opinioni

Romiti,... Romiti,...?!

giovedì 23 luglio 2009
di Nello Riscaldati

Sere fresche di primo Solleone. Schiace del Duomo gelate. Cielo limpido, niente Luna, vento da nord. Una pacchia!
Ti sbrachi, guardi in alto e ti perdi fra le stelle. Piano piano i neuroni ti si rilassano, si intrigano e la mente comincia a rivolgerti quelle domande disimpegnate e approssimative, tipiche appunto di quando stai spaparacchiato e nessuno ti disturba. E spesso la mente è cosi confusa che si domanda e si risponde da sola. Tu pensa che casino!

E allora mentre ti trovi in vacanza tra le stelle ti capita, ad esempio di chiederti: "Ma Dio è un nome? E se lo è può essere aggettivato? ...e può anche essere predicato?

Booh,...! E poi ancora: "Ma se qualcuno ci crede perché ci crede?" Ed ecco che la mente svanita si risponde da sola: "Ma perché questo qualcuno ha la fede, la credenza e la fiducia. Perché si crede in qualcosa in quanto si ha fiducia in qualcuno del quale sappiamo che possiamo fidarci!". Sarà così?" Booh! Mi sa tanto di filosofia analitica.

Salto di nebulosa e scivolo vorticosamente dentro un buco nero dove vedo un cartello con su scritto: "Fare politica rende migliori?" Mah! Forse rende qualcuno più ricco, qualcuno forse più potente, se però è già malato di potere, perché, come dicono nel profondo Sud, "Cumannari jè megghiu ca fot...!" Ma il buco nero è come un oracolo muto e non risponde alla domanda.

Il vocìo di due passeggiatori sul sagrato mi fa riprecipitare sulla Terra. I due stanno parlando, e come ti sbagli, di soldi, di debiti, di debiti del Comune, di chi li ha fatti, di chi li ha visti fare, di chi ci ha spizzicato, di chi ha protestato, di chi è stato zitto e di è stato fatto stare zitto. E poi cominciano a parlare del nuovo assessore al bilancio, Romiti.

Ed è allora che mi viene in mente un curioso episodio del quale fui testimone e interprete molti anni fa.

Era una mattina di metà agosto, pochi giorni prima del quindici. Caldo, afa, Comune deserto. Mi trovavo in Sala Consiliare in penombra, intento a leggere la rassegna stampa. Avverto qualcuno che si sta avvicinando ma continuo a leggere. Sarà un impiegato stanco e solitario che non ha fretta di arrivare in ufficio, pensai. Invece il qualcuno mi si avvicina e mi interpella con un gentile:

"Scusi!", al quale risposi con un altrettanto gentile: "Prego, dica!", come a ping-pong.

"Senta -mi chiede- non sa se il signor Graziani è in Comune?!"

Io lo guardo meglio, indossa una maglietta verde alpino di quelle con il coccodrillo, ma degli strani giochi di luci ed ombre non mi rendono chiari i suoi lineamenti. Eppure, mi dico, di sicuro la capoccia, è la sua.

-"Mi scusi, lei chi è?!- chiedo gentilmente.

-"Ah! Mi scusi lei, sono Romiti!"- chiarisce altrettanto gentilmente.

Rimasi un attimo in stand-by e poi mi rivolsi a lui usando un fraseggio e un cambio di tonalità che solo un orvietano può capire immaginandoselo, perché da scritto rende pochissimo e male.

Lo scrutai quindi un po' meglio, ma la visibilità non era buona e così lo interpellai: - "Scusi, sa, ma lei è Romiti, Romiti, ...o Romiti, Romiti,...?!"

(Dopo la prima frase effettuare una pausa di croma e pronunciare la seconda una quinta sotto.) Per chi non sa di musica mi spiego meglio. L'interrogazione, pur essendo scritta in italiano, è dialettale fino alle virgole.

Cioè il primo "Romiti, Romiti", va tradotto così: "Lei sarebbe il Romiti quello vero, quello della Fiat e dell'alta finanza?!"
Il secondo, in tono più grave e andamento più lento e quasi trascurato vuol dire: ...oppure lei è un Romiti qualsiasi, forse di Porano, di Benano o di Castellonchio!", senza offesa per nessuno. Insomma un "quisque de populo" che è venuto e Orvieto per cercare un documento, un informazione o un favore.

Il mio interlocutore mi guardò per niente sorpreso e tranquillamente chiarì i miei dubbi: "Sono Cesare Romiti!"
Cercai Pasqualino, ci salutammo e la storia finì li. E fu un simpatico incontro con una persona gentile. Non ho avuto più il piacere di incontrarlo. Mi auguro che goda ottima salute.