opinioni

Nuovo PDL a Orvieto: istruzioni per l'uso

venerdì 23 luglio 2010
di Leonardo Riscaldati

Ho letto la notizia dell'ormai prossimo passaggio di consegne ai vertici del PDL locale. Nell'articolo ho letto anche della necessità manifestata dalla direzione regionale del partito di creare un gruppo dirigente rinnovato ed autorevole. Mi sembra una buona notizia, senz'altro un buon inizio.

Però attenzione, perché - e a prescindere da questo caso - non di rado sento dire, e basta ascoltare ad esempio le varie trasmissioni di approfondimento politico, che si deve fare questo, si deve fare quello, che la politica deve tornare ad essere una certa cosa, che è necessario che cambino tali costumi, che si rinnovino talaltri etc. Chiacchiere, niente di più. Spesso la scoperta dell'acqua calda. De la serie: "Ma daje!"

La Politica significa ovviamente pensare, riflettere, confrontarsi ed immaginare il futuro. Ma oggi più che mai essa significa soprattutto fare, agire, operare. Cambiare le cose. E farlo con una buona visibilità. Perché se da un lato è vero che l'azione senza pensiero è priva di significato, è caos, se non addirittura dannosa, è altrettanto vero che il pensiero senza azione non serve a niente. Diventa solo gioco allo spacco del capello, una "pippa mentale", direbbe qualcuno, una mera elucubrazione che non cambia le cose. Mai.
Insomma, le due cose sono complementari, vivono di un rapporto dialettico, e l'una senza l'altra non ha ragione di esistere.

A dire cosa si dovrebbe fare sono - più o meno - capaci tutti. Basta avere un minimo senso di equilibrio ed una moderata conoscenza del mondo. La cosa complessa, ma l'unica che sia di una qualche utilità pratica è capire "come si deve fare per fare quello che si deve fare". E poi farlo.

Vorrei fare qualche proposta, che rivolgo ai futuri dirigenti del PDL locale, in quanto simpatizzante del partito, ma che credo sia estensibile alla politica in generale. Per molti aspetti mi sembra scontata, ma se mi guardo intorno, se guardo all'attività politica a cui assisto ogni giorno, non ne ho quasi mai visto la concreta attuazione. E ritengo anche che più si procrastinerà la sua attuazione, più la politica si staccherà dalla società civile e continuerà a perdere progressivamente credibilità e fiducia, soprattutto nella società attuale dell'informazione, dove le voci circolano ed il passaparola è velocissimo e dirompente. Oggi non si può più barare, perché si viene puniti. E la fiducia una volta compromessa è difficilissima da riconquistare.

Cosa si deve fare? La premessa secondo me è una e inevitabile. E consiste nel passare da una visione apparato-centrica ad una elettore-centrica. Facile a dirsi, terribilmente difficile a farsi. Non per particolari complessità, perché gli strumenti, concettuali e operativi, in realtà ci sarebbero tutti. Ma perché tale passaggio comporta obbligatoriamente una rivoluzione copernicana nel modo di porsi, di intendere la propria funzione e di percepirsi da parte di chi fa politica ed in particolar modo delle classi dirigenti. È proprio questo in realtà il tappo che blocca il cambiamento, non c'è niente da fare. È umano; chi si trova in una posizione di vantaggio o di potere assai difficilmente farà un passo indietro o rivedrà il suo ruolo. Non solo: i cambiamenti, specie quelli radicali, comportano spesso delle resistenze da parte del sistema, se non altro per il disagio che provoca il doversi adattare a delle mutate condizioni.

Ma non credo ci sia molta scelta, perché altrimenti la società civile finirà con lo scollarsi definitivamente dalla politica, della quale già non è che abbia un'opinione così diffusamente positiva (e di esempi ce ne sono in abbondanza...). Laddove poi ce l'abbia, sintomo questo ancora peggiore.

Le implicazioni di una visione elettore-centrica? È necessario aprirsi verso l'esterno. È necessario dialogare, prestare attenzione, ascoltare, fare, e comunicare quello che si è fatto come risposta ai bisogni manifestati. E via di nuovo dall'inizio.

Da un punto di vista strutturale e funzionale molto deve cambiare: una volta dato per pacifico il fatto che il protagonista della storia è il cittadino, l'elettore e i suoi bisogni, bisogna creare un'architettura organizzativa che ponga come faro tale imprescindibile considerazione. Gli strumenti operativi ci sono tutti. Senza considerare l'importanza strategica che potrebbero avere i vari social media, ormai utilizzati dalla stragrande maggioranza della popolazione, specialmente la più giovane.

