Foibe, i giorni dell'odio. Scrivere, far vivere, ricordare
Ho voluto menzionare la citazione di Nietzsche, nel sommarietto di fondo racconto, perché ho trovato questo aforisma molto appropriato relativamente al tema.
Ci sono voluti oltre 60 anni per onorare la memoria di migliaia di persone "giustiziate" perché colpevoli...di essere italiane.
La storia di ogni comunità civile del mondo non può prescindere dalla storia delle sue imprese; e nella storia di queste sono naturalmente impressi i signa dei loro attori.
Alcuni dei commenti apparsi nei giorni scorsi sul quotidiano Orvietonews.it all'articolo "10 febbraio 2011: Giorno del ricordo in memoria delle vittime delle foibe" e da ultimo quello scritto oggi sul quotidiano Orvietosi.it dal titolo "Baschi-Dramma delle foibe, il sindaco al fianco dei negazionisti" hanno dell'incredibile in termini di stupidità umana ed hanno destato in me il desiderio di testimoniare brevemente quel periodo.
Di questa verità realmente avvenuta, con alcuni ricordi-flash di bambino, con le testimonianze orali dei miei genitori e con alcune fonti storiche e geografiche, ho tentato di ripercorrere quel quadriennio di vita (1943-1946) che ha visto coinvolta in quelle vicende la mia famiglia.
Il trasferimento da Orvieto in Istria - Le ragioni
Allo scoppio della seconda guerra mondiale (1° settembre 1939) mio padre si trovava a Firenze al servizio del Console della Milizia Ten. Marasco e successivamente (estate 1940), in seguito alla più grande tragedia mineraria italiana (Questa grande tragedia mineraria italiana, avvenne in Istria, ad Arsia, il 28 febbraio 1940 e si contarono 185 morti) vennero loro assegnati nuovi incarichi in terra slovena e così vennero trasferiti ad Arsia (Un paesino Croato dell'Istria sud-orientale), presso le Miniere Carbonifere dell'Arsa.
Nell'ottobre 1942, al compimento del mio secondo anno di età (foto che segue), mia madre insieme all'altra mia sorella decise di raggiungere l'Istria per unirci a mio padre e sostammo per un certo periodo a Pola (Valona) e poi, successivamente, a Pisino.
Nel 1943 tutta l'Istria, Pola compresa, cadde sotto la zona di occupazione tedesca. Nell'interno, nacquero le prime formazioni partigiane, che combatterono contro l'occupazione nazista ma dovettero guardarsi anche dai partigiani slavi, ostili agli italiani.
Verso la fine dell'anno i partigiani titini cominciarono a penetrare in quei territori e a dare la caccia a tutti gli italiani.
Si iniziò a parlare di foibe e a cadervi dentro furono migliaia di persone, uomini, donne, vecchi e bambini. Nacque anche un movimento di liberazione comunista e filo-jugoslavo, che sostenne il progetto di una "settima repubblica federativa autonoma" italiana all'interno della Yugoslavia.
Dopo giorni di difficile esistenza, di paure e di patimento della fame mio padre in accordo con mia madre decisero di rifugiarsi a Trieste dove già risiedeva con la moglie Olga, Nardi Osvaldo, (alla fine della guerra falegname prima in Via F. Cavallotti e poi antiquario in Via L. Maitani), il quale ci dette alcune informazioni sommarie su una famiglia di ebrei conosciuti qualche tempo prima e che probabilmente ci avrebbero aiutato.
Con un camion delle Miniere Carbonifere dell'Arsa che settimanalmente andava e veniva con Trieste per motivi di lavoro, con mia madre in dolce attesa, io e l'altra mia sorella Maria Luisa giungemmo a Trieste da Opicina (E' una frazione del Comune di Trieste situata interamente nel Carso) e ci fermammo in una zona denominata "Roiano" (Il rione di Roiano, situato nella città di Trieste, era una vallata degradante tra prati, vigne, campagne, boschetti e il centro abitato, delimitata dal ciglione carsico di Opicina e precisamente in Via dei Cordaroli al numero civico 16 da dove si poteva scorgere il porto e lì, seguendo le indicazioni del Nardi, fummo ospitati da una famiglia di ebrei, i cui proprietari (Camerini Riccardo e Alice) divennero, in occasione della nascita di mia sorella Gabriella (7/3/1944), anche i padrini.
