opinioni

Tirato fuori il sacco, occorre vedere cosa c'è dentro

sabato 18 luglio 2009
di Mario Tiberi, iscritto P.D. Orvieto centro

Vuotare i sacchi della vita di tutti i giorni è impresa non sempre agevole e semplice.

La vita di società ci impone spesso di non essere noi stessi fino in fondo, a volte di nasconderci o di recitare delle parti non proprio a noi confacenti. La vita lavorativa non è da meno e, oltre ai rischi fisici e mentali che essa comporta, è un continuo battagliare tra capi e sottoposti, tra colleghi che ambiscono a prevalere gli uni sugl'altri per ragioni di carriera, arrivismo e protagonismo. La vita del tempo libero non offre scenari migliori se non nei momenti in cui l'animo umano riesce a conquistare transitori stati di serenità e di distacco dagli affanni del quotidiano.

Il sacco, però, più arduo da vuotare è quello della vita pubblica anche nella sfera più strettamente personale. Ci sto provando e vorrei poter tirare fuori la sola farina raffinata e lasciarvi dentro quella con la pula, le impurità e le scorie infette.

Ho cercato e trovato un qualche ausilio nel leggere e ben interpretare i commenti dei più autorevoli opinionisti e politologi locali, tra i quali, Davide Orsini, Rodolfo Ricci e Dante Freddi. Ma quello che a me è sembrato più interessante, illuminante ed obiettivo è stato l'articolo a firma di Laura Ricci in occasione della prima adunanza del nuovo Consiglio Comunale.

Complimenti, Laura, e non per piaggeria, ma per la lucidità d'analisi e l'onestà professionale che una volta di più hai saputo dimostrare. Nel tuo sacco, vi è della farina buona e mi auguro che vi rimarrà anche per l'avvenire nell'interesse del libero e democratico dibattito politico e della vivacità culturale che spesso e volentieri è carente agli angoli delle nostre strade e delle nostre piazze.

Su codesta colpevole carenza, concordo pienamente con le argomentazioni espresse in merito dal Prof. Catamo e, insieme a Lui, ci stiamo adoperando per colmarla e lenirla a cominciare dalla dialettica interna al Partito Democratico di Orvieto, e non solo. Dialettica interna difficile da ripristinare perché è da scontro frontale avendo a che fare con l'ottusità di chi non vuol capire o ragionare o, peggio, di chi non capisce proprio e non sa ragionare.

Nel mio sacco, la prima manciata di bianca farina è rappresentata da un'idea che è vecchia per la grande democrazia americana, ma dannatamente nuova per la giovane democrazia italiana: dare vita e far crescere il prima possibile un movimento di moderni "pionieri per la nuova frontiera" dove la speranza di raggiungere terre fertili significhi abbandono delle ormai nauseanti logiche di patteggiamento e spartizione delle poltrone che contano, messa in disparte degli acrobati e dei giocolieri della politica sempre pronti all'affarismo e al bieco calcolo dei loro interessi e tornaconti, soprattutto reiezione della manovalanza intrigante e parassita.

Il deserto alla volta dell' "Eldorado" potrà così essere attraversato e ad ogni Orvietano restituito il diritto di dire a gran voce: "Dottor Concina, Sindaco di Orvieto, in nome delle nobili figure del passato che hanno dato lustro alla nostra città, non dia spazio a chi a Lei si presenterà per meri equilibri e dosaggi di potere e non si lasci invischiare in pericolose tele di ragno; preferiamo, perdonandomi l'irrispettosa metafora, un'anatra zoppa piuttosto che una col cappio al collo permanentemente sotto attacco e sotto ricatto".