E' poi naturale che delle classi dirigenti nuove, fresche, dinamiche e meno compromesse delle precedenti assumano una valenza strategica. Anche per il semplice fatto di non avere un costume mentale ed un modus operandi ormai cristallizzato e quindi assai restìo al cambiamento. Ma qui torniamo al discorso del fattore umano del lasciare spazio ai nuovi, del fare un passo indietro, magari perdendo qualcosa in termini di importanza e potere. Inoltre nuove classi dirigenti sarebbero un po' più lontane da quell'intreccio spesso inestricabile di interessi che condiziona l'azione politica stessa, e che in vari modi ne blocca la possibilità dell'innovazione. Un bel problema. Anzi, IL problema.

Chi opera nel settore del marketing conosce senz'altro lo strumento del crm (acronimo di Customer Relationship Management). Il crm viente inteso come un sistema che consente all'azienda di porre al centro dell'attenzione il cliente, la sua storia, i suoi acquisti, le sue esigenze, i suoi interlocutori, i problemi incontrati, il modo e le persone che li hanno risolti etc, e quindi di poter impostare ogni attività sulla base della conoscenza personale, individuale e specifica del cliente stesso, con l'obiettivo di creare offerte personalizzate e cementare le relazioni con esso. Ma il crm è molto di più. E' una filosofia di lavoro. E' uno strumento che se utilizzato in modo radicale cambia l'architettura stessa dell'azienda ed il suo modo di funzionare; perché se cambiano i punti fermi, tutto il resto si riconfigura di conseguenza.
Ma proprio perché il crm cambia architettura, organizzazione e funzionamento esso spesso viene vissuto da chi lavora in azienda come una minaccia alla routine e quindi non di rado viene mal digerito, se non addirittura boicottato. Ogni riferimento alla politica è puramente voluto.

Ora non voglio di certo spingermi a dire che il crm andrebbe introdotto in politica, ma la filosofia dovrebbe essere più o meno quella. Una volta definito che l'elettore è al centro, tutto dovrebbe discendere da questo. A livello organizzativo, strategico e operativo.
E la prima cosa da bandire è l'autoreferenzialità della politica.

La prova di quanto sostengo credo sia ben osservabile nella crescita dei consensi della Lega. La Lega cresce perché è presente, perché è visibile, perché ascolta, perché parla con la gente comune la lingua della gente comune, e perché cerca di dare risposte senza perdersi troppo nell'analisi dei massimi sistemi e nello spacco del capello. Questo la gente lo capisce. E lo apprezza. Mi dicono che nelle manifestazioni leghiste spesso sia presente un punto di ascolto, dove i cittadini possono fare presenti i loro problemi, e nei quali c'è qualcuno che ascolta e dà attenzione ad essi. Poi si cercano di dare risposte, si rende conto di quello che si è fatto. Non credo serva un genio per capire la distanza abissale rispetto al modello classico, quello del tipo in cui ad esempio durante una festa di partito arriva l'esperto (il capoccione di turno, diremmo a Orvieto) che parla, spesso in politichese, in modo broadcasting (a pioggia e monodirezionale) al popolo (bue?) che sta lì, passivo e che non ha possibilità di dialogare, di essere ascoltato e di manifestare i propri problemi e bisogni. La Lega poi ultimamente si tiene, con astuzia, fuori dallo scontro politico, concentrandosi sulle attività che sono funzionali al conseguimento del consenso. Atteggiamento pratico ed intelligente, non c'è che dire.

Come ho già scritto la vittoria del PDL a Orvieto è dovuta ad una serie di concause perfettamente incastratesi e difficilmente ripetibili (e mi si consenta di sottolineare che la stessa strategia elettorale adottata l'anno scorso era in qualche modo quella che avevo proposto io stesso un anno prima delle elezioni amministrative). Questo significa che, al di là dei problemi interni del centro-sinistra, che ci sono e sono anche abbastanza chiari e visibili, per sperare di continuare a governare la città è necessaria una cosa tanto semplice quanto critica. E' necessario conquistare voti. Più voti. Ma i voti come si conquistano? Si conquistano con il dialogo con la gente, con l'ascolto, con l'attenzione verso i problemi e con la loro risoluzione, o quantomeno con il manifesto e chiaro tentativo di risolverli. I voti sono la conseguenza dell'acquisizione della fiducia dell'elettore. Non dei dibattiti o delle diatribe politiche.

E' fondamentale secondo me cambiare approccio. Altrimenti quella attuale rimarrà solo una parentesi, che nessuno nel centro-destra credo desideri.

Finché non si comincerà a fare politica tra la gente e per la gente (una politica sincera e leale), visto che è la gente che vota, e che la politica stessa ad essa è diretta, non credo si faranno molti passi in avanti. Il nodo, quello vero, è quello di cambiare prospettiva, metodo e classe dirigente. Utopia?