opinioni

Orvieto racconta

mercoledì 26 ottobre 2011
di Nello Riscaldati

Scrissi quanto segue circa 25 anni fa come introduzione all' "Antologia dei Poeti e Verseggiatori Orvietani del Secolo XX" da me curata. Immaginai la città che raccontava, come una nonna ai nipoti, i suoi acciacchi, i suoi dolori, i suoi malanni e confidava ai medesimi le sue paure e le sue speranze.
Dopo un quarto di secolo mi permetto riproporre il brano all'attenzione di coloro che non hanno avuto modo di leggerlo allora e sempre che ne siano ora interessati:

A futura memoria

"Il mio nome oggi è Orvieto. Sono nata tremila anni fa, secolo più secolo meno, da genitori etruschi venuti da chissà dove ma sicuramente di buona famiglia. La mia prima infanzia fu abbastanza tranquilla pure se ho dovuto sopportare i frequenti litigi dei miei abitanti che però, tra una lite e l'altra, mi avevano rivestita di strade, di abitazioni, di templi e di monumenti. Insomma non dico che ero ricca ma stavo abbastanza bene ed ero considerata anche importante. Fino a che, un brutto giorno, perché sembra che un brutto giorno debba esserci per forza nella storia di ciascuno di noi, un brutto giorno dunque arrivarono i romani i quali uccisero, saccheggiarono, incendiarono e cacciarono i pochi scampati all'eccidio che si rifugiarono poi sulle rive di un grande lago mio vicino dove fondarono una nuova città. Cosi io restai orfana, nuda e sola, ed in questo stato sono vissuta per più di mille anni in mezzo a pecore, capre e vecchi bacucchi.

Poi mi ricordo che verso la fine del primo millennio dell'era volgare, uomini e donne, poco per volta, anno dopo anno, tornarono ad eleggermi come stabile dimora. Parlavano una lingua diversa da quella che avevo appreso nella mia infanzia ma li compresi ugualmente e questi miei nuovi figli si dettero anche loro un gran da fare nel costruirmi sopra case, torri, palazzi, chiese e monumenti confezionandomi così un vestito tutto nuovo tanto ché io, anche se in età matura, mi risentii di nuovo giovane, libera e potente almeno per un paio di secoli. Poi ricominciarono di nuovo le liti, la libertà mi fu tolta, cessai di essere un libero Comune e fui costretta a cercarmi un padrone sicuro, padrone che trovai nello Stato della Chiesa al quale non dispiacque affatto di accogliermi sotto l'ombra del suo gran manto. Per fortuna che i miei cittadini avevano gia cominciato a fabbricarmi il Duomo!
Da quel momento e fino ad ad oggi la mia storia non presenta vicende di particolare rilievo. Ho vivacchiato così, tra una pestilenza e l'altra, come hanno fatto tante mie sorelle più grandi e più piccole.
Però qualche rimpianto ce l'ho: per esempio, ho il Duomo più bello del mondo ma non ho neppure uno straccetto di Santo che porti il mio nome nel senso di "S. Tizio da Orvieto". E pensare che sono circondata da città che ne sono piene zeppe, come Siena, Cortona, Viterbo, Cascia, Assisi, Bagnoregio e via dicendo.

Ce l'ho anche a morte con Fazio degli Uberti il quale sostenne che il mio nome attuale, anche se lui mi chiama "Urbivieto", derivi dal fatto che i vecchi romani venivano a vivere quassù "perché l'aere v''è sana".
Insomma qualcuno potrebbe anche pensare che io sia stata una specie di ospizio, insomma una grande "S Giorgio" dell' Impero Romano.
E non ho mai perdonato a Dante di aver ricordato le liti dei miei cittadini e di essersi scordato del miracolo di Bolsena. Chissà, forse l'evento non fu divulgato a sufficienza o fu presto dimenticato,...?! Non lo so, ma la cosa mi rimane ancora di traverso.

