opinioni

Il giorno dopo

lunedì 29 novembre 2010
di Nello Riscaldati

In questi tempi di gran confusione, quando ciascuno si meraviglia del come sia incredibile che l'altro non riesca a capire e ad ammettere che la vera soluzione del problema è quella da lui elaborata, quando uragani di parole si aggrovigliano per poi intasarsi senza riuscire a venir fuori dagli schermi nel tentativo di spiegarci cos' è la libertà e il pluralismo dell'informazione, è difficile, ma davvero difficile immaginare quello che ci aspetta ogni giorno dopo a partire da domani. Aggiungete poi la fraseologia ampollosa, l'uso sovrabbondante di termini inutili, il servirsi di quattro o cinque parole là dove ne sarebbe stata sufficiente una sola e vi rendete conto di che cosa è lo stato dell'efficienza della comunicazione oggi.

Ed è difficile anche scrivere qualcosa su qualsiasi argomento od evento perché quando sei alle prime righe ti accorgi o ti dicono che quell'argomento è gia stato trattato per il dritto e per il rovescio da decine o centinaia di firme più importanti della tua. Oggi ogni fatto, anche minuscolo, viene triturato, digerito e metabolizzato in un flash da macro e micro aggeggi tecnologici per cui comunque tu ti muova è sempre arduo aggiungere qualcosa a qualcosa di non già detto

Sere fa in un talk-show parlavano in cinque contemporaneamente, tutti rivendicanti il diritto alla libertà di parola. Dal casino generale al quale partecipava anche il conduttore in brodo di giuggiole per via dell'audience, ogni tanto emergeva un termine comprensibile ma sconnesso con gli altri. Aumentava invece il ritmo, il volume, la dinamica insomma, e allora ho pensato che forse doveva essere quello il vero Futurismo recitato. Altro che Marinetti, altro che Bocchino povere anime sante!

A morte lo straniero! Si gridava ieri. A morte il tiranno si strilla oggi! Certo lo straniero o il tiranno debbono essere messi a morte affinché il popolo sovrano viva, ci mancherebbe altro. Ma una volta messi a morte e danzato il girotondo rituale attorno ai cadaveri, quelli che vivevano e vivono di carta e penna, di parola e d'immagine, e che annotando i mutamenti delle temperie politiche, e i moti dell'animo circa le vicende dei tempi loro, e che sopra vi riflettono e si adeguano, o si indignano e si oppongono, ucciso il tiranno, rischiano di vagare senza più voce e né penna né carta tra il silenzio dei morti e le macerie del "day after" senza più un nemico da combattere e fino a rendersi conto della presenza di avversari meno visibili dello straniero o del dittatore ma ben più insidiosi perché sono interni a noi stessi, perché si muovono e pensano con la nostra mente in quanto sono parte di essa e fino a che la medesima coscienza si rende conto di non poterli eliminare senza autoeliminarsi. La morte del nemico trascina con se buona parte di coloro che l'hanno perseguita, auspicata, desiderata od eseguita.

Cambio di tastiera. Centocinquanta anni fa l'Italia fu unificata. E' difficile oggi, come lo è stato ieri, stabilire se nell'immediato siano rimasti più delusi gli unificatori che gli unificati.

Brigantaggio al Sud come fenomeno cruento, Scapigliatura al nord come fenomeno letterario. Citiamo solo questi eventi. Gli anni '60 furono importanti anche nel secolo XIX.
Due parole sulla Scapigliatura. Con l'unità cessa la funzione politica e civile del romanzo storico e cioè di una storia ambientata in un'epoca e dove c'è sempre un oppresso e un oppressore che lottano fino a che uno dei due soccombe. Il fine era quello di muovere e commuovere gli animi di coloro che sapevano leggere e ne avevano il tempo per sollecitarli a mobilitarsi al servizio di una causa nobile. Il Guerrazzi li aveva definiti macchine da guerra, ma a guerra finita le macchine non servono più. E appunto nel '60 la guerra fini e fu da allora che la strada, avvertita ben solida sotto i piedi durante la marcia verso la vittoria, a successo ottenuto, viene sentita man mano farsi umida, fragile, franosa, scavata da cunicoli sconosciuti e non sostenuta né governata da provvidenza alcuna. Ed è in questo contesto, che rassomiglia maledettamente a quello che stiamo vivendo oggi, che affonda le radici l'Io inquieto degli Scapigliati.

