opinioni

Un tamburino di bianco e verde vestito

lunedì 24 maggio 2010
di Mario Tiberi

Ho partecipato sabato pomeriggio, con sincero piacere e intima passione, alla presentazione del volume rievocativo titolato "Lea Pacini: l'invenzione del Corteo Storico" e, da letterato per diletto, mi sento in dovere di esprimere sentiti ringraziamenti all'Editore-Promulgatore e formulare all'Autrice Sara Simonetti i miei più vivi rallegramenti per l'originalità del metodo narrativo e per il corretto stile linguistico, sobrio e raffinato in pari misura.


L'evento mi ha servito su un piatto d'oro lo spunto emotivo per ritornare indietro negli anni, al tempo di quando ancora indossavo i pantaloncini corti o giù di lì, e nelle mie orecchie sono ritornati a risuonare il frastuono e il rullo festoso dei tamburi medievali che segnavano e scandivano il tempo e il passo di marcia, in levata e poggiata del piede, dei nostri avi, popolani o aristocratici che fossero.
Mi è pure sovvenuta la metrica latina che conferiva musicalità al componimento poetico, sia amoroso che epico, e lo trasformava da testo solo scritto in lirica, carme, ode o epode. Forse non tutti conoscono il "distico elegiaco" formato da un pentametro e da un esametro, cioè da cinque e sei piedi o passi e su tali cadenze le parole divenivano suoni dolci e armoniosi.


Quanto precede per dire che, sì, sono stato un tamburino del quartiere Olmo e, per bontà della signora Lea, ho avuto l'onore di sfilare per le vie cittadine con le vesti di allora per i rinnovati fasti dell'oggi, agognati seppur non compiutamente vissuti e ricreati.
Stamane, giorno di Pentecoste, ho potuto riammirare quel costume di bianco e verde tessuto, indossato da altro figurante, che da piazza Cahen si avviava verso piazza del Duomo per la discesa della "Palombella" con le bacchette all'aria che, ritmicamente, toccavano la guaina di nappa del tamburo.
Pentecoste, "Ruà" in ebraico, che significa cinquanta giorni dalla Pasqua di Resurrezione, coincidente con la ricorrenza israelita della festa della mietitura, e che simboleggia il vento e il fuoco, soffio di vita e calore di verità per l'Umanità intera.
E' lo stesso vento e lo stesso fuoco che agitano e fanno ardere l'animo umano e lo sottopongono costantemente all'esame più arduo della nostra esistenza terrena: la sfida e la vittoria sulle ingiustizie e le falsità.
Per dirla con Eduardo, gli esami non finiscono mai e la nostra città ne ha davanti uno tra quelli meno agevoli ad essere superato; se non verranno celermente ricercati e individuati pochi, ma validi e onesti esaminatori, l'esito finale non potrà che sfociare in una solenne bocciatura. Il Sindaco Concina mi è testimone e mentore di quanto vado professando.
Orvieto, la "Città del Duomo" così universalmente conosciuta: mi sia risparmiata l'onta di vederla ribattezzata "la città del tuono" perché ripiombata all'indietro di oltre duemila anni, in pieno paganesimo, quando il re degli dei scagliava i suoi fulmini e le sue saette sugli uomini irresponsabili, scellerati e privi di coscienza.
"Coelo tonante, credidimus Jovem regnare ut si quaequae civitas, fortunae suae, faber"!.