Lasciamo i risentimenti e veniamo invece ad oggi perché quello che a mé interessa e il raccontarvi qualcosa di come sono io oggi, A.D. 1987, in modo che voi un domani, volendo, possiate procedere ad un confronto.
Ma non vi parlerò di cose "storiche" anche perché al momento non ne ho per le mani, no vi parlerò di cose piccole, quotidiane, cose che nessuno nota e annota, insomma vorrei raccontarvi, così a braccio, quello che mi viene in mente.

Per esempio l'anno scorso, 1986, ho visto nascere 158 bambini, un po' pochi in verità, dei quali 76 maschi e 82 femmine. Il nome preferito dai genitori è stato per i maschi Andrea e Francesco e per le femmine Elisa e Francesca.

Ho parecchi anziani sulle mie spalle e la cosa mi preoccupa molto perché tanti sono soli e malati, e so che la cosa si andrà aggravando negli anni a venire e così ho paura di diventare davvero "la città dei vecchi", come diceva appunto quel tale Fazio.

Anche il mio stato di salute ultimamente non è stato buono, specie per via dell'umidità che, come si sa, per gli anziani è micidiale. Fortuna che sono stata ben curata ed al momento i miei strapiombi sembrano sentirsi un po' più sollevati. Mi hanno anche promesso una funicolare nuova. Quando sarà funzionante mi sentirò ancora meglio.

Ma andiamo avanti, l'anno scorso, 1986, si sono unite in matrimonio 127 coppie, ma so già che qualcuna di queste non durerà più di un paio d''anni. Da ogni coppia nasceranno un figlio virgola qualcosa il che vuol dire che i miei abitanti sono destinati a calare di numero.
I miei anziani sono molti ma in giro se ne vedono pochi perché le mie strade sono state aperte per il rifacimento della rete fognante, poi sono state richiuse, poi l'anno scorso ancora aperte per la posa degli impianti del metano. Insomma è' un apri e chiudi continuo. Le poche strade e le piazze dove i lavori sono già terminati o non ancora iniziati sono ingombre di automobili e il poco spazio rimasto è molto trafficato e pericoloso per chi va a piedi.

In questi ultimo anni mi hanno stiracchiato da tutte e parti, dalla Segheria a Sferracavallo e, per, ultimo, oltre il Paglia, fino a Ciconìa- Mossa del Palio. Quartieri nuovi con tutti i servizi, ma così brutti e mal concepiti sia per la disposizione che per la forma che io, se penso all'armonia e alla dignità antica della mia Rupe, per la verità, mi vergogno un poco e non ho ancora deciso se considerarli parte di me o più semplicemente un suburbio-letto.

La famiglia media, il "foco" di un tempo, che vive sulle mie spalle è composta di 2,88 persone. La metà circa delle famiglie di tutto il mio comune, che al 30 aprile 1987 erano 7.691, è proprietaria della casa dove abita, il 90% ha un'automobile, molte più di una e anche più di un televisore. Tutte hanno la lavatrice, meno le famiglie di quelle donne che lavano ancora i loro panni nella Fontana delle Conce ed io non ho ancora capito se costoro sono le mie donne più povere oppure le ultime capaci di trovare il tempo e assaporare il gusto di insaponare sciacquare e risciacquare le loro lenzuola, mentre si raccontano le cose del giorno e anche quelle della notte, con i piedi gonfi, appoggiati su di una grossa e consumata pietra, gomito a gomito l'una con l'altra.
E vorrei porre all'attenzione dell'Azienda Turismo l'annotazione di cui sopra. Fate vedere ai turisti le lavandaie delle Conce perché sono la mia immagine vivente più antica perché queste donne lavano oggi i loro panni esattamente come facevano le loro nonne etrusche di tremila anni fa. E cambiata solo la marca del sapone. Conservatene dunque l'immagine. Dedicate a queste donne almeno un servizio fotografico. Se lo meritano perché sono le ultime e sono le ultime perché sono sempre le stesse.

