opinioni

Ieri, oggi e domani

giovedì 24 giugno 2010
di Mario Tiberi

Ritengo di non proferire nulla di sconvolgente se affermo che non esiste italiano verace che, in vita sua e almeno per una volta, non abbia sentito pronunciare il nome di Vittorio De Sica.
Al di là della fama di attore e regista e di una esistenza a dir poco turbolenta, resta nella memoria italica la figura di un galantuomo, nobile signore nei modi e nei tratti, così come il fascino di innumerevoli altri personaggi di quella generazione distintisi per garbo, cultura personale, qualità morali e politiche e, ai quali, i loro figli d'arte non sono meritevoli di allacciare nemmeno le stringhe delle calzature, tale e tanta è la differenza di statura umana e di sensibilità artistica che li separa.

Vale per loro, vale anche per me!.

Quanto detto non mi esime, anzi rafforza il desiderio di pubblicamente riconoscere, soprattutto a coloro che non hanno avuto discendenza da padri illustri, il possesso in se stessi di virtù e doti che li rendono veri protagonisti, anche a loro insaputa, della migliore quotidianità in termini di verecondia e dignità. Mi rivolgo, così, all'anonimo novantunenne che, a conclusione di un commento ricco di stimolanti riflessioni, ha scritto di vedere in me un barlume di libertà quando, invece, e per il vigore dialettico, nonostante l'età, e per la lucidità espositiva è proprio lui a personificare la luce della libertà intesa come verità e voglia di vivere intensamente.

Ad Arianna che mi ha velatamente rimproverato di trascurare le donne, eroine di ieri e di oggi, invitandomi a meglio valorizzare l'universo femminile, replico con garbata e decisa fermezza che tengo bene a mente, tra le altre, le figure di Clelia e di Cornelia dei Gracchi, Caio e Tiberio, alle quali per coraggio e dedizione alla "Res Publica" ho improntato il mio spirito emulativo sia per condotta che per stile di vita.
Non da meno vanno considerati gli insegnamenti che possono derivarci da quella che, senza offesa, potremmo etichettare come "donna qualunque", del tipo Adelina o Anna o Mara, tratteggiate dal raffinato pennello di De Sica nella produzione cinematografica da cui prende spunto il presente scritto. Donne comuni, del popolo, financo bistrattate, ma parti integranti e fondamentali del tessuto connettivo della società contemporanea.

Ad un'altra rappresentante del "gentil sesso", mi corre l'obbligo di dedicare un seppur rapido spazio. Mi riferisco ad una ragazza della provincia toscana e candidata agli esami di maturità che, nella prova di lingua italiana, ha affrontato il tema sui rapporti tra le giovani generazioni e la politica. Al notiziario radiofonico ha dichiarato: "Ho incentrato il mio svolgimento sul fenomeno del distacco dei giovani nei confronti della politica che, in larga misura, è dovuto all'antipatia della classe dirigente o, per meglio dire, della casta sia essa al potere che all'opposizione". Come darle torto?. In effetti e non di rado, i politici sembrano atteggiarsi a insuperabili interpreti di sceneggiate melodrammatiche la cui trama è imperniata sul motivo conduttore del rappresentarsi a tutti i costi come degli antipatici, mendichi e vagabondi. Analizziamo meglio il vocabolo "antipatico".

Nella terminologia corrente è d'uso indicare con tale appellativo la persona irritante, fastidiosa e infastidente, colui o colei che allontana da sé e che suscita insolenza, avversione, indisponenza e reiezione. Ma, se per un attimo, volgiamo la nostra attenzione alla radice originaria della parola, allora scopriremo che ha il primitivo significato di annullamento del "Pathos". Il Pathos, nelle epoche antiche, era il riconosciuto dominatore delle vicende umane in quanto conteneva in sé l'idea di motore propulsivo degli stati d'animo, quali le emozioni, gli entusiasmi, le aspettative della gioia e della felicità come, anche, le certezze del dolore e della sofferenza.
La ragazza maturanda, mi sembra abbia colto nel segno; ma nel senso che il mondo della politica, per così come si presenta, non ha più sufficienti energie e capacità di suscitare tra le genti il fervore, la passione e l'attaccamento ai patrimoni ideali e spirituali, proprietà una e indivisibile di un intero popolo.
Ieri ci si regolava e cadenzava in tal guisa; oggi, l'elemento prevalente sta assumendo pericolosamente le sembianze della rassegnazione; per il domani, se vorremo perpetuarci, altra via non v'è se non quella della responsabilità comunitaria e collettiva e dell'impegno democratico e partecipativo.