, di come, sia proprio la mediazione tra concetti e parole il fulcro e il perno attorno ai quali si genera l’universo dei sostantivi, degli aggettivi, dei nomi propri e comuni e, soprattutto, dei verbi e dei funtori costituenti il vero nocciolo delle strutture sintattiche e grammaticali. Bisogna, in sostanza, tenersi sempre in costante allenamento glottologico ed esercitarlo con cognizione di causa, applicandosi coscienziosamente allo studio della conoscenza.

Negli ultimi decenni, i progressi nella individuazione delle strutture cerebrali responsabili del linguaggio hanno subìto repentine accelerazioni ma, considerata la profonda complessità di tali fenomeni, risulta del tutto legittimo chiedersi se sarà mai possibile capire fino in fondo il funzionamento dei meccanismi neurali che si pongono alla base di essi. Molteplici interrogativi sul modo in cui il cervello umano archivia i concetti restano, ancora, senza risposta così, come, i sistemi di mediazione per parti del discorso che non siano sostantivi, verbi e funtori sono stati esplorati solo superficialmente. Anche le strutture, che formano parole e frasi, sono chiare solo a grandi linee. Ciononostante e nondimeno, è fondata nella comunità scientifica la convinzione che detti sistemi e dette strutture saranno presto identificate ed appieno comprese. Il problema non è “se”, ma solo “quando”!

Nella speranza di non averVi eccessivamente tediato, è mio auspicio aver potuto contribuire ad ausiliarci reciprocamente nella fondamentale disciplina della comunicabilità tra gli esseri umani.