opinioni

E' nostro dovere-diritto rimuovere gli inamovibili

lunedì 17 dicembre 2012
di Mario Tiberi

Potrà sembrare curioso e per certi aspetti anche esilarante e paradossale ma, nell'epoca odierna dominata da vorticosi rivolgimenti di mentalità e concezioni, il verificare come affermate metodologie rimangano spesso sospese nelle nubi delle pie proposizioni di principio non giova, di certo, alle loro empiriche applicazioni.

Uno dei temi maggiormente in voga nei dibattiti dei salotti televisivi come in quelli frequentati da personaggi verniciati di supponente snobismo e, non da ultimo, nelle animate discussioni da alterco di piazza può, a fondato titolo, essere ricondotto nel solco della flessibilità delle attività umane, sia professionali sia genericamente lavorative o più semplicemente appartenenti alla sfera del diletto o dello svago.

La parola d'ordine è categorica: bisogna sapersi adattare, flettersi prendendo a modello la canna più o meno pensante di Pascal, coltivare l'arte dell'arrangiarsi disegnata da Eduardo in "Miseria e Nobiltà".
E', però, immorale e riprovevole il tentativo, ancora in atto, di predicare la castità ai passeri; vale a dire che il principio della elasticità di pensiero e di movimento debba essere norma per gli altri tranne che per chi lo propone, lo impone e ne pretende l'osservanza.

Non appare, infatti, ulteriormente tollerabile che le nuove generazioni debbano soggiacere ai ricatti dei tempi brevissimi, pur di sopravvivere, quando gli ideologhi dei rapporti a termine non si creano alcuno scrupolo nel rimanere saldamente ancorati sulle loro comode poltrone dorate come se, illusoriamente, fossero per loro e solo per loro eterne.

Che la condizione umana, nei suoi aspetti più prettamente biologici, sia configurata all'insegna della provvisorietà e della precarietà è come scoprire che il fuoco brucia e il ghiaccio raggela; ma che, nelle dinamiche sociali e politiche, un criterio meno instabile non sia possibile ricercarlo ed attuarlo è atteggiamento ipocrita e infingardo, poiché solo a pochi non conviene a danno dei molti.

Il console romano, così come il suo "alter ego", oltre a prestare il suo servizio alla "Repubblica" a titolo autonomo, libero, volontario e gratuito, rimaneva in carica per un anno solamente e alla scadenza, conseguiti o meno gli obiettivi prefissati, riconsegnava senza geremiadi il mandato "generalis aut ad lites" nelle mani del "Senatus Popolusque Quirinus" che glielo aveva conferito.

La Costituzione degli Stati Uniti d'America statuisce tassativamente, per la funzione del Presidente, la regola inderogabile della non ripresentabilità oltre il limite dei due esercizi consecutivi.

Anche nello statuto del partito, nelle cui file ho prestato la mia militanza di appassionato democratico, è prevista una norma che ricalca il principio sopra esposto, talora rigidamente applicato ai livelli medio-bassi di rappresentanza, tal'altre ampiamente disatteso e derogato per garantire permanenti postazioni di potere a privilegiati oligarchi, rientranti nel novero della nomenclatura di vertice della dirigenza nazionale e/o localistica.

Quando, in occasione di importanti appuntamenti pubblici, li si vedono schierati uno a fianco all'altro sulla tribuna dei notabili, si ha l'impressione di rivedere il "Politburo" gerontocratico della ex Unione Sovietica alle celebrazioni della rivoluzione d'ottobre ritornando, alla memoria, l'immagine di governanti in avanzato stato di mummificazione se non già pietrificati dallo sguardo senza scampo di una moderna Medusa dal potere assoluto.

Mi sento profondamente convinto che non sia più differibile l'apertura di un serrato confronto democratico, a partire dalla base degli iscritti e dei simpatizzanti delle forze politiche in essere, per recidere di netto, una volta per tutte, il cappio soffocante annodato attorno al collo del popolo sovrano da un'autarchia autocratica di intoccabili e di insostituibili perché autoreferenziatisi come indispensabili e, dunque, inamovibili.
Torno a ribadire che un primo, robusto segnale in tal senso dovrebbe pervenire da tutti coloro che, detenendo cariche di nomina per funzioni pubbliche, le rimettano al più presto all'organo di partito e non che gliele ha affidate onde evitare, tra l'altro, che un onesto "cursus honorum" si trasformi per consunzione in un miserevole e disastroso "cursus disonorum".

Per arrivare a tagliare il nastro di codesti traguardi, non è nemmeno da invocare l'intervento risolutivo dell'azione combinata della lanterna di Diogene e del rasoio di Ockham.

Basterebbe molto meno!. E, allora, via libera alle primarie di selezione dei candidati al Parlamento nazionale, uguali e paritarie per tutti e senza favoritismi per nessuno.