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Educazione al lavoro: civica o cinica?

domenica 26 febbraio 2012
di Mario Tiberi

Immaginare un operaio, o una casalinga, o un piccolo borghese peregrinanti all'interno di un'area commerciale, strutturata e organizzata sul modello di una casba, parrebbe non essere più una fantasia di pressante attualità e soprattutto tale da suscitare l'interesse generale.
Si pensi però agli stessi utenti che si aggirano smarriti e disorientati, perché senza un centesimo in tasca, tra un banchetto dove si vendono formaggi e latticini e un altro dove si commerciano paste e cereali. La prospettiva cambia, e di molto, anche in ragione del fatto che la sensazione di disagio e di sofferenza, sia degli uni che degli altri, è diretta discendente dell'andazzo pendolare del tempo moderno contingentato.
E le contingenze, cioè le strettoie dentro le quali si è costretti a manovrare la barra del vivere quotidiano, non lasciano scampo e non permettono fughe in avanti dissennate o mal ponderate.

Ogni attività umana, manuale o intellettuale che sia, è soggetta oggi più che mai a potenzialmente divenire una gabbia ossessiva piuttosto che essere un esercizio liberatorio delle energie individuali.
I gesti ripetitivi, i ritmi disumani e spersonalizzanti, la consapevolezza della spesso avvertita inutilità delle proprie azioni rischiano di far precipitare, anche la persona apparentemente meglio attrezzata, in un pozzo cupo nel cui fondo non vi è se non la perdita di ogni controllo sulla propria mente. Tentando di porre in essere una manovra di risalita tanto improbabile quanto disperata, con forsennata irragionevolezza si pigiano all'impazzata le miriadi di pulsanti e interruttori della sala di comando del proprio cervello con il risultato di provocare l'arresto della catena produttiva cerebrale, sia in termini di idee che di soluzioni, e finendo per rimanere intrappolati negli stessi ingranaggi e meccanismi dai medesimi azionati.

Gli episodi, sempre più frequenti, di inaudita ed impensabile violenza contro simboli e persone, specialmente quelle più deboli ed indifese, rappresentano appieno la triste realtà dell'epoca in corso di svolgimento. Si preferisce volgere lo sguardo altrove, distrarre l'attenzione collettiva evocando futilità ed abiezioni, glissare gli effettivi problemi esistenziali della gente piuttosto che adottare severe linee di condotta, sia in politica che in economia, tendenti ad almeno rasserenare un clima sociale già di per sé gravido di tensioni e foriero di non certo rosei sviluppi.
La recessione che attanaglia il Paese, la chiusura delle fabbriche con la conseguente perdita del posto di lavoro, la disoccupazione crescente in linea esponenziale allorquando cesseranno gli effetti contenitivi degli ammortizzatori sociali, generano uno stato diffuso di nuove povertà e di rabbioso malcontento e, contemporaneamente, stimolano il ricorso ad espedienti, non sempre leciti e legittimi, pur di mettere insieme il pranzo con la cena.

Ricette miracolistiche non servono; politiche dimostratesi fallimentari servono ancor meno; riconsegnare le chiavi del potere decisionale a classi dirigenti, prave e ciniche, sarebbe la sventurata iattura conclusiva di una storia nata male e finita peggio.
Ciò che invece davvero serve, ritengo vada individuato in un rivoluzionario modello o metodo educativo finalizzato alla ricostituzione di una rigenerata coscienza del Bene-Lavoro e che, riscoprendo i mai superati "Praecepta gerendae rei publicae", riporti in primo piano la funzione insostituibile dello "Spirito di Servizio" da rendere al popolo, in nome di esso, con esso e per esso.
Solo così sarà possibile transitare da una fase educativa diseducante, fondata sul cinismo finanziario e sull'affarismo economico, ad un'altra, più umana e solidale, nella quale il civismo costituzionale e la rettitudine politica possano rappresentare i cardini su cui installare nuove porte per nuovi orizzonti.

Il tempo ci appare come essere composto di passato, presente e futuro: meglio dire, secondo l'insegnamento di Agostino d'Ippona, che nel tempo sono ravvisabili il presente del passato (la Storia), il presente del presente (l'Immanenza), il presente del futuro (la Trascendenza nella Speranza).
Sono proprio le ragioni della speranza che, seppur sconsolati, non consentono di abbandonarci al pianto sul margine di una strada deserta, ma che debbono infondere fiducia e coraggio per rialzarci e proseguire il cammino, mano nella mano, lungo la via che si apre tra gli sconfinati spazi, simboleggianti le inesplorate opportunità che la vita comunque riserva a chi non demorde e non si arrende.