opinioni

Acqua alla gola

giovedì 28 gennaio 2010
di Nello Riscaldati

Io sono quello che si dice un orvietano Doc. Nato in Ospedale e battezzato in Duomo. Ma non perché fossi il rampollo di una casata importante, e in Orvieto ve ne erano e parecchie, al contrario nacqui in Ospedale perché il solito destino cinico e baro giocò le sue carte in modo tale che mia madre non potesse disporre in quei giorni nemmeno di un buco di casa per partorirmi.
Ho narrato il seguito di queste lacrimose vicende nella " Biografia di minorenne", inserita nel volume "Zibaldone Orvietano" pubblicato nel 2007 e quindi non mi prolungo in merito anche per non farla come si dice nel nostro gergo, "troppo squaqquarellosa".

Sono dunque un orvietano Doc. Siamo rimasti in pochi. Coloro che non lo sono dovrebbero levarsi il cappello o almeno fare la mossa, quando c'incontrano, ma non lo fanno perché non ci riconoscono. Forse il Comune dovrebbe dotarci di un distintivo.

Un Orvietano Doc, a parte le infinite qualità positive che fanno parte del suo patrimonio genetico, è di solito un po' lento a capire quello che gli accade intorno. Tale difficoltà si evidenzia specie negli eventi ad evoluzione rapida.

Io, per esempio, non compresi come fu possibile che una città piena di Istituzioni fasciste, di fascisti in carne, ossa e divisa, di entrambi i sessi, almeno due per famiglia, ai quali andava aggiunta in toto la prole, non riuscii a capire come fu che costoro che sembravano costituire il 90% degli orvietani, dal sabato alla domenica si trasformassero per il 70% in comunisti, socialisti, repubblicani, socialdemocratici etc, e il rimanente 30% in democristiani, liberali etc,.

E i fascisti?! La domenica sera seguente il "sabato fascista" tutti negavano di esserlo mai stato, ed una grossa percentuale dichiarava addirittura di ignorare il significato del termine nè di aver conosciuto mai qualcuno che aveva indossato la divisa e quelli che sapevano chi fosse dichiaravano di disprezzare il Duce. Non si trovò uno che ammettesse di averlo visto quel giorno di aprile del 1940 quando fece visita ad una Orvieto che così strapiena non s'era mai vista.. Per ultimo montagne di divise e migliaia di ritratti del Capo sparirono dalle case degli orvietani che si erano in tal modo autoepurati nel breve spazio di una notte.

Qualcuno forse coltivava ancora le sue idee, ma lo faceva di nascosto ed in silenzio. Ma da quel silenzio si percepiva che essere fascisti o comunque di destra in quelle stagioni, era un po' come essere Cristiani nella Roma di Nerone o di Domiziano.

E cominciò così il sessantennio che oggi viene definito "greve" ma che in coscienza portò dei miglioramenti nelle condizioni di vita specie nelle classi più miserabili

Io ho avuto buoni rapporti con tutti i concittadini e quindi anche con i comunisti anche perché, essendo costoro diventata la stragrande maggioranza del personale circolante per le strade e negli uffici, ti ci imbattevi per forza. Poi mi accorsi che anche i rapporti di amicizia e di rispetto avevano un limite al di là del quale non era permesso mettere il naso, ma nemmeno a distanza, si trattava del limite al di là del quale si almanaccavano le segrete cose, naturalmente per il bene del popolo democratico, prima al Saraceno e poi in Via Pianzola.

Il partito ebbe una disciplina di ferro ed una base militante disposta veramente a dare un occhio per la causa.
Voi pensate, e potete chiederne conferme a Mariuccio, che molti di questi militanti andavano per le campagne, muniti di Apetto, di podere in podere, novelli frati "torsoni", per la cerca del grano che poi sarebbe stato rivenduto ed il ricavato destinato a far vivere il partito.