L'occupazione tedesca (1943-45)
Nel periodo che va dall'armistizio (8 settembre 1943) all'immediato dopoguerra, Trieste fu al centro di una serie di vicende che segnarono profondamente la storia del capoluogo giuliano e della regione circostante. Come dicevo, nel settembre del 1943 la Germania nazista occupò senza alcuna resistenza la città che venne a costituire, insieme a tutta la Venezia Giulia una zona di operazioni di guerra.
I bombardamenti si verificavano di continuo e al suonare delle sirene che preannunciavano l'arrivo degli aerei nemici tutti andavamo a proteggerci nel rifugio sottostante la nostra abitazione. Quelle occasioni per noi bambini, che non sapevamo cosa fosse la guerra, rappresentavano invece dei veri giochi perché finalmente potevamo unirci e divertirci con gli altri bambini che provenivano dalle abitazioni vicine. Ricordo in particolare Carlo e Gianni Borghi (foto che segue) nipoti dei nonni (così venivano anche da noi chiamati) Riccardo e Alice Camerini e un bambino dai capelli biondi di nome Fulvio.
Insomma, con quella situazione come si suol dire...cademmo dalla padella sulla brace.
Il campo di lavoro obbligatorio a Sejane-Fiume
(29 Settembre 1944-22 Dicembre 1945)
Sejane era una frazione della Ciceria, regione posta nella parte settentrionale dell'Istria, regno asperrimo del Carso, abbacinante di pietra calcarea. Alla domanda che cosa fosse Sejane, mio padre così rispondeva: "Alcune baracche in legno e bandone ondulato che "ospitavano" un centinaio di esseri umani, uomini e donne, rastrellati, adibiti a pesantissimi lavori di fortificazioni, come scavare trincee, bocche da lupo, camminamenti, ecc.... sprovvisti di indumenti adatti alla stagione e nutriti con pappine schifose di segala, carote e rape marce".
In quel periodo a Trieste venivano effettuate retate improvvise da quando i nazisti non avevano altra possibilità di rifornirsi di "mano d'opera".
Ecco la bozza di un manifesto ben affisso in Piazza Regina Elena, bilingue (italiano e croato):
"LE DONNE DAI 16 AI 45 ANNI E GLI UOMINI DAI 14 AI 60, SONO CHIAMATI AL LAVORO OBBLIGATORIO NELL'ORGANIZZAZIONE TODT, ESCLUSI QUELLI PRECETTATI PER IL SERVIZIO MILITARE"
Nella giornata del 29 settembre 1944 ebbe inizio un periodo molto triste e pieno di paura. Mentre mio padre era in casa con mia sorella più grande intento a custodire l'altra mia sorella di 7 mesi, bussarono alla porta una pattuglia di soldati tedeschi, armati fino al collo, e costrinsero mio padre a seguirli. Mia madre, insieme a me, era andata a ritirare la tessera (Il sistema distribuiva "tessere", sopra vi era stampigliata la stella rossa di Belgrado, con le quali si poteva acquistare (sic!) latte in polvere, zucchero e gallette, a prezzi controllati e in quantità limitata. La polenta compariva spesso sulla nostra tavola.... solo la fame ci induceva a mangiarla. Piu' gradevole era la polenta "soufflé" con latte e zucchero) necessaria per l'acquisto di qualche galletta da ammorbidire nell'acqua. Quando rientrammo in casa mia sorella Maria Luisa raccontò tutto quello che era successo e lascio immaginare la tristezza ed il timore che ci colse.
Che fine avesse fatto mio padre lo sapemmo solo al suo ritorno dalla prigionia dopo la ritirata dei tedeschi. Era la sera della vigilia del Natale del 1945 quando sentimmo bussare alla porta. Io, con la curiosità e la velocità di bambino, corsi immediatamente ad aprire la porta e mi trovai dinanzi un uomo coperto con un cappotto strappato, un "ramo" di abete sulle spalle e la barba incolta. Terrorizzato, corsi subito da mia madre ed esclamai: "mamma, vai alla porta che c'è un vecchio che ti vuole...". Quel vecchio era mio padre...non lo avevo riconosciuto. Fu una gioia immensa per mia madre, ma anche per me e per le mie sorelle perché quel Natale lo potemmo trascorrere tutti insieme!
