opinioni

"Il Manifesto" bene comune. Salviamolo!

venerdì 10 febbraio 2012
di Stefano Corradino, direttore

Sono cresciuto giornalisticamente con Il Manifesto. Avevo più o meno 14 anni quando ho cominciato a leggerlo. Non so bene cosa cercassi in un quotidiano. A quell'età ti fai un sacco di domande sulle cose del mondo e magari in un giornale cerchi delle risposte. Io cercavo altre persone che si ponevano i miei stessi interrogativi. E le ho trovate nel Manifesto. Ed è per questo che ho instaurato negli anni un rapporto di complicità a distanza con Luigi Pintor, Rossana Rossanda, Luciana Castellina, Valentino Parlato, Ida Dominjanni, Norma Rangeri e tanti altri con cui sentivo di condividere, pur non conoscendoli direttamente, una visione altra del mondo, un "pessimismo attivo" che non è rassegnazione all'ineluttabile ma convinzione di poter cambiare il mondo, a partire da sé.

Per tanti era il secondo giornale, per me era il primo. Non sentivo un bisogno bulimico e frenetico di sapere tutte le notizie. Volevo condividere l'indignazione e la rabbia per un'ingiustizia. Una alla volta. E quando sul treno, in autobus o in mezzo alla strada trovavi qualcuno con il Manifesto sotto braccio o con la testata che spuntava dalla tasca di una giacca quel tale era già tuo amico, o se non altro, di sicuro, un compagno! Ed era bello scambiarsi uno sguardo d'intesa o un sorriso fugace come a dire "siamo entrambi dalla parte del torto". E poi la sorpresa
dell'edicolante nel vederti acquistare una copia del giornale a 50 euro (prima a centomila lire) come "contributo alla causa".

Quando ho cominciato a prendere parte all'attività di Articolo21 l'ho fatto partendo dal presupposto che la battaglia per la libertà di espressione fosse indispensabile soprattutto per difendere e sostenere le voci fuori dal coro, quei giornali e quei giornalisti che non fanno gossip, che non pubblicano foto ammiccanti, che non sono allineati al potere politico o economico di turno e per questo sono più indifesi, più deboli, più ricattati. Giornali e giornalisti i cui unici padroni sono i loro lettori.

Il Manifesto attraversa una delle fasi più difficili della sua storia. La crisi economica rende più difficile acquistare un secondo giornale, la diffusione di internet, una connotazione politica che lo discrimina sul mercato della pubblicità. E i tagli sempre più consistenti all'editoria. Il finanziamento pubblico va inderogabilmente riformato bonificando questo settore dai troppi abusi e furbizie. Ma, come ha scritto recentemente il presidente della Repubblica rispondendo alla lettera dei direttori di numerose testate di cooperativa se alcuni giornali chiudessero "ne potrebbero derivare gravi rischi di mortificazione del pluralismo dell'informazione".

Ci sono quotidiani, su tutti il Manifesto, che in questi decenni sono stati più di un organo di informazione ma strumenti di crescita culturale e di emancipazione, luoghi di dibattito e proposta che hanno contribuito alla nascita e alla diffusione di nuovi movimenti per i diritti civili e nuove istanze di libertà e di progresso e che non possono competere sul mercato pubblicitario proprio perché non accettano acriticamente le logiche perverse e ciniche del mercato stesso.

Per questo sono beni comuni da salvaguardare e da difendere.

P.S. Ad Orvieto, a pochi metri dal Duomo c'è una stanza lunga e stretta. Alle pareti sono affisse molte prime pagine del Manifesto. Non sono ingiallite perchè il compagno Giulio Montanucci che in questa sede ha dato
vita decenni fa al Collettivo orvietano del Manifesto le ha ritagliate con cura geometrica e incorniciate. I compagni lettori orvietani aspettavano la cena (più o meno a cadenza annuale) del collettivo per confrontarsi con
il giornalista che veniva da Roma (Valentino Parlato il più assiduo), per scambiare idee e riflessioni davanti a un buon bicchiere di rosso. E ancora oggi Giulio, che non sta bene ma si arrabbia come e più di 50 anni fa di fronte alle ingiustizie, aggiorna costantemente la bacheca del "Manifesto" affissa sul muro di Corso Cavour: l'ultima vignetta di Vauro, l'editoriale sull'acqua pubblica e accanto la denuncia sull'espropriazione dei beni comuni locali. Negli anni la bacheca l'hanno bruciata, divelta, imbrattata. Ma Giulio il giorno successivo, senza battere ciglio scolpiva la nuova cornice in legno e la riappendeva. Nuova bacheca, nuovo contributo alla lotta.