Ad un certo punto, non riesco però ad essere preciso, cominciano a comparire sui manifesti e sui giornali murali termini come "programmazione" "trasparenza", "giornate di lavoro partecipato", "assemblea aperta" etc, ma poi, quando qualcuno si rivolgeva ad un dirigente per chiedere conto di quanto discusso e di quanto deciso nelle riunioni, a costui veniva risposto che la base attiva e partecipante del partito, aveva approvato tutte le conclusioni delle assemblèe con la massima convinzione e trasparenza per il bene delle lavoratrici, dei lavoratori, della città e del territorio.

Grosso modo tra gli anni '70 e '80 fanno ingresso sulla scena politica gli "intellettuali", qualcuno vero ma per la maggior parte finti, e assumono il nome di "intellettuali di sinistra". Si tratta di personaggi i quali, fiutato il vento, cominciano a discutere, a dibattere, a ribadire e a definire quelle che poi verranno codificate come "cose di sinistra". Da notare che il partito comunista intellettuali veri già li aveva del suo. Ma essere di sinistra e dichiararlo era vincente perché in quel tempo il mondo girava così.
In occasione di consultazioni elettorali comincia inoltre ad apparire sulle liste accanto ad alcuni nomi la dizione esplicativa "indipendente di sinistra" . Nessuno ha mai saputo spiegare da che cosa un soggetto inserito in una lista caratterizzata da tanto di falce e martello da che cosa avrebbe dovuto essere o sentirsi indipendente.
Se avessero scritto "passante di sinistra" la cosa non sarebbe stata molto diversa. E' doveroso però ricordare che anche su altre liste spesso figurava la dizione "indipendente".
Per onestà devo ammettere che per una volta un mio grande amico, il Sindaco Adriano Casasole, riuscì a coinvolgere anche me. Fortunatamente altri figuri ancora sulla scena, appartenenti al suo stesso Partito provvidero a silurarmi, rendendomi in tal modo nuovamente libero.

Abbiamo avuto anche dei parlamentari, alcuni senza infamia e senza lodo, qualcuno latitante una volta ottenuto il voto, altri, come il senatore Tiberi, presente ancora nel cuore di molti orvietani, il quale, abitando ad Orvieto, non poteva sfuggire alla marea di "clientes" che specie di sera alla stazione, gli tendevano agguati su agguati per avere notizie per loro straordinariamente importanti. E' da riconoscere che lui raramente si risparmiava anche se mi ricordo, dato che spesso tornavamo da Roma insieme, scesi da un vagone fuori vista, diverse volte, stanco morto, si riparava dietro di me perché avevo una mole maggiore della sua, e con sufficiente disinvoltura e fingendo di leggere enormi quotidiani riuscivamo a raggiungere incolumi la funicolare.

Va ricordato anche che Orvieto vide rifatte le pavimentazioni di molte vie e piazze, vide il consolidamento della Rupe, il ripristino della Funicolare, e quel "capolavoro" urbanistico che è la Mossa del Palio.
Da fonte ufficiosa so che Dio non ha ancora perdonato i progettisti, i costruttori e soprattutto chi concesse i permessi per costruire simili oltraggi che offendono anche il più comune senso dell' estetica.
E qui mi fermo sui frammenti del passato e mi scuso dei buchi, dei nomi non fatti e delle cose non dette. Non era questa l'occasione.

Giugno 2009. Il muro di Berlino scricchiola anche a Orvieto ma non crolla. Maggioranza di centrosinistra, Sindaco di centrodestra il quale, meschino, eredita un Comune con le casse così vuote da non contenere nemmeno il classico soldo per far cantare il classico cieco ed in aggiunta, per un arcano disegno degli Dei invidiosi, il Sindaco Còncina azzecca la risposta esatta e vince sette milioni di debiti. Insomma tanti da cambiare radicalmente una vita.

Un passante commenta: "Noe, potenno, nun se famo mancà gnente! Speciarmente le buffe!"

Qualcuno si alza, si sbraccia e grida: "Annibale è alle porte", e l'allarme rimbalza per vicoli, piazzette e cortili abbandonati e pieni di annapatara, (parietaria), ma gli orvietani della strada, forse per consolidate lacune storiche, forse per carattere, non percepiscono il segnale d'allarme e non si scompongono più di tanto. Il grido di dolore non va però totalmente perduto, viene raccolto infatti da singoli, da politici solitari o in coppia, da nuclei di pensionati, e da gruppetti mattutini e serali di abituèes soliti a discettare da Montanucci e che cominciano a teorizzare i piani di salvataggio della città con un fuoco di batteria di banalità simili alle elaborazioni delle formazioni alla vigilia di una finale Italia-Germania o Italia-Brasile.