Gli eventi del 1859-60 sorpresero anche Cavour tanto che l'astuto e raffinato diplomatico dovette ammettere che purtroppo la Storia è solita spesso improvvisare, ed aveva ragione perché la guerra del 1859 era stata iniziata con obiettivi definiti e predeterminati. Ma poi l'andamento del conflitto sfavorevole per gli imperiali austro-ungarici, indusse i parmensi, i modenesi e i toscani a dar vigore a sussulti tali da costringere i sovrani ad andarsene.
Qualche mese più tardi Garibaldi provvedeva al meridione abbattendo e definitivamente il muro secolare che divideva il Nord dal Sud.

Così, nell'arco di un anno scarso, questa improvvisazione della Storia genera in Italia una specie di processo di scomposizione ricomposizione del tipo fai-da-te, e cioè al di fuori di convegni, trattati, diplomazie e congressi.
Ma un muro non cade senza vittime e l'unità d'Italia, risultato di eventi precipitosi e non programmati, di vittime ne fece e molte.
E ci furono vittime fisiche e tante, ignorate e dimenticate dalla storia, ma non mancarono certo anche delle vittime ideali.
Vi furono entusiasmi e ragioni di vita che vennero messe a morte, urla di dolore che non ascoltava più nessuno, atti eroici e sacrifici supremi che nessuno avrebbe più cantato, libri, libelli, invettive ed appelli che nessuno più avrebbe pubblicato, raccolto, letto od ascoltato.

Il creativo, l'artista, il poeta inteso, secondo l'ètimo, come colui che fa, dopo aver ascoltato i segreti, le grida, i lamenti, le lacrime e le risa, il poeta, dicevamo, ha terrore della noia della pace, fugge dalla tranquillità della normalizzazione, odia la similitudine dei giorni e degli anni, non comprende perché la gente corra sempre di fretta, perché non si volti e non risponda più ai suoi saluti.
Insomma è un po' il passaggio repentino dai suoni, dai canti e dai giochi del "Sabato del villaggio" all'immensa malinconia della "Sera del dì di festa", tra lumi che si spengono, tra canti che si perdono, tra amori che si ignorano. Sembra quasi che la Storia voglia che tutte le Rivoluzioni si concludano con una Restaurazione.

Ma certo l'Italia andava fatta. Anche se la maggioranza dei neo-italiani, specie al centro-sud, si rese conto dell'avvenuta unità solo quando divenne vittima della puntuale e petulante burocrazia piemontese.
Anche al nord la delusione culturale fu profonda e forse per i lombardi il fatto di chiamarsi italiani, di avere una nuova bandiera ed un nuovo Re non fu proprio avvertita come una gran conquista.
Così dal gran polverone sollevato dalle ristrutturazioni urbanistiche l'ambiente culturale milanese ne esce monco, appannato e barcollante su di un crinale posto tra un epoca che tramonta ed un altra che ancora non riesce a prender fiato.

E fu allora che alla ricerca d'una via d'uscita le menti posero in atto un tentativo di fuga all'interno di loro stesse. E cosi i letterati e i poeti escono dalle trincee del patriottismo, demoliscono le barricate, si disperdono vociando ed invadono le città con gli ardori e le sregolatezza della loro "boheme".
E questo fu solo uno dei prezzi pagati per l'unità. Ma l'Italia andava fatta comunque perché quello era il momento e anche perché il comprendere frammenti di territorio sotto un'unica corona fu, relativamente, cosa facile, quella difficile invece, ed ancora in fase di faticosa elaborazione, è il riuscire a unificare le coscienze. E cioè convincere tutti gli abitanti della penisola che sono niente altro che italiani. E furono anni difficili.

E forse anche i nostri di anni, gli anni di questo secolo che tutti immaginavamo come favoloso, (il 2000, ma vuoi mettere!), stanno scorrendo su di un crinale chiamato "crisi", su un terreno friabile di un sentiero sempre più stretto e con sotto lo strapiombo.
Dobbiamo tuttavia amare il nostro tempo se vogliamo agire fortemente su di esso e per esso. E non dobbiamo temere nessun giorno dopo, perché qualsiasi giorno dopo sarà sempre il nostro domani e dobbiamo per forza amare il nostro domani perché è lì che noi, domani, vogliamo essere.

E tutto questo nonostante l'euro, il maltempo e wikileaks.