opinioni

Quando l'uomo è malvagio. L'incendio della pineta di Marina di Grosseto e la morte della natura

mercoledì 22 agosto 2012
di Virginia Cinti

Luoghi sacri dell'infanzia dove già quei pini offrivano ombra alle passeggiate insieme a mio nonno, dove nelle sabbiose radure della pineta mi raccontava del deserto, dei tramonti africani, della luce della luna, dei suoi riflessi quando si nascondeva dietro valli e siepi, della fedeltà e del coraggio dei cavalli compagni di guerra.

Ora parte di quella pineta non respira più, il fuoco conseguenza di un gesto sciagurato nel suo abbraccio distruttivo l'ha cancellata, un urlo della natura unito al silenzio della morte di quei poveri cavalli avvolti dalle fiamme, impossibilitati a muoversi, e dei due cani rimasti al loro dovere di guardiani mentre la "nave" bruciava.

Ho letto le parole di strazio della Signora Fiorella e ne condivido sentimenti e emozioni. All'improvviso in un solo istante la vita è cambiata intorno a questa famiglia che negli anni aveva curato, amato protetto i suoi animali e i luoghi fino a viverne in simbiosi, una forte sintonia in una unica lunghezza d'onda che raramente appartiene agli esseri umani, un animale ascolta, assorbe e ti ricambia con amore gratuito; l'uomo non sempre riesce a condividere gli stati d'animo di altri uomini.

Ora mi chiedo: quali uomini, quale anima, quale interiorità, quale futuro, quali pensieri si aprono in queste menti capaci di tali gesti? Quali incontri nella vita hanno avuto questi uomini, quali maestri, quale elaborazione nel loro percorso mentale? Quale seme consegnato alla terra per essere da questa protetto, idratato fino a diventare una pianta per dare buoni frutti, o altra pianta inaridita al sole da non essere nemmeno di nutrimento per gli animali?

L'oltraggio alla natura unica nostra grande madre "generatrice e rigeneratrice" è il più vile aberrante delitto-castigo che l'essere umano possa compiere. Ancora mi chiedo: la giustizia, oltre a infliggere una pena detentiva che alza un diaframma tra l'uomo e la sua libertà dovrà andare oltre, ragionare sul significato di tale gesto, e prevedere anche il risarcimento per la collettività come l'esperienza storica dei prigionieri di guerra ci insegna. Dentro a questi uomini vivrà una condanna interiore eterna se non riusciranno con l'ultimo alito di coscienza rimasta a recuperare se stessi aprire il cerchio della loro ossessione e riscattarsi dedicando il tempo al rimboschimento delle zone distrutte e imparando altresì il nobile lavoro di vigile del fuoco, di operaio forestale al servizio degli altri e della natura riacquisendo il diritto ad essere chiamati Uomini. Contrariamente la parte cattiva della loro coscienza berrà sempre il veleno che continuerà a tormentare il padrone del gesto.