Ed allora capita di leggere che "occorre esaltare atti e progetti che vadano nella direzione di contrastare gli effetti della crisi", oppure che "occorre mantenere e se possibile ampliare quei capitoli di bilancio che finanziano le attività sociali e i servizi" quasi che qualcuno avesse in animo di praticare il contrario come soluzione migliore.
Aceto, dal canto suo, manovrando con tecnica magistrale una sorta di èrpice spaziale rade al suolo qualsiasi teoria, o proposta, o ipotesi, che qua e là qualcuno stava eleborando forse temendo che, diventando le medesime un torrente, potessero causare alluvioni e disastri. In effetti alcuni discorsi, letti o ascoltati, sulla precaria situazione della città e sulle soluzioni proposte sembrano fatti durante una "siesta" o immersi nel tepore della "solina" con l'inevitabile l'effetto da conciliare irresistibilmente una "pènnica".

Ma Tony Còncina gioca d'anticipo e propone un "fronte civico". Anzi, fa di più, prende carta e penna e scrive una lettera agli orvietani per informarli sullo stato delle cose. La sinistra accoglie senza vergogna l'iniziativa tirando anzi un sospiro di sollievo, a patto però che al tavolo seggano tutte le istituzioni e gli enti che rappresentano gli assetti della città.La destra si mantiene cauta, anzi immobile. In caso di fallimento la figuraccia sarebbe enorme. La sinistra insiste: bisogna discutere, dibattere e approfondire gli argomenti e le proposte di soluzione sia a monte che a valle.

Ed ecco allora che si ripropone il problema del tavolo. Per chi l'avesse dimenticato in Italia i problemi importanti si risolvono solamente o intorno a un tavolo o sopra un tappeto. Mai che a nessuno fosse venuta l'idea di un prato, di un'amaca o di una sedia a dondolo.

Còncina, Tony Còncina, se ci sei prestami attenzione! Dopo aver ascoltato tutti quelli che vorrai ascoltare, fai fabbricare un tavolo piccolo, per tre o quattro persone, fallo guardare a vista giorno e notte altrimenti al mattino rischi di trovartelo o più largo o più lungo e con intorno una teoria di sedie scompagnate che personaggi, che già dissertano e ipotizzano soluzioni sulle metodiche migliori per spaccare un capello in quattro, si sono portate da casa per avere un posto sicuro, a tavola naturalmente, per salvare la città dalla bancarotta per il bene del popolo lavoratore e delle future generazioni.

E allora giù maree di proposte , di controproposte, di correzioni, di osservazioni, di emendamenti, di sub-emendamenti, di ipotesi di miglioramento e via dicendo senza saper però indicare come si fa, in pratica, a rimediare non dico un "tesoretto" ma neanche qualche soldo spiccio per coprire quanto c'è da coprire per non destare scandalo.
L'ultima frase di ogni proposta che comporti una spesa dovrebbe necessariamente indicare dove si andranno a prendere i relativi quattrini. In politica come al supermercato è inevitabile che prima o poi si debba passare alla cassa e non per svaligiarla, ma per saldare i conti. Si tratta di una banalità che è necessario assolvere.

Tira avanti Tony con le scadenze fissate, ma che la tua azione sia omogenea e conforme alle tue intenzioni perché non sono in pochi ad avvertire che l'acqua sta veramente arrivando alla gola di tutti e non tutti sanno nuotare. Forse quelli dei quali dicevo prima credevano che Annibale fosse un cantante pop.

Questo volevo dirti, nient'altro che questo, ma è un punto di vista mio, soltanto mio. Tu sei libero di fare quello che ti pare, con chi ti pare, come ti pare e quando ti pare! Ci mancherebbe altro! L'importante è che tu lo faccia.

TIBI MITTO NAVEM PRORAE PUPPISQUE CARENTEM