Per difendermi dall'invasione dei pullman carichi di turisti che si spingevano su fino a Piazza del Duomo sono stata costretta a mettere in atto una piccola manovra dissuasiva. Un giorno dello scorso anno ho lasciato che si aprisse una buca, una piccola buca, sulla strada di S. Paolo all'altezza del Cipresso ed un pullman vi è finito dentro. Da quel giorno li tengo tutti bloccati al piazzale Cahen. Quando mi avranno tolto i pullman dalle scatole alloggiandoli in basso nei parcheggi dei quali si discorre da anni allora tirerò davvero un grande sospiro di sollievo.

La sala consiliare del mio Palazzo comunale è occupata quasi in permanenza oltre che da riunioni del Consiglio, anche da quelle di Enti, Associazioni, Fondazioni etc. che dibattono e ridibattono sugli argomenti più vari per ore e ore. Le sedute insomma sono più lunghe che per il passato e lo sono perché da qualche tempo la nascente televisione orvietana ha piazzato una telecamera, la quale inquadra imperterrita e senza pudore, tutti gli oratori i quali non si sarebbero mai sognati di poter comparire sul video per un tempo tanto lungo e così a buon mercato.
La conseguenza è che oggi gli oratori non iniziano più i loro interventi con il dire "sarò breve", ma con" ritengo necessario fare anzitutto alcune premesse", e così premettono, espongono, promettono, riaffermano e ribadiscono una quantità di cose e fino a tarda notte. Detti oratori hanno migliorato e di molto il loro "look" ponendo maggior cura sia all'abito che al capello ed i più sprovveduti hanno cominciato pure a tentar di prendere dimestichezza con il vocabolario, la grammatica, e soprattutto la sintassi. Il dramma comincia però subito dopo, e cioè quando la suddetta emittente ti ripropone tutta la seduta in edizione integrale compresi gli sbadigli, i commenti sottovoce, gli stiramenti di schiena, gli sfulinamenti di naso e così via.

Vengo alla conclusione. Forse non l'ho fatta ma se non l'ho fatta la faccio adesso ed è una confessione: io, miei cari cittadini, da un po' di tempo soffro di solitudine, sissignori, a dirla tutta soffro di una solitudine allucinante. Solo il giovedi e il sabato, per via del mercato mi viene somministrata una boccata d'ossigeno perché riascolto per qualche ora il chiasso festoso di un tempo andato, riascolto la mia lingua e il mio linguaggio ed è appunto quando i figli parlano e la città li comprende che la città si accorge di essere ancora viva. Il linguaggio di un luogo va salvato. Salvare i monumenti non basta. Se non c'è qualcuno che li fa parlare i monumenti restano muti, cosi come pure se sono loro a non riuscire a parlarvi. E una cosa muta è sempre una cosa morta.
Dicevo del chiasso festoso del giovedì e del sabato, aggiungiamoci pure il "passeggio" per il Corso la sera, certo sono cose che mi danno sollievo ma durano poco perché quando si fa notte il silenzio è veramente assoluto.
Ed è allora che io ho paura, paura di rimanere sola, sola con i miei acciacchi, con i miei pochi giovani, con i miei tanti vecchi, con i malati del mio ospedale e, forse, un giorno sola del tutto.

Ed è in questo che consiste il mio "Terrore del Terzo Millennio"! Spero tuttavia che i miei figli di questo scorcio di secolo riescano a portare a termine quanto hanno oggi in mente o in cantiere facendo in modo che alla fine del secondo millennio si possa brindare tutti insieme ad un felice inizio del terzo.

E con una sincera e robusta stretta di mano auguro a coloro che in questo momento mi stanno camminando sopra una lunga e serena vita di lavoro e in buona salute.

La Città di Orvieto nel maggio 1987


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