opinioni

Fra cielo e terra

martedì 21 aprile 2009
di Nello Riscaldati

Sere fa, da vecchio appassionato di scienze astronomiche, me ne stavo alla finestra a contare le stelle per vedere se fossero tutte. La notte era scura e lucida e il cielo anche troppo brillante. Come accade ai molti che tardano a prendere sonno, mirando il cielo, sono tentato di partire, per il consueto viaggio nello spazio. Ne faccio spesso, ma di solito brevi e sempre a bordo di un razzo carico di domande e spinto da un propellente che, con buona pace di Einstein, corre molto, molto più della luce, e cioè il pensiero, e, dato che stanotte la curiosità è tanta, decido di spingermi più lontano. E dunque pronti: via.

Dopo pochi attimi, lasciato alle spalle Plutone, dove ho mancato di poco una capocciata con Caronte, un satellite sconosciuto fino al 1978 e del quale non mi ricordo mai la posizione, mi accorgo che quassù o quaggiù (a scelta), più o meno il cielo è tale e quale a quello che si vede dalla finestra di casa mia, sempre le solite stelle, più o meno fitte, più o meno grandi, sorpassate rapidamente dal pensiero che si spinge sempre più lontano, sempre verso il prossimo qualcosa che mi pare distinguere laggiù, o lassù, o di là o di quà. Fate voi!

Dopo qualche minuto, il che significa per il pensiero migliaia di anni luce, ho però la sensazione di essermi perduto, di essere andato a finire chissà dove e di non avere nessun punto di riferimento. La cosa mi preoccupa; dovunque mi spinga incontro rari corpi celesti e uno sconfinato spazio vuoto. Comincia a rosicarmi il dubbio che per quanto veloce corra il mio pensiero non riuscirò mai a trovare un punto dove ci sia scritto: "ultimo chilometro". Galassie di qua, nebulose di là. Quasar e pulsar, nane bianche e giganti rosse, pianeti, asteroidi, comete e buchi neri. Che palle! Ma è tutto così?!

Ed è allora che ti senti come prigioniero dell'infinito, che è poi un ossimoro perché nell'infinito puoi andare dove ti pare per quanto tempo ti pare, dato che non c'è nessuno ad impedirtelo. E dunque che prigione è? Il fatto però è che non essendoci un "dove" andare non so nemmeno come fare per andarci.

Ed è in questi momenti, proprio quando ti senti perduto nello spazio, e ti ritrovi piccolo, al buio, impaurito, in pigiama leggero, e perciò con i piedi gelati, in un punto qualsiasi di non si sa che cosa, che pensi alle stronzate, lette o sentite, sui giornali, in TV, all'Università o al bar, di un universo in espansione e di un big bang di tanti miliardi di anni fa. E dopo qualche starnuto, dato che sono vestito leggerino, mi viene fatto di pensare dove cavolo si va espandendo l'universo, se l'universo è il tutto, e se si espande che cosa comprime, perché ci si espande sempre a spese di qualcosaltro.

O "universo" è qualcosa di diverso da "infinito"! Perché se è infinito non può avere né un principio né una fine e perciò nemmeno un'età, dato che non ha né un prima né un dopo diversi da esso, perciò non può essere creato, perché si crea qualcosa che prima non c'era e l'infinito non si crea perché, se così fosse stato avrebbe avuto un inizio, ma quell'inizio sarebbe un limite finito, e sarebbe sempre pressato da domande su qualcosa inerente il prima dell'inizio, cioè il nulla, il che non ha senso perché non può essere oggetto di pensiero. Non possiamo cioè costruire mentalmente il concetto di infinito.

Se a questo punto non avete ancora fuso e ritenete di avere fegato a sufficienza, provate a seguirmi ancora un attimo se non altro per sapere come andrà a finire.

Io, da parte mia, mentre mi rincorrono, tra un neurone e un altro, doppie, nane, novae e supernovae, comincio un po' a preoccuparmi perché mi rendo conto di non essere più capace di portare avanti un ragionamento, anzi, di più, di avvertire delle carenze nella capacità di ragionare, che forse poi sono la stessa cosa e se lo sono non sono un bel sintomo. E ricordandomi che, un mio eccelso docente di astronomia della Sapienza, il professor Caraci, ci ricordava spesso che l'insistere oltre un certo limite su questi viaggi e su questi quesiti a qualcuno è costata la vita, allora ho chiuso di botto la finestra, ho abbassato le serrande e sono ritornato sulla terra. Al diavolo dunque l'infinito, l'universo, il principio, la fine, l'età, e quanto è lungo, e quanto è largo e via dicendo. Evviva dunque la nostra Terra per puzzolente che sia!

Chiusa la finestra ho acceso Internet e ne ho tratto un grande giovamento e una consolazione sconfinata. Ho capito che si avvicinano le elezioni, e dovunque tu clicchi trovi dei volti rassicuranti che ti sorridono e ti sussurrano: "Stai tranquillo, stai calmo, rilassati, dimmi qual'è il tuo problema e io te lo risolvo, sono bravo, conosco, vedo gente, mi muovo e ho quello che fa per te. Tu votami e vedrai che tutto intorno ti rifiorirà, come una sontuosa primavera in collina. Non preoccuparti! E' sufficiente votare xyz!"

Nel leggere e nel sentire cose sì tanto straordinarie, cose che nessuno ormai ti dice o ti scrive più, comincio già a sentirmi al sicuro e protetto come in un ventre di vacca e la certezza che c'è qualcuno che mi risolve i problemi mi fa venire anche sonno. Mi infilo a letto e, mentre sto navigando in quel placido mare che precede l'addormentamento, mi pare di avvertire, come venisse da sotto il cuscino una vellutata, suadente vocina lontana lontana, ma chiara che mi sussurra: "Ricordati che conto sul tuo voto, su quello della tua famiglia, su quello dei tuoi parenti e dei parenti dei tuoi parenti, degli amici, degli amici degli amici, del curato, della perpetua e del sagrestano, su quelli dell' avvocato, degli amici dell'avvocato e delle amiche dell'avvocato, del dottore, dei pazienti, delle infermiere, dei portantini, dei falegnami, del macellaio e del benzinaio."

E mentre la vocina continua elencando senza stancarsi, io mi addormento e sogno una lontana teoria lunghissima di elettori che si avviano al seggio in processione, sventolando la scheda e cantando a voce piena un inno molto simile a "Viva, viva S. Eusebio".

E questo cantare, che per me diventa una ninnananna, mi da la certezza assoluta che vivremo, in futuro, più felici e più contenti "che pria". Tiè!