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Orvieto, le elezioni e la sindrome democristiana

lunedì 20 gennaio 2014
di Massimo Gnagnarini - Unire i Puntini Orvieto
Orvieto, le elezioni e la sindrome democristiana

L'ultima volta che gli orvietani hanno eletto un sindaco comunista fu nel passato millennio. Poi, anche a Orvieto, la politica è stata costantemente influenzata dagli effetti della diaspora dei democristiani seguita allo scioglimento di quel partito. Nel 2004, in effetti, l'ex segretario del movimento giovanile della DC di Orvieto fu proclamato sindaco della città storicamente tra le più rosse d'Italia.

Stefano Mocio è stato un buon sindaco, ma ciò che spesso gli viene di più rimproverato è di non aver restituito, alla fine del suo mandato, il testimone che gli era stato affidato controvoglia dai nuovi compagni per accordi di vertice. Di più gli viene rimproverato di aver consegnato, attraverso varie modalità, la città a un eccellente signore capitato lì quasi per caso dopo una vita e una brillante carriera spesa al servizio della cosiddetta "razza padrona".

Marco Frizza e Roberto Meffi, anch'essi già giovanissimi democristiani, hanno confermato, con il loro protagonismo di questi anni, di possedere quell'imprinting democristiano forgiato in un DNA politico che è non assimilabile al semplice trasformismo di convenienza, ma piuttosto come attitudine a riempire i vuoti creati da altrettanti dilettanti della politica.

Anche in questi giorni, a Orvieto, ormai prossimi alla vigilia delle elezioni comunali dopo che il sindaco uscente si è ricandidato e dopo che il maggior partito di opposizione ha fissato le Primarie per scegliere il suo candidato, la domanda che in molti ancora si fanno è la seguente: Ma gli ex democristiani che faranno?

Si finisce così con il continuare ad attribuire a questa eterea categoria una sorta di capacità di veto e di promozione che va ben al di là delle decisioni già prese e dei percorsi delineati, capace di trasversalità e di aggregazioni tali da sovvertire qualunque pronostico per cui ne deriva, in molti addetti ai lavori, una sorta di subordinazione tipica dell'apprendista nei confronti del professionista.
Conosco bene, da ex democristiano, le tecniche per condizionare o manipolare i gruppi dirigenti e indurli su posizioni che pur apparendo esaustive di reciproci e ricercati equilibri di interessi altro non sono che tappe di un più ampio disegno i cui contorni rimangono sconosciuti a coloro che pensano di esserne i protagonisti.

Non voglio con ciò demonizzare nessuno, però sono convinto che questo modo di far politica oggi non paga e non sia più utile al bene comune e che i giovani dirigenti di partito devono guardarsi da questo rischio, quello di offrire i propri entusiasmi e le proprie energie a vecchi modi di ragionare e di agire politicamente.