I 45 giorni dei partigiani titini (1945) - L'occupazione jugoslava
L'insurrezione dei partigiani italiani e jugoslavi a Trieste fu contraddistinta da uno svolgimento armato. Gli scontri si registrarono principalmente nelle zone di Opicina, del Porto Vecchio, del castello di San Giusto e dentro il Palazzo di Giustizia, in città, proprio vicino alla nostra residenza. Tutto il resto della città fu liberato. Le brigate partigiane jugoslave di Tito erano già giunte a Trieste il 1° maggio ed il comando tedesco si arrese solo il 2 maggio alle avanguardie neozelandesi. Successivamente venne indetta da alcuni cittadini jugoslavi e da due italiani un'assemblea cittadina dove venne proclamata la liberazione di Trieste, presentando i partigiani di Tito come i veri liberatori della città agli occhi degli alleati spingendo i partigiani non comunisti del CLN a rientrare nella clandestinità.
Ricordo con piacere quando gli alleati assunsero il controllo della Città e l'arrivo a Trieste dei soldati americani. Fu una vera gioia per tutti, significava apparentemente la fine della guerra e della fame, delle sofferenze. Ma non fu esattamente così, almeno per la mia famiglia.
Quando essi giunsero ricordo la distribuzione dei pacchi dono in Piazza Unità d'Italia. La razione era divisa in tre parti, tre pacchetti, con leccornie a noi sconosciute perché sparite dal mercato; Chewing gum, caramelle, cioccolata, biscotti, caffè solubile, latte in barrette, formaggio in scatola e sigarette (ma anche carta igienica). Ricordo anche che si avvicinò a me un soldato di colore per darmi una cioccolata ed io, come gesto di riconoscenza e gratitudine, allungai una mano sulla guancia per fargli una carezza ma la ritrassi in tutta fretta convinto che quella faccia tutta nera mi avesse sporcato la mano!
Mio padre, comunque, per ovvii motivi continuò a fare la spola tra Trieste, Pola e l'Arsia e non fu una situazione tanto piacevole perché le notizie che arrivavano dall'Istria non erano poi tanto confortanti e perché comunque i crimini proseguirono anche dopo la fine della guerra: esattamente per altri due anni, cioè fino a quel 1947 in cui l'Italia firmò il trattato di pace con la Jugoslavia cedendole Istria e Dalmazia.
Ma le sofferenze non finirono.
Nel giugno del 1946, dopo un anno dalla firma dell'accordo Alexander-Tito che assegnava Pola come zona raggiungibile solo via mare all'interno della Zona A del Territorio Libero di Trieste, io e la mia famiglia riuscimmo a fuggire. Salimmo sulla prima "tradotta armata" con destinazione sud. Non fu affatto un viaggio piacevole ma denso di insidie, una su tutte la collocazione di noi figli (mia sorella Maria Luisa di 10 anni, l'altra mia sorella Gabriella di 2 ed io di 5) su alcune tavole fissate all'altezza della congiuntura dei vagoni, essendo gli stessi carichi di carri armati e quindi privi di spazi, con agli estremi -a guisa di sponde- da una parte mio padre e dall'altra mia madre. Arrivammo alla stazione di Allerona e lì ci fecero scendere perché, a causa del bombardamento del ponte, non si poteva più proseguire.
Prendemmo le poche e misere cose che eravamo riusciti a portare via e a piedi ci incamminammo verso Orvieto.
Qui giunti, ci rifugiammo in casa dei miei nonni materni, in contrada San Valentino, ma essendo loro stessi una famiglia piuttosto numerosa non poterono ospitarci per lungo tempo per cui ritornammo nella casa dove io nacqui il 16/10/1940 in Via Cipriano Manente, dal Sig. Tavolone (non so se questo fosse realmente il suo nome oppure, come si soleva fare in quel tempo, fosse stato un soprannome). Poi ricordo che, con l'aiuto di amici, fra i tanti mi piace annoverare la Famiglia Venturi (i genitori dell'Avv. Valeriano Venturi), Antonio Foresi, la famiglia Pinco (zia Venezia, Franco e Giulio, Maria Teresa e zia "Righetta"), Isolina Grassini ed il figlio Adelio e Arturo Adami, riuscì a trovare lavoro mio padre e una degna collocazione in una abitazione sita in Via Pecorelli al numero civico 6 di proprietà dell'Avv. Palombaro e lì i miei genitori ricostruirono la loro vita iniziando dalla Prima Comunione e Cresima di mia sorella Maria Luisa (foto seguente), era il mese di maggio del 1947.
In estrema sintesi non fu un quadriennio molto semplice sotto tutti i punti di vista ma certamente fu meno tragico rispetto a coloro che invece sono finiti nei campi di concentramento o nelle foibe.
Orvieto li, Febbraio 2011
SCRIVERE, FAR VIVERE, RICORDARE