opinioni

I piccoli centri come modelli resistenti di cultura slow

lunedì 28 marzo 2011
di Pier Giorgio Oliveti - direttore di Cittaslow International

Al di fuori della "natura selvaggia", la cosiddetta wilderness che ormai è relegata in territori sempre più ristretti del pianeta, l'identità locale coincide ovunque e sempre più con lo spazio abitato, con l'architettura e l'ambiente antropico.

L'insediamento storico e contemporaneo, infatti, non solo conserva e cristallizza ma anche mostra i segni della storia nella sua evoluzione.

In questo contesto - con particolare riferimento ai centri urbani piccoli e medi italiani ed europei, assumere oggi un "approccio slow", al di là di ogni riferimento retorico e/o strumentale, esprime un concetto tanto semplice quanto complicato: restaurare in termini slow i centri storici esistenti, gli edifici antichi e moderni, concepire i nuovi insediamenti e l'urban planning contemporaneo, significa attingere prioritariamente ai saperi e ai materiali tradizionali, traguardando al tempo stesso obiettivi di "housing" modernissimi, quali il risparmio energetico a mezzo di "case passive", la sostenibilità ambientale e sociale, la biodiversità naturalistico-ambientale, delle forme e dei paesaggi. Sono concetti ben presenti nel paesaggio storico umbro e toscano, tutelati "con i denti" negli ultimi decenni da molte(non tutte) amministrazioni locali, che si sono opposte all'"omologazione fast" la quale è equivalsa in tanti altri ambiti italiani ad una cascata di cemento e asfalto che ha coperto tutto a mo' di tsunami del "falso sviluppo: il massimo quantitativo, qui ed ora". Nei piccoli centri più che nella metropoli, si sono sviluppati modelli "resistenti" di cultura slow che in qualche modo ha "protetto" più che altrove, forme di edilizia tradizionali, uso di materiali indigeni, applicazioni e saperi artigiani di valore storico.

I modelli sviluppati all'interno delle Cittaslow umbre, italiane, mondiali (oggi sono 142 in 22 paesi), sono sotto gli occhi di tutti, e si distinguono perché sanno unire il meglio del passato e della tradizione con il meglio delle tecnologie disponibili per l'abitare. Il famoso quartiere Vauban di Frieburg vive già nelle 142 Cittaslow... Per esempio in Olanda, nella Cittaslow di Midden-Delfland, si sta costruendo un nuovo municipio con il tetto in paglia al modo degli antichi mulini a vento, assommando metodi di isolamento con fibre naturali al massimo dell'high tech per l'edilizia.

Così a Castelnuovo Berardenga o a Chiavenna, a Pollica o a Montefalco, a Mendrisio (Svizzera) o a Segonzac (Francia), a Hartberg (Austria) o a Sonoma (Usa), si sperimenta e si applica concretamente e giorno per giorno, il buon vivere slow, una scommessa per il futuro che è anche una presa in carico di responsabilità da parte dei cittadini e degli amministratori, una sorta di "prova del nove" per le stesse strutture democratiche chiamate ad esprimere prima di tutto la partecipazione e la responsabilità sociale condivisa. Il restauro slow è dunque un'opportunità fondamentale per "ripensare" non solo tecniche e modalità dello sviluppo locale, ma anche per creare nuove micro economie locali, basate sulla migliore valorizzazione dell'artigianato, dei materiali, delle sapienze diffuse sul territorio e a rischio di estinzione, al pari dei Presidi Slow Food per l'agroalimentare e le cultivar non OGM.

Troppo spesso invece la democrazia relegata ad una modalità a "low energy", con scarsa o nulla partecipazione dei cittadini alle scelte che li hanno riguardati e che li riguardano, porta alla pura e cieca ottimizzazione dei profitti, dimentica del profondo iceberg di cultura, di saperi e di opportunità "eco-nomiche" che sta sotto i nostri piedi.


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